E Garibaldi fu ferito…
Le tumultuose disavventure di un fotoreporter
E sì, cari lettori, stavolta il vostro impavido fotoreporter fu ferito, non proprio ad una gamba e in Aspromonte come l’eroe dei due mondi, ma in una anonima via Palazzo, a Mestre, mentre era in corso nell’omonimo palazzo comunale la seduta a salve del consiglio comunale in dismissione.
Sotto, nella strada, intanto c’era un duro confronto, per niente a salve, tra antagonisti antifascisti, che però possono diventare anche nograndinavi, o nomose, insomma quel gruppo di ragazzi dei centri sociali che stavolta sul mose pare l’abbiano proprio azzeccata, e i neofascisti di forza nuova, che non perdono l’occasione di sbraitare per farsi esistere: in mezzo polizia e carabinieri, per evitare che i due schieramenti venissero a contatto, e in mezzo a tutti il sottoscritto, certo che il suo fiuto professionale gli procurerà le immagini più significative a rischio zero.
Ahimè, così non è stato: eroico, solo a separare fratelli italiani in conflitto, come appunto il citato Garibaldi in Aspromonte, davanti ai manifestanti antifascisti e con i forzuti uomini del reparto mobile della polizia (ma si, i celerini, non solo di nome ma anche di fatto, come vedremo poi), appesantiti nella loro attrezzatura antisommossa, alle spalle: quand’ecco che qualcuno tira un po’ troppo la corda, cioè qualche petardo e fumogeno di troppo, e allora scatta una maschia gara di velocità lungo via palazzo, con la schiera dei ragazzi noglobal etc. primi alla svolta in fondo alla torre, seguiti in seconda posizione dal sottoscritto in brevissimo vantaggio sugli agenti antisommossa che nonostante tutto il peso di caschi, scudi e protezioni in plastica dura sono più celeri che mai.
Ma stavolta l’imprevisto è in agguato, l’occhio non più veloce del vostro cronista si attarda nel cercare l’angolazione ottimale, e non si avvede del tavolino che gli si staglia improvvisamente davanti, preventivamente scagliato in mezzo al percorso di gara dai più avveduti manifestanti fuggitivi allo scopo di ritardare i concorrenti.
È il disastro: il vostro reporter ci sbatte sopra e vi resta incastrato tra le zampe all’insù, mentre nel tentativo di evitare un tamponamento a catena un agente della celere tenta il sorpasso con un alto balzo in avanti, che riesce solo in parte, alzando il clipeo in plexiglass, che cinge col braccio sinistro, nel tentativo di bilanciare il suo slancio, ma, ahimè, involontariamente s’intende, lo scudo sbatte contro la mia faccia, l’azione rallenta del tutto e vengo tamponato sulla destra da un secondo pesantissimo agente che, avendo la visuale coperta dal collega che lo precedeva, non può evitare l’impatto.
La corsa prosegue, ma io resto lì, squalificato, ferito più nell’orgoglio che nel corpo, e chissà perché nella mia mente in un flash mi scorre l’immagine dell’eroe di Caprera, disteso in barella col piede e caviglia fasciati, ferito da fratelli italiani, serio e scuro in volto, mentre versi patriottico risorgimentali mi gorgogliano in gola, ma testimoni affermano che erano maledizioni e parolacce, per di più con il Padreterno chiamato in causa come arbitro: non ascoltateli, sicuramente sono detrattori invidiosi. ★