Costantino Fortunato
da Le Piacevoli Notti (1550): il primo Gatto con gli Stivali
Nel 1550 Giovanni Francesco Straparola, per altro scrittore d’ignota vita, pubblicò a Venezia la raccolta di «favole ed enimmi» Le piacevoli notti; settantacinque novelle e racconti e settantacinque enigmi e indovinelli, a volte osceni. Grande successo editoriale del tempo, cui fece seguito un secondo volume, nel 1553. Seguendo a suo modo il classico schema boccaccesco, a narrare le novelle, per tredici notti consecutive, sono tredici donne, parte di un’allegra compagnia a Murano per il carnevale, forse del 1536 (nel palazzo del vescovo di Lodi, Ottaviano Maria Sforza). Tra i presenti nel secondo libro anche Pietro Bembo. Questa è la prima versione a stampa della famosa fiaba del Gatto con gli Stivali.
Soríana viene a morte, e lascia tre figliuoli: Dusolino, Tesifone e Costantino Fortunato; il quale per virtù d’una gatta acquista un potente regno.
— Molte volte, amorevoli donne, vedesi un gran ricco in povertà cadere, e quello che è in estrema miseria ad alto stato salire. Il che intervenne ad un poverello, il quale, essendo mendico, pervenne al stato regale.
Trovavasi in Boemia una donna, Soríana per nome chiamata; ed era poverissima, e aveva tre figliuoli, l’uno di quali dicevasi Dusolino, l’altro Tesifone, il terzo Costantino Fortunato. Costei altro non aveva al mondo che di sostanzia fosse, se non tre cose: cioè uno albuolo, nel quale le donne impastano il pane, una panára, sopra la quale fanno il pane, ed una gatta. Soríana, giá carica d’anni, venendo a morte, fece l’ultimo suo testamento; e a Dusolino suo figliuolo maggiore lasciò l’albuolo, a Tesifone la panára e a Costantino la gatta. Morta e sepolta la madre, le vicine per loro bisogna quando l’albuolo quando la panára ad imprestido lor chiedevano; e perché sapevano loro esser poverissimi, gli facevano una focaccia, la quale Dusolino e Tesifone mangiavano, lasciando da parte Costantino minor fratello. E se Costantino gli addimandava cosa alcuna, rispondevano che egli andasse dalla sua gatta, che glie ne darebbe. Per il che il povero Costantino con la sua gatta assai pativa.
La gatta, che era fatata, mossa a compassione di Costantino e adirata contra i duo fratelli che sí crudelmente lo trattavano, disse: — Costantino, non ti contristare; perciò che io provederò al tuo e al viver mio. — Ed uscita di casa, se n’andò alla campagna; e fingendo dormire, prese un lepore, che a canto le venne, e l’uccise. Indi andata al palazzo regale e veduti alcuni corteggiani, dissegli voler parlare col re: il qual, inteso che era una gatta che parlar gli voleva, fecela venire alla presenza sua; e addimandatala che cosa richiedesse, rispose che Costantino suo patrone gli mandava donare un lepore che preso aveva: e appresentollo al re. Il re, accettato il dono, l’addimandò chi era questo Costantino. Rispose la gatta, lui esser uomo che di bontá, di bellezza e di potere non aveva superiore. Onde il re le fece assai accoglienze, dandole ben da mangiare e ben da bere. La gatta, quando fu ben satolla, con la sua zampetta con bel modo, non essendo d’alcuno veduta, empí la sua bisciaccia, che da lato teneva, d’alcuna buona vivanda; e tolta licenzia dal re, a Costantino portolle. I fratelli, vedendo i cibi di quai Costantino trionfava, li chiesero che con loro i participasse; ma egli, rendendogli il contracambio, li denegava. Per il che tra loro nacque una ardente invidia, che di continovo rodeva loro il core.
Costantino, quantunque fusse bello di faccia, nondimeno, per lo patire ch’aveva fatto, era pieno di rogna e di tigna che gli davano grandissima molestia; e andatosene con la sua gatta al fiume, fu da quella da capo a piedi diligentemente leccato e pettinato, e in pochi giorni rimase del tutto liberato. La gatta, come dicemmo di sopra, molto continoava con presenti il palazzo regale, e in tal guisa sostentava il suo patrone. E perché oramai rincresceva alla gatta andar tanto su e giú, e dubitava di venire in fastidio alli corteggiani del re, disse al patrone: — Signor, se tu vuoi far quanto ti ordinerò, in breve tempo farotti ricco. — E in che modo? — disse il patrone.— Rispose la gatta: — Vieni meco, e non cercar altro, che sono io al tutto disposta di arricchirti. — E andatisi insieme al fiume, nel luoco ch’era vicino al palazzo regale, la gatta spogliò il patrone e di commun concordio lo gettò nel fiume: dopo’ si mise ad alta voce gridare: — Aiuto, aiuto! correte, che messer Costantino s’annega! — Il che sentendo il re, e considerando che molte volte l’aveva appresentato, subito mandò le sue genti ad aiutarlo. Uscito di acqua messer Costantino e vestito di nuovi panni, fu menato dinanzi al re, il quale lo ricevette con grandi accoglienze; e addimandatolo per qual causa era stato gettato nel fiume, non poteva per dolor rispondere: ma la gatta, che sempre gli stava da presso, disse: — Sappi, o re, che alcuni ladroni avevano per spia il mio patrone esser carico di gioie per venire a donarle a te, e del tutto lo spogliorono; e credendo dargli morte, nel fiume lo gettorono, e per mercé di questi gentil’uomini fu da morte campato. — Il che intendendo, il re ordinò che fusse ben governato ed atteso. E vedendolo bello, e sapendo lui esser ricco, deliberò di dargli Elisetta sua figliuola per moglie, e dotarla di oro, di gemme e di bellissime vestimenta. Fatte le nozze e compiuti i triunfi, il re fece caricare dieci muli d’oro e cinque di onoratissime vestimenta, e a casa del marito, da molta gente accompagnata, la mandò.
Costantino, vedendosi tanto onorato e ricco divenuto, non sapeva dove la moglie condurre, e fece consiglio con la sua gatta; la quale disse: — Non dubitar, patrone mio, che ad ogni cosa faremo buona provisione. — Cavalcando ogni uno allegramente, la gatta con molta fretta camminò avanti; ed essendo dalla compagnia molto allontanata, s’incontrò in alcuni cavallieri, a’ quali ella disse: — Che fate quivi, o poveri uomini? Partitevi presto, che una gran cavalcata di gente viene, e fará di voi ripresaglia; ecco che l’è qui vicina: udite il strepito delli nitrenti cavalli! — I cavallieri spauriti dissero: — Che deggiamo adunque far noi? — Ai quali la gatta rispose: — Farete a questo modo. Se voi sarete addimandati di cui sete cavallieri, rispondete animosamente: Di messer Costantino, e non sarete molestati. — E andatasi la gatta piú innanzi, trovò grandissima copia di pecore e armenti, e con li lor patroni fece il somigliante; e a quanti per strada trovava, il simile diceva. Le genti che Elisetta accompagnavano, addimandavano: — Di chi siete cavallieri, e di chi sono tanti belli armenti? — e tutti ad una voce rispondevano: — Di messer Costantino. — Dicevano quelli che accompagnavano la sposa: — Adunque, messer Costantino, noi cominciamo sopra ‘l tener vostro entrare?— ed egli col capo affermava di sí; e parimenti d’ogni cosa ch’era addimandato, rispondeva di sí. E per questo la compagnia gran ricco lo giudicava.
Giunta la gatta ad uno bellissimo castello, trovò quello con poca brigata; e disse: — Che fate, uomini da bene? non vi accorgete della roina che vi viene adosso? — Che? — disseno i castellani. — Non passerá un’ora, che verrano qua molti soldati e vi taglieranno a pezzi. Non udite i cavalli che nitiscono? non vedete la polve in aria? E se non volete perire, togliete il mio consiglio, che tutti sarete salvi. S’alcuno v’addimanda: Di chi è questo castello? diteli: Di messer Costantino Fortunato. — E cosí fecero. Aggiunta la nobil compagnia al bel castello, addimandò i guardiani di cui era; e tutti animosamente risposero: — Di messer Costantino Fortunato. — Ed entrati dentro, onorevolmente alloggiarono. Era di quel luogo castellano il signor Valentino, valoroso soldato, il quale poco avanti era uscito dal castello per condurre a casa la moglie che novamente aveva presa; e per sua sciagura, prima che aggiungesse al luogo della diletta moglie, gli sopragiunse per la strada un subito e miserabile accidente, per lo quale immantinenti se ne morí. E Costantino Fortunato del castello rimase signore. Non passò gran spazio di tempo, che Morando, re di Boemia, morí; ed il popolo gridò per suo re Costantino Fortunato per esser marito di Elisetta figliuola del morto re, a cui per successione aspettava il reame. Ed a questo modo Costantino, di povero e mendico, signore e re rimase; e con la sua Elisetta gran tempo visse, lasciando di lei figliuoli successori nel regno.