La Regola
delle Tre Erre

Il primo amore

Noleggio ancora l’Esperanza e per cinque giorni navighiamo ancora in due, niente pilota, si barra. Il Capitano parla e racconta di mare, di manovre, di luoghi e di persone incontrate; si mangia, si beve (a terra) e si ride, ma in navigazione, con me, è sintetico: metodo base francese delle 3R: Route, Réglages e Rangé (contrazione di «arranger les choses»).

Le Tre Erre vanno eseguite con ordine: 1. Route, cioè la rotta; 2. Réglage, regolazione delle vele; 3. Rangé, e cioè mettere in ordine in chiaro e in sicurezza cime scotte e quant’altro, e, per me, la cosa diviene ancora più sintetica e semplice: niente rotta, solo regolare le vele e mettere in chiaro cime, scotte e drizze. È bene all’inizio non avere da pensare a partenza, rotta, atterraggio, whf, marine e burocrazia, ti libera la mente (sempre ci sia qualcun altro che le fa per te) e ti permette di focalizzarti e nel contempo di perderti in quello che stai facendo.

Regolare le vele, regolare le vele, regolare le vele (mai provare a dirlo da ubriachi, ancor più se Veneti).

Mettere in chiaro cime e scotte, ordinare e tenere pulito il posto di manovra è semplice, necessita di buona volontà, di un po’ di senso pratico e di un poco di olio di gomito, mentre regolare le vele in base alla andatura non è poi così automatico, comunque non demordo e timono, guardo filetti, balumina, grasso e quant’altro; Esperanza è vecchia, e lenta, ma ci porterà in giro comodi e confortevoli, eseguo gli ordini del Capitano, ci capisco poco o niente, ma se non altro inizio a riconoscere qualche termine ed a capirne qualcosina in più… e questo è già un inizio.

Duri i banchi e non demordo, passo dopo passo; nel frattempo rubo con gli occhi come ben dicevano i nostri bene amati Vecchi, e mentre timono, guardo filetti del fiocco e randa… adesso sono a segno: ottimo!

* * *

Me lo aveva premonito con precisione oracolare un amico architetto, appassionato regatante di vela al terzo, appoggiandomi una mano sulla spalla, mentre un mellifugo sorriso gli irradiava il volto, incorniciando due occhietti da satiro… lo disse con voce solenne e greve: «Vedrai, vedrai che diventerà come una droga» ed io, con la stessa convinzione del futuro tossico, ridendogli in faccia, dico che no, figurati! Io? A me! Ma va’!

È sempre facile sparare delle coglionate; mi sento quasi offeso… comunque decido di non dirgli che ho appena noleggiato nuovamente l’Esperanzaun altro Skipper e che tra pochi giorni partirò per la Croazia in compagnia della piccola Giulia, di una amica mia coetanea con i suoi due figli di 9 e 13 anni… eh, eh, eh… Croazia arrivo!!!

Partiamo in tarda mattinata con dieci nodi di vento al traverso, lasciamo alle spalle Venezia e l’isola della Certosa, la marea cala e le dighe del porto ci sparano fuori sul mare; sono abbastanza a mio agio perché già un poco conosco la barca, ma soprattutto perché con me c’è uno skipper.

Sicurezza è sempre la prima parola, il primo pensiero.

La notte in navigazione è serena e stellata, 15 nodi di vento al traverso sono perfetti per la pesante Esperanza, i nostri bimbi si sono conosciuti da poche ore e giocano come vecchi amici, la mia ospite è deliziosa e l’anziano skipper è cortese ma distaccato.

Navigare di notte mi piace, spalanca i cinque sensi e ti fa percepire sensazioni particolari, uniche che al momento non sono ancora in grado di ben descrivere, ma che portano, forse, all’alchimia della fusione tra uomo e imbarcazione.

Piccole veleggiate, marine, rade, gelaterie, scivoli d’acqua e sortite con il tender di bordo alla scoperta di nuovi luoghi, sono i piatti principali della settimana che trascorre piacevole sotto il sole estivo; e di ritorno atterriamo a Caorle per un paio di giorni.

L’ultimo giorno ad una decina di miglia nautiche da Venezia, portati da pochi nodi di vento avanziamo lenti, il pomeriggio scorre piacevole finché lo Skipper decide che quattro nodi di velocità non sono sufficienti, accende il motore per aiutare l’Esperanzafare un po’ più di strada e in pochi minuti dall’interno inizia a sprigionarsi un denso fumo nero… merda! Tutti in coperta!!!

Non vedo fiamme per il momento, tranquillizzo ospite e bimbi, sparo lo skipper dentro a verificare; io catturo un estintore e resto fuori: nel caso lui resti intossicato sarò pronto a ripescarlo e anche se non ho ancora visto del fuoco, meglio restare pronti.

Inutile che sia io a ricordarvi quanto possa essere terribile la condizione di incendio a bordo.

Levata la copertura del vano motore il fumo si fa ancora più denso, ma non c’è fuoco e lo skipper umanamente ammette di non capirne la causa… comunque il motore gira… mancano poche miglia, richiude il vano motore e proseguiamo vele spiegate lasciando dietro di noi una densa scia di fumo nero che esce dagli oblò mentre il motore inizia a perdere colpi e giri, come soffocato.

L’intuito vince sempre, sicchè, non chiedetemi come, dopo pochi minuti, scendo ad aprire nuovamente il vano motore nella folle certezza di poter fare qualcosa, non so cosa ma sento che lo posso fare, lo sento; mi copro bocca e naso con una maglietta bagnata e guardo dentro l’insieme metallico chiamato motore a me sconosciuto, tento di vedere se c’è qualcosa di strano, qualcosa che mi indichi il danno.

Suppongo di poter comparare l’espressione del mio volto in quel momento con quello di una scimmia alla quale hai appena dato in mano un telefonino touchultima generazione, ed è proprio mentre inizio a grattarmi la testa che il motore riprende a respirare, i giri aumentano e sono costanti.

«Cossa ti ga fato?» chiede lo skipper da fuori.

«Bella domanda!» rispondo io da dentro.

Invertiti i ruoli veniamo a capire che il tubo di scappamento è rotto, che lo scarico fumi avviene così all’interno del vano motore, soffocando lo stesso.

Atterraggio spettacolare alla Certosa dove arriviamo circondati da una nuvola di fumo nero; Tutti in salute, bimbi contenti, grazie vecchia Esperanza.

* * *

1 agosto 998

Fa caldo a Venezia, l’assenza di venti fa ristagnare l’umidità che copre con un manto bianco l’intera laguna, il sole è una palla bianca in alto nel cielo e un po’ tutti i Rialtini attendono l’arrivo della sera quando i venti termici muovono l’aria quel tanto che basta per respirare.

Nei campi della città, intorno ai pozzi, la terra è arsa: a parte l’acquazzone dei primi di luglio, è
quasi un mese che non piove, cosa che rende estremamente felice El Pansa, rinomato oste che ben sa che, al momento, in città, c’è più vino che acqua ed a dimostrazione di questo, il suo locale lavora a pieno regime sino a tarda notte, tra rimostranze del vicinato e allegria etilica degli astanti.

A fianco della Osteria c’è una piccola bottega, dove un anziano navigatore vedovo, intaglia forcole e Bepi frutariol, quando ha tempo libero e non può veleggiare per la laguna, lascia moglie e figli e va da lui con un buon ciocco di legno per forcole, in genere procurato dal Maffio, e con lui parla di mare, navigazioni, luoghi, persone, da lui sta imparando a leggere parole e carte nautiche all’insaputa del Niccolò che sempre lo punzecchia tronfio della sua origine e cultura.

È tardo pomeriggio e Maffio, superato l’ultimo ponte, si dirige dal Pansa, dove gli amici lo attendono; i tavolacci fuori della osteria sono già pieni e dall’interno canti e urla fuoriescono invadendo il campiello.

Maffio è alto, forte, un vogatore dal carattere esplosivo con un gran cuore; di poche parole e poca cultura, in genere, mena le mani verso la trentesima parola, cioè quando ha finito gli argomenti a sua disposizione e i caratteri disponibili nel suo scarno abbecedario, nonostante sappia far di conto, ma è molto fiero di sè stesso e della Repubblica che gli ha dato la possibilità di entrare a far parte di una corporazione, che ha insegnato a suo padre a leggere e scrivere dando a lui la chance di migliorare il suo stato sociale.

Cinque mude in galera aveva fatto in compagnia dell’amico Bepi, cinque mude ben pagate a causa del rischio pirati, cinque mude una dietro l’altra con le galere del padre di Niccolò, ora divenuto un Capitano Rialtino.

Entra salutando e si dirige, sicuro di trovarvi Niccolò, verso le urla provenienti dall’attigua corte interna della osteria; come al solito Niccolò sta dando dimostrazione e lezioni sul lancio dei coltelli, sua attitudine e passione appresa da un Turco conosciuto in terre lontane e sviluppata in anni di lanci, quasi ad un livello maniacale, tanto da essere ormai in grado di lanciare con effetti micidiali qualsiasi pezzo di ferro o pietra: la sua mira, è così rinomata in città, che ormai quasi nessuno scommette più, quasi certo de veder evaporare i propri bezzi.

La corte rettangolare, gremita di curiosi, neofiti e allievi con occhi e orecchie puntati, pronti ad apprendere una cosa nuova, di utilità pubblica, pronti ad imparare una nuova tecnica per difendere figli, mogli, beni, proprietà e la adorata Città; alle finestre dei piani superiori donne e bambini osservano, spiano. Niccolò compie l’ultimo lancio da sei passi di distanza colpendo, quasi in centro, la sagoma raffigurante una testa senza volto.

Urla degli ubriachi, applausi composti dai più sobri, amichevoli pacche sulle spalle e riveriti inchini concludono la scena, mentre Maffio, con un cenno della testa, aspira fuori dalla corte il Niccolò… adesso manca solo il Bepi.

Come si conobbero le famiglie? Tutto era cominciato dai loro nonni al tempo della caduta del tiranno despota Pietro.

I loro nonni si erano conosciuti durante la rivolta, propio durante la battaglia finale: i mercenari del Doge difendevano accanitamente Palazzo Ducale finché i tre si trovarono ad aiutare un nobiluomo che si apprestava a dare fuoco al suo palazzo, adiacente alla dimora del Doge, riempito di tutto ciò che poteva ardere; appiccato l’incendio erano corsi fino alla piazzetta dei leoncini dove il nonno di Bepi riconobbe travestito il doge e lo fermò, il nonno di Maffio gli sferrò il primo pugno giusto in faccia visto che veniva da Oderzo appena rasa al suolo, ed il nonno di Niccolò gli diede la prima coltellata, poi la folla fece il resto tagliuzzando in piccole parti il corpo del tiranno sì che ci vollero parecchie settimane per ricomporlo.

Fu così che i tre uomini, nonostante le differenze sociali, divennero amici, fratelli e si frequentarono per anni, cosicché i loro figli e i figli dei loro figli restarono profondamente uniti nonostante fossero passati già quasi cinquant’anni, ed è così che Bepi, Maffio e Niccolò si conoscono da bimbi.

I due, ordinati tre buoni bicchieri, siedono fuori aspettando il Bepi che da lì a poco arriva sfoderando una copia manoscritta del De consolatione di Boezio e, al caustico commento del Niccolò, risponde con una classica pernacchia di scherno.

«Impertinente di un Aristocratico, imparerò bene, anche a far di rotta, per navigar alla faccia tua!»

«Tracciami una rotta, conosci i venti, indicami le stelle e ti darò una galera di quelle di mio padre… caprone ignorante. Comunque a tal proposito, proprio al navigar si deve questo nostro appuntamento, ho una cosa importante da dirvi e spero che voi due, i miei due amici, sarete con me per la gloria di Rialto e del nostro Leon».

Poi continuò a bassa voce, come si parla agli amici.

«Onore al nostro Doge Pietro ][ Orseolo che mi ha affidato il comando di quindici galere da guerra e tra un anno la nostra poderosa flotta al completo andrà a eliminare completamente i pirati, siano Dalmati o altro… questo è il Nostro mare ed io vi voglio con me, sulla mia nave; tu Bepi mi farai da secondo e tu Maffio a capo dei vogatori, sarete ben pagati anche se è semplicemente nostro dovere e onore farlo».

Due cenni con la testa, una serie di gran pacche sulle spalle ed un brindisi silenzioso guardandosi negli occhi, sancirono l’inizio della grande avventura.

Prima volta in Bretagna

È già da qualche mese che ho iniziato a sfogliare varie riviste di nautica, leggo, mi
informo, imparo nomi e inizio a pormi la domanda (dico: «eventualmente succeda»): quale barca compererei sapendo e potendo: poche idee, ma ben confuse.

Fine luglio e il Capitano mi propone di accompagnarlo in Bretagna dove sta pensando di comperare una barca a vela che ha già avuto modo di testare in una precedente visita, della quale è rimasto entusiasta e ne decanta le virtù come fosse lui stesso il venditore: vado anche io, così avrò modo di vedere e provare il 12. 50, più adatta, eventualmente, a divenire una piccola confortevole dimora.

Ebbene sì, non posso più nascondermi: il mio matrimonio è finito, i Santoli andati su in cielo. I l Signore o chi per Lui li accompagni, ed Io mi compro una casa galleggiante. Sì, va’.

Barca inaffondabile e chiglia retrattile sono le parole che principalmente mi colpiscono durante la descrizione del Capitano, imbarcazione classe A (non so cosa voglia dire, ma A è sempre A), una vera barca marina, come dice lui, senza fronzoli interni, pratica, veloce, dove tutto è studiato per fare vela.

Primi di agosto 2013, prime millecinquecento miglia marine effettuate in quattro mesi. L’aereo a Nantes arriva veloce, noleggiamo una macchina e un paio di ore dopo inizio con meraviglia a scoprire la Terra Bretone; so che la Bretagna è Francia, ma così come noi Veneziani ci sentiamo, a ragion oggettiva, prima Veneziani, poi Italiani e successivamente Europei, così, i Bretoni, che hanno oggettivamente una cultura differente da quella francese si sentono prima Bretoni, (e ne sono fieri), poi Francesi ed Europei. Parlo di storia, storia vera, centinaia e centinaia di anni, non di storie inventate per ragioni politico-economiche di bassa visione, cieche, antiquate come da noi da quattro furboni populisti che per anni hanno illuso gente semplice rapinandola di soldi, ideali e speranze.

Nel primo pomeriggio arriviamo a Benodet.

Osservo la spiaggia semicircolare ed un fiume che sfocia sulla destra, gli scogli e la foresta dal denso e variegato verde e ne resto incantato: qui la natura è forte, poderosa e i venti spazzano; le tempeste invernali pestano di brutto, le maree sono possenti muri d’acqua che creano correnti molto veloci, gli scogli affiorano vicino alla costa e la Bretagna ne è costellata, così come di numerose e affascinanti isole e luoghi da incanto. Bellezza e pericolo, quale fascino.

Inizio a capire perché molti dei più grandi pittori, e non solo, restarono affascinati da questa terra, da questa gente, ma soprattuto dalla incredibile luce che qui raggiunge livelli di nitidezza e splendore che personalmente ho incontrato solo in Himalaya sopra i 4000 metri.

Benodet è una graziosa cittadina turistica munita di casinò, talassoterapia, spiaggia con contorno di luoghi dove mangiare, dormire, fare acquisti… esattamente il luogo dove personalmente non voglio stare, troppo turistica a mio gusto ed opinione: non voglio fare lo snob, ma, ad un Veneziano come me, diviene insopportabile visitare un luogo turistico, per me, me che come voi, vedo ogni anno lo scorrere di ventidue ventiquattro milioni di turisti. È un posto gradevolissimo ma non fa per me… inizio a cercare altrove; mi fido molto della mia attitudine alla esplorazione.

Il Bar del Pirata

Delle volte la soluzione ti si para davanti semplicemente; così, durante l’aperitivo pomeridiano, che anche qui fa parte della tradizione, scopro, che, tra i due locali moderni che sono sulla riva del fiume, c’è una piccola porta in legno munita di insegna vecchio stile: un pezzo di legno e due cime logore sostengono la scritta Bar del Pirata.

La scritta è accattivante e sembra la scenografia di un film, non esito ed entro all’interno di quella che è una antica osteria con travi in legno scuro impregnate di fumo, di odori, di sudore, travi vissute e muri in pietra e legno con grandi tavoli rettangolari posati su di un pavimento di assi logore; alla mia sinistra il banco, munito di oste ed avventori mentre sul primo tavolo alla mia destra, anziani giocatori di carte. Fumo nell’aria, sospeso, come il locale intero che per un secondo, alquanto imbarazzante, si ferma ad osservarmi: un saluto doppio, da parte mia, uno all’oste ed uno astanti sgela un minimo l’ambiente, poi, come mi appoggio al banco e ordino, il primo avventore, inequivocabilmente ubriaco, mi affianca e mi stringe la mano salutandomi; non so cosa aspettarmi, ma non ho il tempo di pensare che un secondo avventore viene da me stringendomi amichevolmente la mano, così il terzo e il quarto e così via fino ad esaurimento astanti… saranno le tradizioni… Ma non è che adesso devo pagare un giro per tutti?

Tutti a stringermi la mano; il primo è ubriaco, ok; il secondo ed il terzo mi prendono per il culo, e gli altri?

Un paio di birre dopo, alla comparsa di un nuovo avventore, la scena si ripete ed io, assai rincuorato, offro un giro al mio vicino che a sua volta ricambia presentandomi un altro amico, il quale, onorato della presenza di un nobile forestiero, offre un giro, poi ne offro uno io, poi l’altro che nel frattempo si è affiancato con un altro amico… il quale ovviamente offre, a sua volta, un giro… considerando di essere almeno in sei, fate un po’ voi il conto dei giri.

Sono pescatori della zona, anziani o meno, lavoratori del mare dalle mani rudi, il volto segnato dalle onde e dal vento le rughe incise dalle correnti e raccontano storie di mare, raccontano la loro giovinezza senza nostalgia apparente e parliamo di mare, di viaggi, di barche, di vita vissuta; al contrario, l’oste, è un ex legionario con tanto di mostrine e cappello in bella vista: età tra i sessanta e settanta, fisico piccolo, tarchiato, compresso e ancora evidentemente esplosivo, parla poco e forse non gli sono tanto simpatico, ma verso la decima birra, inaspettatamente, mi sorride e mi stringe la mano.

Svariate birre dopo, esco stordito dal Bar del Pirata dove il fumo è divenuto così denso da creare un piccolo microclima interno denominato, generalmente, nebbia.

Fuori il cielo è terso, manca la luna ma ho la sensazione di poter toccare le stelle con una mano e abbassato lo sguardo vedo dall ‘altra parte del fiume un piccolo villaggio dallo aspetto affascinante: situato alla foce mostra due o tre locali, una micro chiesa ed una piccola insenatura, poche case, una specie di casa galleggiante che sembra il negozio di fiori del gruppo TNT in Alan Ford e pontoni per barche a vela. Domani andrò in esplorazione.

L’Amore

La mattina dopo siamo in cantiere ed il Capitano, dopo una breve visita, mi porta proprio nel piccolo villaggio di Saint Marine, lo stesso visto da me la sera prima dove ci attende il 10.50 che ci limitiamo a guardare in quanto impegnato per quel giorno… C’è però il 12. 50 da provare… usciamo.

Spiegare cosa ci fa veramente innamorare è arduo, se non impossibile, si può, forse, comprendere con speculazioni intellettuali che alla fine non esplicano né segreto, ne’essenza e dunque, per esempio, se dovessimo spiegare a qualcuno perché amiamo una donna, sarebbe alquanto difficile: ne potremmo elencare, le qualità fisiche o intellettuali, le attitudini o altro, ma queste non sarebbero in ogni caso sufficienti a dare una spiegazione del perché ci siamo innamorati.

Chimica, Alchimia, Magia, chiamatela come vi pare… resta il fatto che non si riesce completamente a spiegare.

«Tremo per quel non so che si trova a volte a caso» recita il testo di una vecchia canzone di trenta anni fa che perfettamente si adatta a quello che ho provato in quel momento; come un innamorato urla dentro di sé: «È lei! È mia!» Così so per certo che lei, questa barca, è fatta per me: la voglio, la compero. Datemi pure del pazzo, incosciente, avventato… ma c’è una sola unica vita e anche a credere alla reincarnazione, c’è appunto, una sola, unica, vita fisica: di certo né la mia mente e tantomeno il mio corpo si reincarneranno mai, sicché, vista la chance offertami dalla vita stessa… barca sia!!!

Barca! Barca! Barca!

Il venditore, tra l’altro ottimo regatante, mi dice che dovrò attendere un anno prima di avere la mia; incasso il colpo come un devoto spasimante e con la tipica espressione da stupido che si ritrovano tutti gli innamorati, dico «…sì, sì certo, aspetterò; aspetterò la mia nuova barca, la mia nuova casa, la mia nuova vita».

Torniamo in Italia e vengo colto da mille dubbi e paure sulla nuova vita che mi sto preparando; il Capitano non compererà il 10.50 dopo l’annuncio che la moglie è in attesa del terzo figlio e a me, una vocina interna tagliente e persistente, da quando ho deciso di acquistare la barca, mi dice «Ce la farai? Sarai in grado? Sei consapevole che non conosci praticamente niente del mondo della vela? Pensi che basti avere i soldi e comperarti la barca per essere uno skipper? Che c..o stai facendo? Aspirante suicida?»

Nel frattempo che mille domande affollano il mio microscopico cervello cercando i cinque neuroni rimasti per avere risposte, io ne approfitto e con il Capitano ci imbarchiamo come equipaggio per il trasferimento di un Class40 da La Spezia a Malta approfittando così di conoscere una barca molto simile alla mia, solamente più potente e meno confortevole, una barca da regata insomma, diretta a Malta per la Rolex Middle Sea Race.

Cinque giorni di navigazione, settecento miglia nautiche istruttive per individuare lo sbruffone di bordo, figura che onestamente è meglio sempre evitare, si mostri sotto l’aspetto del gran navigatore, mago dei mari, sapiente dei sapienti o altro, in genere si manifesta quasi matematicamente al terzo o quarto complimento che gli fai: il soggetto inizia progressivamente a gonfiarsi sino a auto eleggersi, nel giro di pochi giorni, in una maniera o in un altra, a guru della vela o gran saggio dei sette mari.

Per quanto mi riguarda ho solo da guadagnare, settecento miglia nautiche, cinque giorni, situazione meteo cambiata almeno dieci volte, barca simile a quella che aspetto: non potevo chiedere di meglio.

Una altra briciola di esperienza da aggiungere… e tante briciole, è bene ricordare, fanno un panino.

Arriva l’inverno ed io posso solo aspettare metà maggio del prossimo anno per avere la mia bella, sicché, in vista di tutto ciò, decido di andare ad abitare per quattro mesi in montagna e prepararmi, almeno fisicamente, alla nuova vita che mi aspetta.

Passo l’inverno intero a studiare, programmare gli interni della mia nuova casa, facendo sport tutti i giorni, e presto arriva la primavera; un mese ancora e partirò per la Bretagna. Mi manca quasi il fiato, non so nulla ma almeno il corpo è allenato e reattivo. Meglio di niente.

Saluti a Voi concittadini. Saluti alla mia amata città. Saluti, benessere e prosperità.

A bordo., Benodet, in Bretagna.

La Regola delle Tre Erre