Guardando Guardi

C’è tempo fino al 6 gennaio del 2013 per ammirare l’opera di Francesco Guardi, esposta in ordine cronologico (e anche di fatto tematico) nelle sale del Museo Correr in Piazza San Marco a Venezia. Convogliate da musei di tutto il mondo, più di cento opere del longevo e prolifico pittore veneziano, che di necessità di vita e per libero arbitrio d’arte attraversò tutti gli anni e tutti i generi del Settecento veneziano.

VENEZIA — Mancano i ricordi di Gentile da Fabriano e Pisanello e come non sappiamo quali aspetti abbiano avuto le loro narrative pitture, che ornavano la Sala del Maggior Consiglio, così non conosciamo neppure fino a che punto le loro opere abbiano gettato le basi per quell’arte del racconto, che vediamo ampiamente e mirabilmente realizzata a Venezia da Gentile Bellini e Vittore Carpaccio.

Le vedute di Gentile Bellini, fratello di quel Giovanni più famoso e conosciuto per le sue Madonne col Bambino, sono auliche, distaccate, fredde e solenni. I personaggi stanno lì fermi come le architetture, diversa la realtà di Vittore Carpaccio che presenta vedute del tutto rinnovate, in cui l’elemento più importante è la presa di contatto diretta e veritiera delle cose. Nei suoi teleri con le Storie di Sant’Orsola usa il punto di vista rialzato e presenta una Venezia presa dal vero nei suoi molteplici aspetti, nella vita che si muove tra le acque del canale e le sue rive, sui ponti, nelle case fin sui tetti dove si muovono il muratore che sistema le tegole e le donne che sbattono i tappeti in altana.

Un altro artista nel cinquecento è scrupoloso osservatore della realtà: Lorenzo Lotto, egli guarda fino in fondo l’aspetto vero delle cose, nella loro struttura fisica e nella loro apparenza e in questo posso dire che è da considerarsi precursore di Francesco Guardi, sempre portato più a sentire la realtà nella sua suggestione visiva piuttosto che nella sua consistenza.

Le origini dell’opera di Francesco Guardi come vedutista sono contraddittorie e come quelle del Canaletto avvolte nella leggenda.

Figlio di genitori trentini, che si erano conosciuti a Vienna dove entrambi si erano recati da giovani e dove, sposatisi, avevano avuto il loro primo figlio, (GianAntonio, nel 1699) trasferitisi a Venezia ebbero la secondogenita Maria Cecilia che andò sposa nel 1719 a Giovanbattista Tiepolo. Francesco Lazzaro Guardi nacque invece a Venezia il 5 Ottobre 1712. Rimasto orfano di padre in tenera età andò a lavorare nella bottega del fratello maggiore Gian Antonio anch’egli pittore come il fratello minore Nicolò.

La riscoperta di Gian Antonio risale al 1913 per opera dello storico dell’arte Gino Fogolari. A celebrare e far conoscere entrambi fu una mostra del 1965 a Venezia.

Dato quindi oggi per certo che i due fratelli lavoravano insieme come pittori di opere sacre e ritrattisti, il problema rimane stabilire quando ebbe inizio l’attività di vedutista di Francesco Guardi. E se non vi sono dubbi che Francesco fu il solo esecutore delle Storie di Tobiolo dell’Angelo Raffaele di Venezia, i critici ancora discutono e vivisezionano or questo or quel dipinto per assegnarlo ora ad Antonio ora a Francesco o allo sconosciuto Nicolò.

Francesco si dedicò in età matura a vedute e capricci — libere composizioni di paesaggio e rovine ispirate da luoghi reali ma arbitrariamente e con fantasia composte — opere dalle atmosfere magiche e sospese così diverse dalle limpide e cristalline vedute del Canaletto.

Oggi Francesco è considerato fra i pittori più originali del Settecento, ma la sua fortuna venne solo dopo la morte, in vita fu negletto, vilipeso e poco apprezzato
dalla critica.

Egli inizia a dipingere Venezia dal suo interno (come il Longhi), il suo dipinto più famoso di questo periodo è Il parlatorio delle monache di San Zaccaria, vi sono in quest’opera tutti gli elementi tipici del Settecento veneziano: la maschera, la coppia di amanti, la vita spensierata, qui li troviamo tutti composti in modo indovinato e coinvolgente. È il gusto del Divertissement de Venise, «caffè, maschere, danze e la sincera amicizia d’amor sono i piaceri che in libertade e pace gode l’alma città che all’Adria impera». Tuttavia queste opere di costume, come era accaduto per i dipinti di storie sacre non hanno seguito, due false partenze per Francesco Guardi. È solo dopo il 1750, quando il Canaletto soggiorna per dieci anni a Londra, che Guardi si dedica alle vedute e ai capricci in modo originale; tanto che l’elemento architettonico risulta, nel tempo, sempre più compresso fino a diventare una linea di divisione fra cielo e acqua. Figure e imbarcazioni diventano progressivamente macchie di colore, svirgolate di bianco o punti neri tremolanti. Gli scorci del Rio dei Mendicanti, Il canale della Giudecca o L’Isola di San Michele appaiono in atmosfere diverse, interpretate, poco fedeli all’originale. Le sue composizioni si sciolgono, le sue immagini si dileguano in una pittura rarefatta, senza corpo. La Venezia di Gian Antonio riflette una condizione culturale che ignora la realtà di una Repubblica che cadde solo tre anni dopo la sua morte. ★

Guardando Guardi