Poesia dell’istante
La fotografia umanista di Sabine Weiss
Grande riapertura post pandemia per la Casa dei Tre Oci alla Giudecca: in mostra oltre duecento immagini di Sabine Weiss, forse la più longeva e completa fotografa del Novecento, scomparsa all’età di 97 anni (nella sua casa di Parigi lo scorso 28 dicembre 2021).
VENEZIA – Unica fotografa donna del dopoguerra ad aver esercitato questa professione così a lungo e in tutti i campi della fotografia – dai reportage ai ritratti di artisti, dalla moda agli scatti di strada con particolare attenzione ai volti dei bambini, fino ai numerosi viaggi per il mondo – Sabine Weiss ha potuto partecipare attivamente alla costruzione della mostra, aprendo negli ultimi mesi di vita i suoi archivi personali per raccontare in modo ampio e strutturato, la sua straordinaria storia e il suo lavoro.
Gli scatti esposti ai Tre Oci, tra i quali diversi inediti – come la serie dedicata ai manicomi, realizzata durante l’inverno 1951-1952 in Francia nel dipartimento dello Cher – ripercorrono insieme a diverse pubblicazioni e riviste dell’epoca l’intera carriera di Weiss, dagli esordi nel 1935 agli anni ’80. Fin dall’inizio, Sabine Weiss, come testimoniano in mostra le foto dei bambini e dei passanti, dirige il suo obiettivo sui corpi e sui gesti, immortalando emozioni e sentimenti, in linea con la fotografia umanista francese. È un approccio dal quale non si discosterà mai, come si evince dalle sue parole: «Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto».
Nell’esposizione Sabine Weiss. La poesia dell’istante le immagini degli anni Cinquanta, anni del riconoscimento internazionale della fotografa. A partire dal 1952, svolta decisiva con l’ingresso nell’agenzia Rapho, su raccomandazione di Robert Doisneau. Dal 1953 in poi le sue fotografie sono pubblicate da grandi giornali internazionali come Picture Post, Paris Match, Vogue, Le Ore, The New York Times, Life, Newsweek. Nello stesso anno Sabine Weiss partecipa alla mostra Post War European Photography al Museum of Modern Art di New York e nel 1954 l’Art Institute di Chicago le dedica un’importante personale. Nel 1955 tre dei suoi scatti sono scelti da Edward Steichen per la storica antologica The Family of Man, ancora al MOMA di New York.
Dal 1952 al 1961 Sabine Weiss collabora, accanto a fotografi come William Klein, Henry Clarke e Guy Bourdin, con Vogue, realizzando alcuni memorabili servizi di moda, di cui in mostra sono esposti vivaci scatti a colori insieme a una quindicina di numeri originali della celebre rivista.
Una sezione del percorso è poi dedicata ai suoi ritratti di pittori, scultori, attori e musicisti. Per cinque anni, il marito di Sabine, Hugh Weiss è il mentore dell’artista Niki de Saint Phalle (nata Catherine-Marie-Agnès Fal de Saint Phalle 1930 – 2002), mentre Sabine è vicina ad Annette Giacometti, la moglie del grande scultore Alberto. In mostra non mancano i loro ritratti accanto a quelli di altre personalità come Robert Rauschenberg, Françoise Sagan, Romy Schneider, Ella Fitzgerald, Simone Signoret e Brigitte Bardot.
L’America, raggiunta nel 1955 sul transatlantico Liberté in compagnia del marito Hugh, la impressiona fortemente, e i scuoi scatti realizzati a New York nelle sue strade brulicanti di dettagli, dal Bronx ad Harlem, da Chinatown alla Ninth Avenue, sono pubblicati dal New York Times in un ampio servizi dal titolo «I newyorkesi (e la Washington) di una parigina». Sono immagini che raccontano l’America con un punto di vista francese, dall’umorismo spiccato, molte delle quali vengono esposte solo oggi, per la prima volta in Italia, in occasione della retrospettiva ai Tre Oci.
Il percorso riserva ampio spazio anche ai lavori realizzati a partire dagli anni ‘80, all’età di sessant’anni, durante i suoi viaggi in Portogallo, India, Birmania, Bulgaria ed Egitto. Come osserva la curatrice Virginie Chardin: «in essi si registra una straordinaria vivacità intellettuale con note sentimentali, incentrate sulla solitudine, sulla fede e sui momenti di riflessione dell’esistenza».
L’esposizione, il primo e più importante tributo alla sua carriera (con oltre duecento fotografie e alcuni interessanti filmati) è stata curata da Virginie Chardin, promossa dalla Fondazione di Venezia, realizzata da Marsilio Arte in collaborazione con Berggruen Institute, prodotta dallo studio Sabine Weiss di Parigi e da Laure Delloye-Augustins, con il sostegno di Jeu de Paume e del Festival internazionale Les Rencontres de la photographie d’Arles.