Vuitton pas bon

C’è chi è pronto a giurare sull’esistenza di persone che di anno in anno ne aspettano febbrilmente l’uscita. Che le reputano dei capolavori imperdibili, o quasi. Che le comperano anche per regalarle agli amici. Che le ritengono infallibili. Che le giudicano indispensabili nel mondo moderno. Che non farebbero un passo, o non intraprenderebbero un viaggio, senza averle consultate. Che non andrebbero mai in un posto che non fosse da loro consigliato. Che insomma non potrebbero vivere senza.

Sono un oggetto di lusso. E di culto. Dipinte a vivacissimi colori pastello, sono fatte di pasta di legno di foreste rinverdite, che non si capisce cosa significhi, però fa molto chic. Sono le City Guides di Louis Vuitton, sì proprio lui, quello dei bauli. Nate nel 1998 e «attese ogni anno dai viaggiatori di tutto il mondo», così dice la réclame, queste guidine stravaganti e coloratissime «propongono una selezione accurata di indirizzi e mete all’avanguardia tra il panorama urbano mondiale».

Sono quindici, e costano trenta euro cadauna: New York, Miami, Los Angeles, Pechino, Hong Kong, Seul, Tokyo, Mosca, Parigi, Londra, San Paolo, Città del Messico, Capetown, Sydney, Venezia. Volendo, si possono acquistare (ma solo nei negozi Vuitton, naturellement) anche tutte assieme, riunite in eleganti cofanetti in legno laccato, disponibili in quindici colori diversi. Il prezzo: quattrocentocinquanta euro. Be’! È come comperarle singolarmente: non si risparmia nulla, tirchione di un Vuitton! Almeno una, comperandole tutte, poteva regalarla.

Venezia è l’ultima nata, fresca fresca, appena uscita. I siti modaioli informano che, diversamente dalle altre, la guidina lagunare, che è di colore lillino, é stata dotata di un nuovo concept, e anche di un «nuovo layout». Meno male. E non solo: il glorioso team di fotografi che l’ha ritratta, ha immortalato «hotspot cittadini» oltre che «destinazioni cool». Pensa sennò.

Non ho letto le altre guide, né penso lo farò. Quella di Venezia mi è bastata per capire che qualcosa non quadrava. Del resto non potevano piovere dal nulla le critiche, talora pesantissime, che si sentivano circolare per la città a proposito della guidina lagunare. Come gli articoli, molto critici, apparsi su giornali molto seri come Il Fatto Quotidiano ed Europa, che ho ripreso nella mia Punturina su La Nuova, nei quali si evidenziavano, oltre a molti errori, imprecisioni e omissioni, anche certi giudizi piuttosto offensivi nei confronti dei veneziani, giudicati quasi come un’etnia a parte: bizzarra, ubriacona, persino un tantino cafona.

Venezia viene descritta come una «città provinciale», dove «l’alcol non si misura», dove gli uomini passano tutto il loro tempo al bar a giocare a carte, e le donne (golose di ori e di pellicce) a fare pettegolezzi. Per non parlare di calli e callette spacciate per strade e stradine, che a Venezia non esistono, e di calli e campielli spacciati per piazze e piazzette in una città dove l’unico spazio chiamato piazza è quello di piazza San Marco.

Se questa è la Venezia di Vuitton, non oso pensare a come saranno le altre città. Meglio voltare pagina. E comperare un’altra guida. ★

Le guide di Vuitton 2014 (www.louisvuitton.com).

Vuitton pas bon