Unga Dunca

Profanazioni e misfatti

Un grande editore italiano pubblica un grande libro (grande nel senso della lunghezza e della pesantezza, la bellezza di 658 pagine) di un grande poeta italiano. Il poeta è Giuseppe Ungaretti ma il libro, anziché poesie, contiene 337 lettere d’amore che il poeta scrisse all’età di 78 anni a una signorina di 26 di cui, come dicono i rotocalchi rosa, si era perdutamente invaghito. Una molto discutibile operazione commerciale che nulla aggiunge alla conoscenza della poetica di una delle voci più limpide della poesia italiana del Novecento.

Il poeta Giuseppe Ungaretti (1888-1970), una delle voci più limpide della poesia del Novecento, tra il 1966 e il 1969 scrisse 337 lettere d’amore a una signorina italiana che viveva in Brasile, tale Bruna Bianco, di cui si era invaghito. A quel tempo il poeta aveva 78 anni, mentre la signorina, che teneva i conti in una filiale dell’azienda di vini spumanti del padre, appena 26. Vale a dire 52 di meno.

Di queste lettere, trattandosi di corrispondenza privata, fino a ieri non si sapeva -giustamente- nulla. Oggi, non si sa perché –ma si può agevolmente immaginare- sappiamo tutto. Vengono addirittura pubblicate in un libro. Anzi, diventano esse stesse un libro (noiosissimo peraltro), lungo addirittura 658 pagine, intitolato con poca fantasia “Lettere a Bruna”, curato da Silvio Ramat e pubblicato da Mondadori.

Un libro inutile. Da evitare. Non solo perché non è bello guardare sbavamenti senili dal buco della serratura, ma perché Ungaretti aveva scritto quelle lettere per destinarle unicamente a una persona con cui aveva un legame tardivo, e non certo perché venissero pubblicate e lette da tutti. Sicuramente si rivolterebbe nella tomba, come si usa dire, povero vecchio, se venisse a scoprire che tale misfatto è stato invece perpetrato. Ai suoi danni e per farsi beffe di lui.

Quello che c’è scritto in quelle lettere (niente di che, peraltro), non aggiunge inoltre una briciola di conoscenza alla sua poetica, vale a dire alle sue poesie, quelle scritte, quelle sì, per venire pubblicate. Anche per questo non vale proprio la pena di spendere i 21 euretti che costa il libro, per leggere frasi del tipo: “Ecco, caro amore mio, tutto. Ti penso sempre. Ti amo. Ti bacio. Il tuo Unga”.

Unga, si firmava Unga. Facendo il verso a quell’indiano stralunato, Unca Dunca –forse qualcuno lo ricorderà- inventato da Bruno Bozzetto per la pubblicità del Carosello.

Lasciatelo riposare in pace, per piacere, il grande capo Unga. E non comperate quel libro del buco della serratura. Andatevi piuttosto a rileggere le sue poesie. Quelle vere. Quelle scritte apposta per tutti noi. Scoprirete che ne valeva la pena. Quelle sì.

LA PAGELLA

Giuseppe Ungaretti: voto 9
“Lettere a Bruna”: voto 4

Unca Dunca, l'indiano del Carosello (fonte: Altervista)

Unga Dunca