Una stupefacente
eccentrica marchesa

Protagonista della Belle Epoque Luisa Casati Stampa (1881-1957) con le sue esibizioni ed i suoi mascheramenti fece di se stessa un’opera d’arte. Una mostra a Palazzo Fortuny, che la marchesa aveva frequentato per vestirsi con le ricercate sete e i famosi Delphos di Fortuny, sta rievocando questa femme fatale (fino all’8 marzo 2015). Anche Paul Poiret, D’Ertè e Leon Bakst realizzarono per lei abiti folli, sognati e preziosi.

Affidò la sua vita al travestimento: non valeva la donna, ma i suoi abiti, il suo apparire ora con un serpente vivo intorno al collo, ora nuda nella notte veneziana con ghepardi al guinzaglio. A Venezia prese in affitto Palazzo Venier dei Leoni , che trasformò in un fantasmagorico luogo di magie e di teatro dove tenne memorabili feste che la resero famosa nella società del tempo.

Venne ritratta da Boldini, Depero, Van Dongen; Man Ray la fotografò con sei occhi, De Mayer inventò una foto con mani ingioiellate che sostengono un volto incupito. Di D’Annunzio fu amante per tutta la vita e fu il Vate che coniò per lei il soprannome di Coré, nel duplice significato sia di una Kore virginale (κόρη), sia una infernale kore (dal soprannomeche i greci davano a Persefone, andata in sposa all’infero Ade).

Ogni festa o ricevimento a cui l’eccentrica nobildonna (e collezionista d’arte) partecipava era per lei un’occasione per usare il corpo come elemento scenico. Alta e magrissima, i capelli rosso fuoco, rese gli occhi fari mercuriali fosforescenti, pupille di gatto nella notte per l’uso di droghe, la bocca era una ferita rosso fuoco.

Alla mostra si possono vedere nelle foto e nei dipinti i costumi che Bakst fece per le feste veneziane organizzate dalla marchesa.

Malvagia come tutte le regine della notte, Luisa era per d’Annunzio la «stigia Coré»: strega senza pace dagli appuntamenti notturni, un pipistrello sperduto che distrugge la vita con un colpo d’ala, come la dipinse Romaine Brooks.

Un’altra immagine rappresenta la Casati con un pitone, un’anti Vergine, che invece di schiacciare il serpente col calcagno lo accoglie sul suo corpo come una demoniaca strega. Del resto la marchesa era convinta di essere una vera strega in grado di evocare spiriti maligni e causare la morte dei nemici.

Le sontuose feste, i continui viaggi, gli splendidi vestiti prosciugarono il suo ricco patrimonio e la marchesa rimase al verde. Protagonista assoluta di una vita continuamente reinventata morì nel 1957 sfinita dall’abbandono, dalla solitudine e dalle droghe.

La mostra ha il merito di dare ordine e concretezza al formarsi di questo mito narcisistico ed al suo rapporto con il futurismo, anche se il rapporto di Luisa Casati con l’arte nacque prima dell’incontro con Marinetti. Fondamentale fu invece il rapporto con l’artista Alberto Martini, costante presenza nella vita della Casati. Martini la rappresentò come misteriosa creatura simbolista, maschera e simbolo vivente di un mondo di feste tenebrose e lagunari.

Sicuramente Luisa Casati non fu soltanto una dannunziana medusa incantatrice, ma la prima consapevole body artist, «opera d’arte vivente» come lei stessa amò definirsi; con i rettili usati come gioielli e il trucco degli occhi sottolineati da enormi scure occhiaie. Una chimera futurista.

Man Ray, ritratto di Luisa Casati (1928)., Giovanni Boldini…

Una stupefacente eccentrica marchesa