Un pericoloso incapace

Osservazioni sul volo di una piccola madre

Tra due maestose montagne, il Pelmo e l’Antelao assisto allo stupefacente spettacolo della natura. Sovrastate da un cielo azzurrissimo, solcato da bianche nuvole in perenne mutamento, mi ritrovo incluso in uno scenario superbo. Rocce, alberi, piante e fiori di ogni tipo rallegrano il mio sguardo.

Un uccellino svolazza di continuo non lontano da me e la mia sedia. Dal mio punto di osservazione, a due passi dal prato, lontano dalla città e dagli umani urlanti, realizzo in un istante la mia condizione di estraneo.

Cerco di decifrare il contesto, di classificare, etichettare, catalogare: gli insetti, il tipo di fiori, il nome delle piante, le specie degli alberi. Ne riconosco pochissimi. Mi dolgo della mia ignoranza e resto meditabondo per qualche istante. Ma poi, mi viene da pensare che forse proprio questa ansia di conoscere e decifrare è alla radice del malessere del nostro tempo.

Mi convinco, piano piano, che dovrei fare come gli animali presenti in questo pezzo di natura. Sanno quello che gli serve sapere e non hanno bisogno di altro. Riconoscono il pericolo e sanno trovare quanto necessita al loro sostentamento.

Provo a immedesimarmi: sono nel bosco, di notte, solo, nudo, affamato: morirei in pochi giorni. Ho perduto la capacità di sopravvivere nella natura, ho dimenticato le ancestrali conoscenze, non sono in grado di ascoltare il mio corpo e di interpretare gli istinti. Sono intossicato di cultura e la mia natura sta morendo.

Attraversa il patio una formica gigante. Alcune farfalle si posano su di me e qualche piccola ape ronza a mezza altezza. Una nuvola ha assunto la forma di un fantasma, come un grande lenzuolo con due buchi come occhi. Le due cime mi accolgono nel loro abbraccio e una di esse, a ben guardare, rivela una parte del profilo dell’orizzonte somigliante a quello di un umano, con tanto di baffi, perduto ad ammirare il cielo blu.

Sono qui da qualche giorno e mi piace stare seduto anche per ore ad assistere allo spettacolo. Ormai è chiaro, quell’uccellino non è qui attorno per caso. Mi sembravano esemplari diversi seppur molto simili ed invece è sempre lo stesso. Anzi, è sempre la stessa: Lady Bird.

In un istante colgo la scena nel suo complesso: vola continuamente nei paraggi, dalla cima dei pini torna a pochi metri dalla casa. Non ci avevo fatto caso ma ha spesso qualcosa che le pende dal becco. Sembrano vermetti o piccoli bruchi. Giro la testa verso destra e in alto.

Vedo il nido e proprio in quel momento scorgo tre minuscole bocche spalancate. Un secondo dopo la mamma è sul bordo. Li imbecca senza posa. Ora intercetto anche il loro richiamo; sembra uno stridulo ronzio. Resto stupefatto e commosso.

Colgo nuovamente la mia condizione di umano. La mia ingombrante presenza, la minaccia che rappresento agli occhi di quell’essere. Uno studio più accurato evidenzia infatti la sua estrema prudenza nell’avvicinarsi. Non lo avevo notato ma dalla cima del pino passa alla punta dell’antenna tv sul tetto di fronte, da lì alla fronda più prossima, poi alla staccionata e infine scatta al nido sul trave, ben riparato dallo spiovente del tetto.

Mi controlla di continuo. Mi teme, giustamente, ma ciò non ostante ogni paura è vinta dall’istinto.

Non può sapere Lady Bird che non tutti gli umani sono uguali. Che non tutti gli umani la massacrerebbero con una fucilata sparata nel mucchio o la imprigionerebbero in una assurda gabbia. Non può sapere che darei me stesso per aiutarla, se servisse. E intanto vola e vola e vola tra le cime degli alberi e nel mezzo dei larghi rami, in cerca di cibo per i suoi figli. Ancora una volta penso alla mia ignoranza: che specie sarà (un pettirosso)? Quanto durerà lo svezzamento? Cosa succederà quando i piccoli lasceranno il nido?

Che ne sarà di lei? Non so niente di natura. So fare appena quello che la società mi ha programmato a dover saper fare. Neanche così bene. Al confronto della piccola mamma alata (peserà venti grammi) sono un pericoloso incapace.

Mi convinco che la pensi così: agli occhi degli altri essenti noi umani dobbiamo apparire degli idioti. Incluso il nostro cane che ciò non ostante continua a volerci un gran bene.

Lady Bird invece sa sempre cosa fare e lo fa nel migliore dei modi possibili. Punta all’ottimo e mai al massimo, regola aurea in natura. Penso con tristezza in quale stato l’uomo abbia ridotto sé stesso: un essere nevrotico, sanguinario e angosciosamente isolato dal resto del vivente.

Penso alla evidente gioia di vivere dell’uccellina e al senso della sua esistenza: è pieno, e lo coglie ad ogni istante della sua vita senza bisogno di altro. Intravedo in lei l’universo compiuto, l’intero vivente, e i suoi luoghi incontaminati. L’Essere originario, in un equilibrio magnifico e miracoloso. Quello dell’uomo al contrario è smarrito. E non più riconoscendolo in sé lo nega anche agli altri esseri viventi, procurandogli la morte ed ogni tipo di sofferenza. Senza rendersi conto che in ogni essente maltrattato o ucciso muore un pezzo della nostra originaria purezza e della Natura tutta.

Johann Christian von Mannlich (1741-1822) particolare …

Un pericoloso incapace