Un buco
alla volta

All’inizio dell’estate ormai finita scrivemmo su queste righe del Paradigma del Buco. C’erano due buchi, all’inizio della bella stagione. La vertiginosa voragine economica dei conti nazionali italiani, nel Paese in Europa e nel Mondo; e la scandalosa fossa urbanistica della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, al Lido di Venezia. Alla fine dell’argomentare eravamo ragionevolmente scetticamente ottimisti.

All’inizio dell’autunno i buchi sono stati parzialmente riempiti. Nel caso economico nazionale e internazionale il foro è stato tamponato con i sacrifici delle persone normali, spingendo il freno a fondo e agitando a vanvera la bandiera dell’equità. Nel caso urbanistico locale il buco è stato dimezzato con un’abile prestidigitazione concettuale e comunicativa: esso è ancora là, ma nessuno può negare che sia stato tappato: pare che la metà piena diventerà un anonimo parcheggio per gli isolani quando andranno in spiaggia l’estate prossima, o d’inverno per i ragazzi con lo skateboard e i modellini radiocomandati d’auto da corsa; mentre la metà vuota chissà che fine farà.

Dopo aver parzialmente tappato il buco più grande, il presidente del Consiglio dei ministri ha detto recentemente che si sente pronto, se sarà necessario, a ricoprire di nuovo la sua carica. Vista l’incapacità, l’ignavia e, in molti casi, la maligna cialtronissima malafede di tantissimi eletti, sarà difficile che la necessità non si ripresenti; e, inghiottiti ambizioni e valori (ma questi ultimi si deglutiscono facilmente) tutti si augurano che sia lui a tenere in mano il cerino di un paese allo sbando fino a quando ce la fa. O fino a quando si spenga o si scotti le dita. Anche perché così hanno il tempo per rifarsi un’incredibile ma possibile verginità.

Sarcasticamente aggiungiamo che il tempo dei sacrifici è già finito, proprio quando sterminate le famiglie a reddito fisso e dichiarato, si tratterebbe ora di mettere mano alle classi ricche. Ceti che nel nostro paese, purtroppo, da quasi un secolo sono composti più da ignoranti marioli e malmostosi arrivisti che da persone colte, eleganti ricche e perbene, magari stronze, ma perbene. Ma, sembra, la ripresa è ormai vicina. Che bisogno c’è di altre tasse?

Così intanto al Lido di Venezia l’inspiegabile farsa di una titanica ristrutturazione urbanistica — con trasformazione di un ospedale (ma grande però) in villaggio vacanze, una spiaggia naturale in darsena gigantesca, un antico glorioso albergo in una costosissima multiproprietà (tanto fuori moda e parecchio fuori mercato), e persino l’impianto di due torri in centro isola — e che aveva come simbolo la trasformazione di un piazzale dolcemente alberato in uno sfavillante quanto improprio palazzo del cinema, è stata invece ricoperta da un parcheggio con buco annesso. La possente macchina costruttiva che avrebbe dovuto rifare l’Isola d’Oro, popolata di grandi imprese e guidata da ex, si sta infatti sgretolando sotto il peso della crisi e dell’ambizione mal riposta. Non faranno più nulla, se va bene.

Persino la grande macchina della Biennale, che incolpevolmente avrebbe dovuto beneficiare del nuovo palazzo tanto voluto dal sindaco filosofo, ora esopianamente volpesca sostiene che, in fin dei conti, non le serve: ne fa volentieri a meno.

Insomma, in tre mesi ci siamo salvati, è vero: ma sinceramente né a livello nazionale né a livello locale abbiamo fatto una gran bella figura. I buchi sono stati riempiti, in parte però, e soprattutto con mezzi di fortuna. E in entrambi i casi ci raccontano che hanno risolto, e che non c’è da preoccuparsi, ma è ben evidente che il buco è ancora là. Quello che ne viene fuori non è bello: un parcheggio, uno spiazzo, una distesa piatta e anonima, una tabula rasa grigia e senza speranza. In grande e in piccolo. ★

Un buco alla volta