Tra sirene e marinai
i naufragi di Vinicio

L’artista festeggia venticinque anni di attività

È partito con un grande successo dal Gran Teatro La Fenice di Venezia, tutto esaurito in ogni ordine di posti, il tour europeo di Vinicio Capossela Qu’Art de siècle che racconta, al ritmo vorticoso di una festa balcanica, i momenti più scintillanti della carriera di uno dei cantautori italiani più originali degli ultimi cinquant’anni. Un concerto diverso in ogni città toccata, da Parigi a Berlino, con numerosi ospiti a sorpresa, a cominciare dal talentuoso violoncellista Mario Brunello.

VENEZIA – Cambia cappelli, giacche e vestiti, tutti stravaganti, tra cui un abitino strepitoso da tentacolare polipo rosso con paillette, con la disinvoltura di un clown consumato. Anche a sprezzo del ridicolo. E suona strumenti incredibili, da un pianino per bambini a un clavicembalo settecentesco tutto rosa. Ma si capisce, anche dai ritmi, che per Vinicio Capossela, artista fuori dagli schemi, l’unico cantautore di un certo peso sbocciato negli ultimi cinquant’anni dopo la stagione dei De André, dei De Gregori, dei Guccini e dei Conte, la musica è festa.

La sua porta echi di suoni di balera. Di sagra paesana. Di festa balcanica. Di traversata mediterranea. L’insieme è retrò, per lo più. Recupero e gioco di sapori antichi. Con spruzzate di studi classici e di rimandi medioevali. Con citazioni, piuttosto scoperte, che vanno da Brassens a De André, da Bregovic a Zavinul. L’insieme è unico, originale, e brilla come una pietra preziosa nel mediocre panorama musicale italiano di questi tempi poco e male illuminati.

Bello non è bello, Capossela. Anzi. È bruttino. È calvo, goffo, imbranato, vestito male. Non ha fascino né autorevolezza. Lo guardi piuttosto come uno strano animale. Buffo come un tapiro. Poi lui ti incanta con la magia dei suoi ritmi, con quella voce bassa, fonda, che sembra stonare apposta, e con quei racconti surreali, con quel suo modo di cantare che è tutto tranne che un modo di cantare. Curioso che un antidivo come lui, un artista così poco commerciale, sia arrivato a un successo commerciale. Ogni tanto, per fortuna, succede.

Lui lo capisce, se ne bea, riempie il bicchiere e brinda (accanto al piano tiene una vaschetta con alcune bottiglie nel ghiaccio), quando il pubblico che riempie il Teatro La Fenice, gli tributa una standing ovation alla fine del concerto, e lui non finisce più con i bis, tirando a tre ore e passa di buona musica. «Una volta che sono in un teatro come questo, ne approfitto – confessa pubblicamente – chissà se e quando mi capiterà più».

Il cantore, band leader, songwriter, chansonnier e intrattenitore, compositore di libri e scrittore di canzoni, festeggia i venticinque anni di carriera con un tour europeo battezzato Qu’Art de siècle, partito da Venezia. Il concerto, organizzato da Veneto Jazz per la rassegna Cultnet, ospite il grande violoncellista Mario Brunello, si intitola Naufragi, ed è un titolo emblematico. Perché racchiude il meglio della sua storia.

Quattordici dischi, centinaia di canzoni, migliaia di concerti e poi romanzi, documentari, racconti, infiniti progetti e un disco in uscita. Un lungo percorso, umano e artistico, evocato nel tour europeo per tappe salienti: Venezia, Parigi, Berna, Bruxelles, Girona, Madrid, Berlino, Londra, Salonicco, Catania, Milano, Roma. Città come momenti. Un abbraccio di date nel vecchio continente dei ricordi, in straordinari club e teatri dove la memoria cova ancora e in teatri mai affrontati in questi venticinque anni.

L’unicità di queste esibizioni consiste nella loro differenza. Un personale canovaccio musicale la cui integrità è garantita dalle variabili, a partire dagli ospiti: Mario Brunello, Pascal Comelade, Marc Ribot, Victor Herrero, i Cabo San Roque, La Banda della Posta, Manolis Pappos, Dimitri Mistachidis e l’Orchestra Maderna sono mirabili capoversi di alcune delle pagine più entusiasmanti di tutta la vicenda. Lo stesso discorso vale per il repertorio, ogni volta diverso, scelto con cura per rispetto al luogo, agli ospiti e alla memoria. Sarà così ovunque, da Parigi a Bruxelles, da Catania a Milano. Questo tour racconta una storia, e ogni concerto è un capitolo a parte.

Sonetti, serenate, marcette, gran balli, classici dimenticati, lamenti e pezzi di profondità. Brani corali e d’euforica solitudine. Uno spettacolo di varietà. Di grande varietà. Pirotecnici capovolgimenti di fronte in un turbinio di suggestioni. Non sai mai dove si andrà a parare. Piano bar, folk ancestrale, ballate desertiche: ogni esibizione è una vera sorpresa. Testimone uditivo del comune sentire, Capossela compone la meraviglia in una geografia sonora, fisica e politica. Sempre a caccia dello spettro armonico e del repertorio delle sue anime. Diverse ma figlie dello stesso spirito, come canzoni.

Quelle di Capossela sono radici che camminano. E questa è l’occasione per meglio conoscere il mondo di quest’artista pluridecorato, performer di viscerale istintività. Autore di storie miniate, magicamente condensate nell’astuccio delle canzoni. Si parla di ascese vorticose e cadute edificanti, che solo la musica consente di avvicinare. Pochi precisi accordi e anche le sconfitte suonano bene. Sono canzoni proverbiali. E questi sono concerti speciali. Come questi venticinque anni, passati a cambiare d’abito per non cambiare pelle.

Vinicio Capossela (www.rockit.it).

Tra sirene e marinai i naufragi di Vinicio