Torna a cavallo
l’antica magia
della Cavalchina

Sabato 18 febbraio alla Fenice l’evento più prestigioso del Carnevale di Venezia

Una tradizione elegante e inimitabile che affonda le radici nell’Ottocento e richiama appassionati spettatori da tutto il mondo

VENEZIA – Ad aprire le danze saranno, come ogni anno l’ultimo sabato di Carnevale, i passi leggiadri di un purosangue che farà il suo ingresso a sorpresa nella platea del teatro, l’attraverserà tra due ali di folla, e arriverà sul palco dove volteggerà come in un’arena. Un cavallo vero, a volte bianco, a volte nero, a volte montato da un cavaliere, altre da un’amazzone. E poi gli acrobati, i comici, i cantanti, le orchestre, i danzatori, le maschere, i costumi, i personaggi veneziani di un tempo che fu, le cene raffinate, i camerieri in livrea. È il fascino eterno, immutabile, del Gran Ballo della Cavalchina al Teatro La Fenice, l’appuntamento più prestigioso del Carnevale di Venezia, quest’anno in calendario la sera di sabato 18 febbraio.

È una festa che viene da lontano, dall’Ottocento, quando in laguna c’erano le corse dei cavalli, e i cavalli scalpitavano prima che venisse dato il segnale della partenza. Alcuni nitrivano così forte da spaventare le dame, molto eleganti, che assistevano alla gara. Quando qualcuno si impennava, vicino alle transenne, le dame si stringevano forte al braccio dei loro cavalieri. Poi la corsa incominciava. Veloce, tirata, dura, a tratti violenta, i cavalli lanciati in un galoppo sfrenato, i cavalieri che non disdegnavano colpi proibiti, specialmente nelle curve, pur di superarsi l’un l’altro e tagliare per primi il traguardo tra gli incitamenti e gli applausi della folla. Vincere a Venezia, nella Piazza San Marco trasformata in un’arena, era il premio più importante dell’anno per i cavalieri venuti da ogni parte del mondo.

Poi, spenti gli ardori della corsa, si andava a festeggiare. Tutti assieme. Vincitori e vinti. Tutti al Teatro La Fenice, per il Gran Ballo della Cavalchina, la festa dei cavalieri della corsa più sfrenata del secolo. La festa più ricca, più sorprendente, più esclusiva, più mondana, più internazionale. Con le maschere più belle, i cibi più raffinati, le orchestre migliori, gli spettacoli più importanti. «Tutte le meraviglie si concentraron l’altra sera nel veglione del teatro della Fenice — raccontano le antiche cronache — che con un portento i fratelli Meduna (a quel tempo proprietari del teatro) trasformarono da una sera all’altra in un palagio incantato». «Costrussero nella scena com’un atrio, una galleria, variamente adornata da colonne e da una ricorrente ringhiera — si legge nella «Gazzetta Privilegiata di Venezia» del 3 marzo 1838 — e per via d’un grande specchio di cui copriron la parete del fondo, addoppiarono l’imponente spettacolo di quelle logge, di quegli ornamenti e di quel mare di luce che inondava la sala».

Fu un «pensiero grandioso», annota il cronista dell’epoca, con cui fu costruito un «magico ricinto» in cui «s’ascose e riparò il Carnovale» in una notte «splendida ed assai gioconda», «singolarmente bella e animata», in quelle sale «affollate di tante persone, illuminate da tante cere, boccheggianti di tanto suono», in cui «in doppio cerchio si conducevan le danze per mezzo a quella fitta e viva siepe d’avidi riguardanti». Ogni cosa, in teatro, aveva mutato aspetto. Fu un’improvvisa trasformazione, un parapiglia, un allegro delirio, un tumultuoso spettacolo, in cui sembrava di venir trasportati «in un nuovo mondo» che assomigliava molto al «fantastico e bizzarro dominio dei sogni». Una magia che contagiò anche Lord Byron, che citò la Cavalchina nelle sue lettere («Lettre and Journal of Lord Byron») magnificando il grande «masqued ball», insieme alle grazie di «Madame Contarini» che l’avevano evidentemente colpito, in una corrispondenza con un amico («Lettre CCCXVII to Mr Moore»), quando gli raccontava di quella volta…«when i came to Venice for the winter».

Questo accadeva al Gran Ballo della Cavalchina, nel Teatro La Fenice di Venezia, durante i Carnevali di duecento anni fa. Piano piano, nel tempo, di quella grande festa si persero le tracce e si smarrirono i ricordi. Fino al momento in cui, una sera di nebbia, passeggiando pensieroso per campo San Fantin, l’attuale sovrintendente del teatro, Cristiano Chiarot, vide un cavallo, un purosangue bianco, salire a passi lenti, eleganti, la scalinata del teatro. Il cavallo, naturalmente, era solo nella sua immaginazione. Ma l’idea c’era davvero: «Rifacciamo la Cavalchina!».

Detto fatto, quella sera stessa chiamò il più celebre inventore di eventi internazionali di alta scuola, l’architetto di interni Matteo Corvino, lo incaricò di creare la Cavalchina del Duemila, e gli affiancò due saltimbanchi, il regista Antonio Giarola e il direttore artistico della Compagnia de Calza «I Antichi» Roberto Bianchin, di cui si era innamorato quando aveva visto, in un teatrino viaggiante di legni e specchi, un loro bizzarro spettacolo di varietà in cui la commedia dell’arte si mescolava alle antiche acrobazie circensi. La nuova Cavalchina, che miscela le reminiscenze del passato alle suggestioni del presente, debuttò al Carnevale del 2007 con un immediato successo internazionale.

La sua formula è unica come unico è il luogo in cui si svolge. Un gran ballo in maschera dell’Ottocento con uso di spettacoli à l’ancienne. Una festa con lo spettacolo dentro. O, se preferite, uno spettacolo con la festa intorno. La platea, liberata dalle poltroncine, diventa per una notte la sala da ballo più prestigiosa del mondo, dove celebri orchestre e affermati disc jockey si alternano fino all’alba con un repertorio che inizia classicheggiante, si apre alle musiche tra le due guerre, e diventa sempre più moderno con il passar delle ore, sempre più rock, poi sempre più discoteca di tendenza, accontentando il pubblico di ogni età e di ogni nazione.

I nomi più celebri del jet set internazionale si aggirano, in splendidi costumi, nel Foyer dov’è collocato l’open bar e dove vengono intrattenuti dai curiosi personaggi di altri tempi fatti rivivere da I Antichi, mentre nelle eleganti Sale Apollinee viene servito il ricco buffet di gala. Sul grande palcoscenico, tra un tempo e l’altro della cena, sfilano i numeri più vari e sorprendenti del teatro di varietà, portati in scena dagli artisti più affermati in campo internazionale, selezionati appositamente in ogni angolo del mondo in esclusiva per la Cavalchina.

E c’è sempre, ogni anno, un cavallo. Il simbolo della Cavalchina. Un cavallo vero. Vivo, in carne e ossa. Un cavallo che fa il suo ingresso, trionfale, montato dal suo cavaliere, nella sala grande del teatro, che attraversa la platea tra due ali di folla stupita, che sale sul palcoscenico, e sul palcoscenico danza, con la grazia di un ballerino, mostrando le sue virtù e le sue acrobazie in alta scuola. Neanche nell’Ottocento erano riusciti a tanto. Neanche dopo. Abbiamo spulciato negli archivi: mai prima d’ora un cavallo era entrato alla Fenice.

La novità del cavallo che danza è sempre tra i momenti più emozionanti della serata. Come lo è quello della consegna dei prestigiosi Cavalchina Award, i premi voluti da Matteo Corvino, un’altra novità, per «celebrare le personalità straordinarie che per talento creativo e interpretativo e per stile di vita sono internazionalmente riconosciute come simbolo artistico unico ed inimitabile, come Venezia, una delle capitali mondiali dell’arte, è simbolo di unicità».

Con un piede nel passato, e lo sguardo nel futuro, la Cavalchina oggi rappresenta non solo l’evento più prestigioso del Carnevale di Venezia, ma una festa-spettacolo unica al mondo. Originale, divertente, folle, trasgressiva. Capace di riannodare i fili con la sua storia luminosa, come di volare alto oltre i confini dell’oggi. In due parole, assolutamente imperdibile.

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