Testa da Capo

Se il lavoro del pompiere è già difficile di per sé, quello del capo squadra lo è ancora di più. Peggio ancora sono i ruoli di capo turno, capo servizio e funzionario dirigente. Ovvero i capi dei capi dei capi dei capi. Ma parliamo di una cosa alla volta. Una squadra di pompieri è composta da cinque o sei unità. Il capo squadra (oppure, nel periodo di spending review che dura oramai da vent’anni per il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco: un vigile coordinatore che lo sostituisce), l’autista, e tre o quattro vigili.

VENEZIA — Essendo in pochi, ognuno ha un ruolo ben preciso in base all’esperienza e specializzazioni mentre il mezzo (sempre un Aps) è equipaggiato per affrontare efficientemente qualsiasi emergenza. Il problema è farlo funzionare. La scala italiana infatti ha la tendenza a non riuscire a montarsi da sola. Le schede apriporta si rifiutano di lavorare autonomamente mentre i tentativi di ammaestrare i getti d’acqua delle lance si sono sempre conclusi in un fallimento. Degli autoprotettori lasciati da soli a trasportare le vittime al di fuori degli edifici in fiamme è meglio non parlarne.

Queste difficoltà nell’autonomia dei materiali costringe i pompieri che giungono sul posto a lavorare. E per lavorare bene bisogna lavorare tutti insieme con sincronia perfetta. Il capo ha lo scopo di generare questo lavoro di squadra, dirigerlo in ogni momento e mandare a casa tutti integri alla fine del turno.

Non è facile. Ripeto: non è facile.

Le ragioni sono due: anche l’intervento più stupido comporta un rischio per l’incolumità di chi opera, figuriamoci un incendio. La seconda ragione è che non c’è mai, ma proprio mai, un intervento uguale all’altro. Anche un’apertura porta, sulla stessa porta, a pochi minuti di distanza avrà tempi e modi diversi. Al capo il compito di creare quella serenità, organizzazione e sicurezza che permetta all’operatore di lavorare in perfetta efficienza, il visualizzare lo scenario operativo e la sua evoluzione, il possedere un tempismo perfetto e non perdere mai la testa.

Stiamo sempre parlando di esseri umani con le loro vicende umane, le temporanee difficoltà e distrazioni che travalicano il contesto della divisa. Eppure quando è lì, la radio in mano e la prospettiva giusta della zona operativa, il capo deve dimenticare il proprio nome e cognome per diventare la testa della squadra, attingendo a quel lavoro di aggregazione effettuato in caserma, davanti magari ad un caffè con i colleghi, durante la mensa o in una delle mille attività di casermaggio che riempiono la giornata al di fuori della chiamata.

Il capo deve conoscere la propria squadra come una famiglia, fidarsi e generare fiducia. L’intervento non è una battaglia che si può vincere o perdere: salvare tutti, preservare una proprietà o conseguire gli obiettivi prefissati non è una vittoria ma semplicemente assolvere il proprio dovere. Per ogni chiamata ci sono solo due risultati possibili: fare quello per cui si è stati chiamati o fallire. Certo, ci sono medaglie per atti particolarmente eroici agli occhi della popolazione civile, riconoscimenti e stima dei colleghi ma non si può mai parlare di vittoria, solo di fare la cosa giusta al momento giusto oppure non dimostrarsi all’altezza.

Le giustificazioni, le analisi a posteriori non servono mai, ogni vigile si porterà sempre appresso il pieno carico dei propri fallimenti sperando un giorno di redimerli se gli viene data nuovamente l’opportunità. Per il capo il peso di un fallimento è anche nei confronti delle vittime, dei loro amati e dei colleghi tutti, così che il peso di quel casco rosso costato tanti sacrifici e fatica diventi sempre più pesante fino a doverlo trascinare.

Se il destino vuole che dobbiate essere salvati dai pompieri, ringraziate sempre mille volte chi indossa quel casco rosso perché non potete sapere il carico che porta. ★

Collaudo manichette (Foto Gask per il Ridotto).

Testa da Capo