Studi d’artista - 01

Considerazioni ed esempi
sullo spazio di lavoro
dell’artista lungo i secoli

Lo studio per l’artista è uno spazio unico, luogo di creazione, di estraniamento dal mondo esterno dove egli può isolarsi dal mondo e ritrovare sé stesso, qui spesso anche gli oggetti, oltre gli strumenti di lavoro, sono fonte d’ispirazione e di meditazione. Numerose testimonianze rivelano la particolarità di questa realtà, che, spesso, nel passato, è stata dipinta e, nel secolo scorso, fotografata.

Se gli interni abitati raccontano e mostrano il nostro carattere e aspetti insospettabili della nostra anima, a maggior ragione lo spazio dove l’artista crea racconta non solo della realtà, ma anche e forse soprattutto dell’immaginario degli esseri umani e delle epoche.

San Girolamo
nello studio

Nel passato alcuni dipinti testimoniano tutto ciò: San Girolamo nello studio di Antonello da Messina 1474-75 è esempio di equilibrio tra lo spazio monumentale e la luce che entra da numerose e ampie finestre e crea contrasti tra le zone d’ombra e quelle illuminate.

Attraverso un arco ribassato entriamo nello studio dell’umanista circondato da libri e strumenti del suo lavoro. Con minuzia descrittiva di derivazione fiamminga, attraverso la finestra–portale dall’arco ribassato entriamo nello studio che è un edificio con un gusto architettonico catalano, mentre tutte le finestre sullo sfondo danno su un variegato e vasto paesaggio collinare.

C’è un interno ampiamente illuminato dall’alto a sinistra ed un esterno sullo sfondo che illumina solo la parte di fondo del dipinto e si riflette sulle piastrelle di maiolica del pavimento.

Tutto in questo dipinto è irregolare e strano: l’architettura, il leone che a stento individuiamo nell’ombra, il santo intento a leggere e non a scrivere come nell’iconografia tradizionale, le bifore in alto in controluce, che non sono fonte luminosa, ma solo completamento e indicazione di uno spazio altro, un verdeggiante paesaggio. Le scarpe ai piedi della scaletta che assumono la stessa importanza di animali e piante con riferimento simbolico: come il pavone che allude all’immortalità, e la quaglia luce dell’intelletto.

Lo studioso che legge e medita all’interno di uno spazio chiuso allude alla vita contemplativa. Le linee non convergono su un solo punto di fuga ma su due senza che per questo la visione risulti meno verosimile.

Sant’Agostino nello studio

Strettamente collegato a questo è il dipinto di Vittore Carpaccio: Sant’Agostino nello studio (1503). Carpaccio colloca il santo all’interno di una camera di forma regolare, la prospettiva è frontale, la luce entra lateralmente da ampie finestre.

Questo telero è posto a conclusione del ciclo delle storie di San Gerolamo nella scuola di San Giorgio degli Schiavoni. Si racconta che mentre Agostino era intento a scrivere a San Gerolamo, senza conoscere la sua recente morte, questi si sia manifestato attraverso una luce improvvisa e innaturale e una voce che lo redarguisce per aver desiderato di comprendere la felicità dei beati.

Questo studio così ricco di oggetti descritti minuziosamente e la sapienza prospettica dell’insieme mostra come Carpaccio riesca a fondere la pittura fiamminga con la tradizione della luce e dello spazio di Piero della Francesca. Come nell’opera di Antonello il piano del tavolo e lo spazio circostante sono pieni di libri aperti e chiusi, fogli e cartigli compresi due spartiti musicali, che possono forse anche alludere non solo alla cultura musicale del santo, ma anche al significato mistico della musica come armonia universale.

La sfera armillare che pende dal soffitto allude ad una cultura astronomica. C’è chi ha contato i libri che spaziano tra tutte le arti liberali presenti nello studio: novantaquattro; quanti sembra ne abbia scritti Sant’Agostino.

Si ha però in questo dipinto una precisa riproduzione di come doveva presentarsi l’ambiente di lavoro di un erudito e appassionato bibliofilo come indica anche il simbolo della conchiglia, il cagnolino è simbolo invece di fedeltà e perseveranza, di vigilanza e sagacia.

Las Meninas

Due pietre miliari nella pittura d’oltralpe che riguardano lo spazio dove opera l’artista sono costituite nel seicento da: Las Meninas di Diego Velázquez (1656) e L’arte della pittura (1662-65) di Jan Vermeer.

Nel dipinto di Velázquez il pittore si rappresenta mentre sospende il suo lavoro sorpreso dall’ingresso nello studio dei sovrani. Il quadro viene ricordato nel XVII secolo col titolo: La famiglia di Filippo IV.

L’idea iconografica esula da precedenti fiamminghi, l’interno dove si svolge l’azione appartiene ad una realtà al tempo stesso vera e finta costruita dall’artista. Questi appare nell’atto di valutare prospetticamente ciò che sta eseguendo sulla tela di cui lo spettatore vede solo una parte del retro.

Nel pensiero spagnolo del secolo d’oro l’arte rappresenta la natura, ma anche la responsabilità di perfezionarla per mezzo dell’educazione. Lo spettatore è indotto a credere che il dipinto sia comprensibile solo per quello che noi vediamo. Il re e la regina stanno al centro del gruppo di persone rappresentate ed irradiano all’intorno della corte le qualità morali delle persone di corte. L’infanta Margherita è sia riflesso dei suoi genitori che riflesso nello specchio e, nel suo corretto comportamento nello studio dell’artista, diventa specchio di una principessa.

Il dipinto non è solo ritratto del suo aspetto ma anche della sua educazione, una riflessione dell’artista di una immagine che genera immagini. L’infanta è il centro del dipinto, una piccola donna, una principessa la cui posizione subordinata è simboleggiata dalla sua posizione immediatamente sotto l’immagine dei suoi genitori riflessa nello specchio.

Eppure la principessa è soverchiata dalle due damigelle, di cui una inginocchiata per porgerle l’acqua e la nana. Non ci è dato di conoscere cosa stia dipingendo l’artista; sicuramente non la coppia reale che sembra appena giunta e che lo sorprende con il pennello sospeso sulla grande tela.

Bisogna comunque tener presente che quello che stiamo guardando non è una stanza del palazzo reale dell’Alcazar, ma un dipinto di Velázquez, che ha dato più importanza a sé stesso che non ai reali che rimangono un piccolo riflesso sullo sfondo del quadro. La figura più importante è l’artista al lavoro mentre si presenta all’osservatore e volge le spalle ai sovrani.

L’originalità dell’opera è data anche dal punto di vista di Velázquez che qui si pone dalla parte dello spettatore, al di qua della superficie della tela e ricostruisce poi il mondo attraverso una cornice sulla superficie dipinta per mezzo della prospettiva che è anch’essa una forma simbolica di rappresentazione. Il guardante in Las Meninas è l’artista stesso.

In molte opere del cinquecento a Venezia e non solo, l’artista comunica con lo spettatore attraverso figure all’interno del dipinto che guardano al di fuori della tela (es Pala Pesaro di Tiziano) o lo specchio in cui l’artista stesso si rappresenta come nei Coniugi Arnolfini di Van Eyck.

L’Arte della Pittura

Anche in questo dipinto come in altri più famosi di Jan Vermeer vi è il fascino della luce. Il quadro titola anche Allegoria della pittura o L’Atelier. Molti oggetti presenti hanno un chiaro significato simbolico, a partire dalla tenda sollevata a sinistra che allude alla separazione tra realtà e finzione. Il pittore è colto anche qui, come in Velázquez, nell’atto di dipingere, ma di spalle, così non abbiamo la visione di quello che sta eseguendo sulla tela.

La modella, illuminata da una fonte di luce sulla sinistra, è cinta dell’alloro che l’artista sta dipingendo sulla tela, tiene in mano il libro che allude alla storia, al passato, e la tromba della fama, mentre la maschera di gesso sul tavolo sta a simboleggiare l’arte come finzione.

La figura della modella gracile ha però una veste sovrabbondante, con ricche pieghe di un luminoso azzurro.

Non c’è retorica, nulla di aulico, celebrativo e l’artista seduto comodamente a gambe larghe ha le calze che gli cadono e le pantofole. Il pavimento a quadri bianchi e neri e altri oggetti come la sedia sulla sinistra, il tavolo, la carta geografica, il lampadario sono presenti anche in altri dipinti e rivelano che siamo in casa di Vermeer. L’Atelier è lo spazio lavorativo, ma anche il suo mondo interiore, ogni oggetto minuziosamente descritto e abilmente illuminato mostra l’equilibrio sereno della borghesia, e della tradizione fiamminga. In quest’opera l’artista ha voluto farci partecipi del suo universo interiore. ★

Antonello da Messina (1430–1479), San Girolamo nel suo…

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