Salto con l’astice

Tra bufale, fake news e storie vere

La strana vicenda di un astice di cento e trentadue anni liberato dal padrone del ristorante dove viveva da decenni prigioniero in una vasca. Ma come avranno fatto a stabilirne l’età con tale precisione? C’è comunque un precedente, nel 1934, di un altro astice centenario. E soprattutto, nel 1835, di una donna di cento e sessantuno anni, che era stata la balia di George Washington. Le invenzioni mirabolanti di Phineas Taylor Barnum, imbonitore, mistificatore della credulità popolare, che inventò il circo più famoso del mondo con le sue baracche di fenomeni.

Phineas Taylor Barnum (Bethel 1810 – Bridgeport 1891), il grande imprenditore circense americano, imbonitore e mistificatore della credulità popolare, inventore del più grande circo del mondo, quel Ringling Bros. and Barnum & Bailey che ha mestamente chiuso i battenti il mese scorso, sconfitto dai tempi e dalle mode, dopo cento e quarantasei anni di gloriosa carriera, ci aveva già provato, e con successo.

D’accordo, era più di un secolo e mezzo fa, il popolo era più ingenuo, più credulone. Comunque non esitò a credere a Barnum quando, con uno dei suoi tanti trucchi, presentò nel suo circo, come un fenomeno da baraccone, “la donna più vecchia” del mondo, che aveva raggiunto, e in buona salute –così almeno raccontava- la venerabile età di cento e sessantuno anni, ed era stata nientemeno che la balia di uno dei padri della patria americana come il presidentissimo George Washington. Era il 1835.

In realtà si scoprì che non solo la donna più vecchia del mondo non era una donna ma un uomo, un africano comperato come schiavo dal circo qualche tempo prima, ma anche, e soprattutto, che non era affatto così vecchio. Quando morì, Joyce Heth, così si chiamava quel poveraccio, aveva infatti “appena” ottant’anni (1756 – 1836), meno della metà di quanti ne aveva dichiarati il suo immaginifico padrone.

Buth Yamali, un americanone grosso e rubizzo, che assomiglia anche fisicamente a Barnum, soprattutto nella stazza, deve essersi ispirato a lui quando nei giorni scorsi ha venduto con gran clamore ai media di tutto il mondo la storiella del suo astice vecchio di cento e trentadue anni. Un crostaceone di una decina di chili al quale dice di essersi affezionato, tanto da trattarlo come un animale domestico, e al quale ha dato anche un nome, Louie.

Buth da quattro anni è il padrone di un ristorante di Hempstead, nello Stato di New York, e racconta che Louie vive da vent’anni nella vasca di quel ristorante, da dove i camerieri pescano i pesci scelti dai clienti per essere cucinati. Ma non spiega come fa a sapere, lui che sta lì solo da quattro anni, che Louie invece ci vive da venti. Ma forse gliel’hanno detto i precedenti proprietari. Quello che non spiega è come mai in vent’anni nessun cliente abbia mai scelto di mangiare quell’astice. Spaventati forse dalla grandezza del crostaceo (e quindi dal peso e dal conseguente prezzo) o forse dall’aspetto un po’ vecchiotto di quella corazza dal colorito giallo appassito chiazzata di inquietanti macchie scure.

Comunque sia, il tenero Buth racconta che, dopo aver rifiutato anche offerte da mille dollari pervenutegli negli ultimi tempi per quel vecchio astice (non spiega se per metterlo in pentola o in un museo), ha deciso –per amore- di ridargli la libertà ributtandolo in mare. Incurante, evidentemente, delle conseguenze, e del fatto che probabilmente così facendo gli ha soltanto accelerato la morte, essendo ormai il vecchio astice evidentemente incapace di procurarsi il cibo e di adattarsi alla nuova vita e al nuovo habitat, come accade a tutti gli animali che hanno passato molto tempo in cattività. Peggio che buttarlo in padella.

In ogni caso, nel filmino propagandistico che documenta l’impresa, visibile sul sito di Repubblica, si può notare il sorridente Buth estrarre il vecchio Louie dalla vasca, trasportarlo a mani nude sulla riva (ma a chele rigogosamente sigillate con elasticoni colorati, il vecchio astice deve avere ancora muscoli buoni), e salire con lui su una specie di peschereccio che si vede allontanarsi sbuffando lento all’orizzonte su acque non proprio limpidissime.

Manca la scena finale, la liberazione di Louie nell’acqua del mare, le sue prime nuotate felici, il suo ultimo saluto al salvatore. Il che lascia qualche dubbio sull’esito effettivo dell’operazione. Come rimane un altro, terribile dubbio: ma come avrà fatto il ristoratore a conoscere l’età esatta del suo astice???. Cento e trentadue anni! Ma chi glielo avrà detto? Testimoni dall’aldilà? L’astice stesso, con cui magari era riuscito a instaurare un qualche tipo di comunicazione? O il crostaceo aveva nascosto in qualche parte un documento di identità? O gli si leggono gli anni come i cerchi sulla pancia delle tartarughe e dentro il tronco degli alberi?

A meno che, oltre che a Barnum, il buon Buth non si sia ispirato a quell’altro buontempone che circa un secolo fa –era il 1934 per l’esattezza- pescò nelle acque del New England un asticione enorme che pesava più di venti chili – per la cronaca, 20,14- e per far divertire gli amici del pub disse che aveva più di cento anni di vita.

Ma quanto possono vivere davvero gli astici? L’autorevole National Geographic non ha dubbi: “possono vivere a lungo”. E senza mai smettere di crescere. Accidenti! Allora ha ragione Buth. Un momento. A lungo sì, ma quanto a lungo? “La durata media della vita di un astice è di cinquant’anni”. Se vive in libertà, è chiaro. Se è prigioniero in una vasca, molto meno. Caspita! Ma Louie, secondo Buth, ne ha più del doppio di anni! Anzi quasi il triplo!!! Accidenti. Allora ha ragione Barnum. Lo sospettavo. Ha sempre avuto ragione Barnum.

Un manifesto di Joyce Heth (fonte: Wikipedia), Joyce Heth…

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