Quel che resta di Fidel

La rivoluzione non si è affermata nei Paesi più sviluppati, ma in quelli più poveri d’Europa, e successivamente in Cina, in Vietnam, in Corea. E ora, paradossalmente, queste idee sono più che mai attuali nei Paesi poveri del Terzo Mondo, per i quali non si vede una via d’uscita. Io mi chiedo se questi Paesi potranno riuscire in questa impresa senza programmare il proprio sviluppo, senza spendere al meglio fino all’ultimo centesimo, senza difendere il proprio denaro, le proprie risorse naturali e finanziarie.

Sarebbe possibile per loro progredire all’interno dello stesso sistema del mondo capitalistico avanzato? La mia tesi è che non possono. Molto semplicemente, non riuscirebbero a evolversi seguendo la strada del capitalismo. Sarebbe come se in una partita di calcio mettessimo di fronte i campioni olimpici ai bambini dell’asilo mantenendo però inalterate le regole, e i campioni fossero obbligati a segnare in una rete a cinquanta metri, mentre i bambini in una a un centimetro di distanza, allora forse la partita sarebbe accettabile. Ma io mi domando come sia possibile ai Paesi del Terzo Mondo affrontare sullo stesso terreno i Paesi del mondo capitalista avanzato, che si aiutano l’un con l’altro e le cui monete si sostengono vicendevolmente.

Con quale coraggio possono venirci a dire che questa è la strada! Tutti sanno come, all’epoca, è nata l’industrializzazione del Giappone, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Germania, della Francia, eccetera, e tutti possono rendersi conto che le condizioni del mondo non sono più quelle, perché oggi viviamo in una realtà dove il mercato e la finanza sono completamente dominati da un gruppo di nazioni progredite che impongono le loro regole al resto dell’umanità. Per questo non mi sento avvilito da nessuno di questi eventi e credo che non mi scoraggerò mai. Mi sono sempre identificato con il popolo, con le masse, voglio dire con il popolo di Cuba, con quelli del Terzo Mondo e in particolare dell’America Latina.

Non mi sono mai sentito solo, neanche nei primi tempi, neppure dopo l’assalto alla caserma Moncada quando rimanemmo in pochi, nascosti sulle colline, e neppure quando mi chiusero in prigione per diverso tempo in isolamento o dopo lo sbarco del Granma, quando ci siamo riuniti, solo un pugno di uomini, per proseguire la lotta. Non mi sono mai lasciato andare, non mi sono mai sentito solo, ho sempre avuto fiducia nelle mie idee. Senza questa fiducia e questa sicurezza non saremmo arrivati dove siamo oggi. E oggi, per quanto difficili possano risultare le circostanze, stiamo molto meglio di quando iniziammo la nostra lotta. Per questo non mi sentirò mai solo, perché quando ci si identifica con il popolo o con una causa giusta, non si è mai soli.

Io mi sento immerso nella storia, mi sento nella storia più che mai, e sento di avere più che mai l’obbligo e il dovere di difendere certe idee proprio perché queste idee stanno affrontando un momento difficile. Ma sono le idee del futuro. Quale può essere il futuro, altrimenti? Il capitalismo, forse? Il capitalismo è una giungla, è l’uomo nemico dell’uomo, l’uomo che saccheggia, l’uomo contro l’uomo. Ma un giorno l’uomo dovrà pur vivere come in una sola famiglia, come un fratello tra fratelli, e solo un regime sociale diverso, non il capitalismo, ma un regime più evoluto di questo, potrà far sì che l’umanità diventi un giorno una famiglia.

Se l’umanità sopravviverà ai pericoli, alla minaccia delle guerre nucleari, all’inquinamento dell’ambiente, alle piogge acide, al biossido di carbonio, ai clorofluorocarburi che distruggono lo strato d’ozono, se sopravviverà – e io ho la speranza che questo avvenga nonostante gli errori dei politici – allora, credo, arriverà il giorno in cui l’umanità sarà una sola famiglia.

° Tratto dal libro “Fidel Castro” di Gianni Minà, Sperling & Kupfer, 1996

Fidel Castro (fonte: www.news.com.au).

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