Palladio tra gli zar
(e anche dopo)
Un’interessante persistenza imperiale
In corso al Museo Correr una mostra di non immediata lettura, ma ricca di testimonianze sull’influsso che gli stilemi palladiani ebbero sulla Russia degli zar, che continuò fino all’era sovietica, culminando nell’archiettura enfatica del regime stalinanio.
VENEZIA — L’apertura della Russia all’Europa fu merito di Caterina II, che, come già Pietro I alla fine del seicento, era ossessionata dall’idea di un grande impero e pensava a Pietroburgo come ad una nuova Roma con architetture in stile romano.
Nel 1778 Caterina II invitò in Russia l’architetto scozzese Charles Cameron e il bergamasco Giacomo Quarenghi (1744-1817) ammiratori di Palladio e conoscitori delle antichità romane.
L’influsso delle architetture palladiane è ben testimoniato dalla fine del seicento fino al neoclassicismo con la pubblicazione e la prima traduzione in russo nel 1699 (attribuita al principe Dolgorukov) del trattato di architettura di Andrea Palladio del 1570.
Disegni, progetti, modelli di architetture mostrano la grande influenza ed il fascino che Palladio esercitò sull’architettura russa. Sono duecento e quaranta le opere presenti al Correr e provengono dalle principali collezioni pubbliche russe, da musei, archivi soprattutto dell’Eremitage e dalla Galleria di Stato Tret’jakov di Mosca, ma anche da meno famosi musei europei.
Il palladianesimo si radicò talmente nella cultura russa, che neppure le avanguardie del primo novecento riuscirono a scalzarlo, tanto che Stalin proclamò un ritorno ad una tradizione classica e, come all’epoca di Caterina II, le architetture rappresentative del potere divennero palladiane anche se in proporzioni più grandiose ed enfatiche. Ivan Zoltovskij (1867-1959), uno dei più importanti architetti russi, era convinto discepolo di Palladio e non modificò il proprio stile neppure durante le avanguardie del primo novecento. ★