Non chiedermi ancora
se non ti voglio più
Un altro referendum a Venezia
A quarant’anni di distanza dal primo referendum per la separazione di Venezia da Mestre, la popolazione del Comune lagunare torna a votare per la quinta volta nel tentativo di dividere la città d’acqua da quella di terraferma. I separatisti, che sono sia veneziani che mestrini, ma con vedute e obiettivi completamente diversi, sono sempre stati sconfitti nei quattro referendum precedenti. Ora tornano alla carica convinti di farcela, finalmente. Perché sono passati sedici anni dall’ultima consultazione e molte cose sono cambiate. Soprattutto, dicono, è peggiorata la situazione di Venezia travolta da un turismo eccessivo nei numeri e nei modi. Con la separazione sperano di risolvere tutti i problemi. Illusi.
Non puoi andare avanti tutta la vita a domandarmi se ti voglio ancora o se non ti voglio più. Me lo hai già chiesto quattro volte, e io per quattro volte ti ho risposto. Ma tu non vuoi sentir ragioni, e adesso, testardamente, me lo domandi ancora per la quinta volta. Basta, non ne posso più, cambia disco. Chiedimi qualche cos’altro casomai, se proprio vuoi, ma smettila con questa storia della separazione tra Venezia e Mestre.
Come se non vi fossero altri problemi. Come se questo fosse il nodo più importante da sciogliere. Poveri illusi, che non vogliono accorgersi che i buoi sono già scappati dalla stalla, e da un bel po’, e che si aggrappano, come dei disperati, a quella che credono sia l’ultima spiaggia. Perché non hanno, non sanno trovare, alternative. Forse nemmeno ce ne sono.
Me lo hai già chiesto quarant’anni fa per la prima volta (era il 1979), se volevo dividere Mestre da Venezia (o Venezia da Mestre, come preferite, da che parte guardi il mondo tutto dipende, come cantava Tonino Carotone). Il risultato del primo referendum è stato nettissimo, senza scampo: i sì alla separazione sono stati appena il 27 per cento.
Ma i separatisti, vuoi veneziani, vuoi mestrini (ve ne sono sia di laguna che di terraferma, con motivazioni peraltro spesso opposte), non si sono dati per vinti, e dieci anni dopo (era il 1989), ci hanno riprovato. Stavolta i sì sono cresciuti, e sono arrivati al 42 per cento, ma hanno perso ancora perché anche stavolta sono stati di più i no. E ci sarà un motivo. Magari più di uno.
Sembrava finita qui. Finita per sempre. E invece no. Passano solo cinque anni, e nel 1994 il vento separatista torna a soffiare prepotente. Stavolta sono proprio convinti di farcela. Invece, al terzo referendum, vanno incontro a un’altra batosta, la terza di fila, e perdono ancora contro i no, nonostante che facciano segnare, con il 44 per cento, il punto più alto mai raggiunto di consensi alla separazione.
Passano ancora una decina d’anni (nove per la precisione), e nel 2003, inesorabile come il destino, puntuale come la festa del zioba grasso, arriva un altro referendum, il quarto. Qui la sconfitta dei separatisti è pesantissima, bruciante, la peggiore di tutte. Veneziani e mestrini (o mestrini e veneziani, se preferite), sono così stanchi di sentirselo chiedere che non vanno nemmeno a votare. Alle urne si reca appena il 39 per cento degli elettori, e senza il quorum il referendum non è valido. Annullato. E comunque nemmeno con questi numeri striminziti i separatisti riescono a prevalere. Perdono anche stavolta, e scendono anche nei consensi dei pochi andati a votare: sono appena il 35 per cento di quel 39 che è andato a votare. Un’inezia.
Una batosta del genere tramortirebbe anche un bue. Difatti i separatisti la accusano, e per per un po’ di anni se la mettono via. Per la precisione ne passano sedici di anni, senza che il tema –saggiamente- venga più riproposto.
Adesso, serenissimamente abituati alle sconfitte, e ostinati come muli, sono tornati alla carica. Il primo dicembre, in un disinteresse –giustamente- pressoché generale della città, si torna ancora a votare, a quarant’anni dal primo, per il quinto referendum sulla separazione. Grottesco.
Ci vorrebbe una legge per impedire di indire di continuo –sia pure a distanza di anni- referendum inutili sullo stesso tema su cui la popolazione si è già espressa. E ci vorrebbe anche una norma per addebitare i costi del referendum (che non sono bassissimi), a quelli che lo hanno proposto, nel caso in cui il referendum –come accadrà anche stavolta- venga bocciato.
Per quanto mi riguarda –ammesso che interessi- per motivi che è inutile stare qui a ripetere, ho votato no ai primi tre referendum, ho scelto l’astensione per il quarto e così farò per il quinto. Nella speranza che non mi venga più rivolta, come ai bambini scemi, la stessa domanda.