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Il Ridotto di Venezia
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Roberto Bianchin

Sinceramente, non eravamo tra quelli convinti che il Papi sarebbe davvero uscito di scena.

Non pensavamo nemmeno che la sua decisione di non candidarsi più a premier del Belpaese, fosse un nobile gesto compiuto per amor di patria anziché una resa davanti ai sondaggi che gli accreditavano percentuali ormai ridicole (ridicole rispetto ai fasti del passato, s’intende).

E non la pensavamo nemmeno come Bruno Vespa, che da perfetto maggiordomo si era subito affrettato a scrivere «Non è una resa» sui giornali dell’inquieto costruttore Caltagirone.

Non eravamo nemmeno convinti che il Papi avrebbe nuovamente cambiato idea, con l’ennesima piroetta, decidendo di ricandidarsi dopo la sentenza (come aveva titolato erroneamente il sito del Corsera), per fare un dispetto a quei giudici che avevano osato condannarlo a quattro anni di carcere (che comunque non farà, peccato) e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.

Sapevamo, molto più semplicemente — ma era solo un’intuizione, nient’altro che un’intuizione, roba da basso ventre — che nemmeno stavolta saremmo riusciti a togliercelo dagli zebedei (zebedei è un modo gergale per dire coglioni).

Che si candidi o no, che punti a Palazzo Chigi o al Quirinale, che faccia il padre nobile o il leader o il segretario del suo partito, qualunque nome avrà, dovremo ancora fare i conti con lui. Ancora lui. Questo ce l’aspettavamo. Ma non è questo che sconcerta.

Quello che sconcerta è che dopo tanti anni di attività politica e di governo, al Papi non riesca proprio a entrare in testa che in un paese normale tutti devono rispettare le leggi. Tutti ma proprio tutti, anche quelli che si chiamano Silvio Berlusconi, anche quelli che fanno il premier. No. Non riesce a entrargli in testa nemmeno il fatto che i magistrati stanno lì per farle rispettare, queste benedette leggi, e per arrestare e condannare chi le viola, indipendentemente da come si chiama chi le viola.

Il Papi, siccome si crede di essere il migliore, è convinto di essere al di sopra di tutto. Delle leggi e delle regole. Crede che tutto gli sia permesso. Che tutto gli sia concesso. Che nessuno debba andare a guardare se qualcosa non funziona in casa sua, nelle sue aziende, nel suo partito.

E se qualcuno lo fa, è un nemico. Un suo nemico personale. È un comunista. È un bolscevico. Vuole annientarlo, per sostituire al suo liberismo la dittatura del proletariato.

«Non credo di poter accettare questa cosa — ha detto il Papi, riferendosi alla sua condanna — si è passato il limite. La giustizia italiana non può più andare avanti così, questa non è più una democrazia ma una dittatura dei magistrati, una magistratocrazia…».

Chiamate la neuro. ★

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Caltagirone
Corsera
Lun, 10/01/2012 - 12:00

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