Mani ed erotismo

Le mani rappresentano il simbolo erotico per eccellenza. Nell’immaginario collettivo fungono da volano sensuale a liberare la sessualità in tutte le sue variegate sfaccettature ma all’interno di una netta demarcazione tra mondo femminile e mondo maschile. In chiromanzia la sfera dedicata all’uomo si trova a Nord del palmo, mentre quella della donna è posta a Sud. Le due rispettive aree d’appartenenza sono separate dalla linea della Testa e delineano mondi opposti, pur se complementari nella formazione del ciclo vitale.

COSMOPOLI — Nei testi sapienziali antichi i popoli nordici vengono inquadrati come individui condannati ad un lavoro incessante, edulcorato dal fatto che garantisce il progresso. Impossibile per loro rimanere inattivi a causa di un clima proibitivo, con freddo e fame a farla da padroni. È la dinamicità vista in contrapposizione alla staticità e quindi all’annientamento di individui dai robusti appetiti. E quando vogliono fermarsi, il bisogno li flagella.

Fin quasi alla fine dell’Ottocento la chiromanzia insisteva molto su questo taglio interpretativo. Ce lo racconta Adolphe Desbarrolles nel suo affascinante libro Les mysteres de la main, edito a Parigi nel 1861. Dobbiamo ai suoi studi approfonditi la prima lettura sistematica della mano. E rileva: «I popoli del Sud non hanno bisogno di riparo: non soffrono il freddo e la loro fame viene facilmente appagata. Per lavorare devono possedere una doppia virtù, dal momento che il cielo dalle loro parti è così bello, l’aria così profumata, la contemplazione così dolce da cullare e risvegliare l’amore sensuale che tanto affascina e snerva».

I Nordisti hanno dalla loro parte l’industria, ossia Mercurio, ma anche l’arte del sapere scientifico, Apollo), con Giove a renderli ambiziosi contro le tentazioni seduttive della pigrizia. Tutto ciò rappresenta il mondo maschile.
I popoli del Meridione possiedono invece «l’amore sensuale e l’immaginazione», vale a dire la proiezione psicodinamica della femminilità.

Nella mano c’è pure un Est e un Ovest. L’Oriente rappresenta il levar del Sole, l’inizio di tutte le cose. Dà la vita, la religione, la scienza e l’arte senza nulla trattenere. «Dona il germe e s’addormenta, è il voluttuoso nel suo serraglio» puntualizza Desbarrolles.

L’Oriente ha dato la luce alla gente del Meridione. E loro, trovandola bella, l’hanno resa splendida per le arti, la gloria, la guerra e la civilizzazione. E attivandosi senza posa, con l’aiuto dell’entusiasmo che sgorga dal loro carattere effervescente, l’hanno dapprima resa ancor più luccicante, simile alla chiarezza del Sole, per poi lasciarla sbiadire in quanto, alla lunga, questa luce troppo intensa «recava disturbo ai loro occhi». Così è divenuta «una torcia agganciata ai muri delle loro sale di dissolutezza». Infine si sono «addormentati nell’ubriachezza spegnendola completamente».

Il pollice è rivolto verso Oriente proprio per ricevere le aspirazioni e renderle possibili nutrendole di volontà. Non a caso le linee della Vita, del Cuore e della Testa partono da lì. Il cuore e le idee vanno verso Occidente per andarvi a morire.

Nella mano, per quanto concerne l’Ovest, ci sono Mercurio (commercio), Marte (lotta) e Luna (capriccio e immaginazione). Ma l’immaginazione cade sovente in errore se non è sorretta dall’arte. In quel caso dorme.

Desbarrolles paragona l’Ovest all’America, che «vive per il commercio» e la cui potenza si è formata attraverso la lotta contro le foreste e i mari. Diventa sempre più forte e potente continuando tuttavia a ricevere «solo gli ultimi riflessi della civiltà». Anche se può far brillare il fuoco delle sue macchine, «non illuminerà mai il mondo, essendo la tomba delle arti, il paese dell’egoismo che rappresenta la morte del cuore». E quando il cuore cessa di battere, «diventa un cadavere galvanizzato».

L’Ovest non rappresenta l’avvenire ma la fine del percorso vitale. E se l’America, col passare del tempo, porterà la notte sul mondo, l’Oriente invierà un nuovo giorno per dissipare le tenebre. Il Mezzogiorno si risveglierà rigenerato ma solo «attraverso le virtù femminili dell’immaginazione e dell’amore».

E di nuovo quella luce rischiarirà il Nord facendogli ritrovare la sua virtù maschia: la necessità.

Solo a questo punto si possono cogliere appieno i diversi approcci erotici vissuti, immaginati e descritti attraverso la simbologia delle mani da alcuni grandi poeti dall’Ottocento fino ai nostri giorni. Poetesse comprese che sull’argomento appaiono più coinvolgenti dei maschi nel descriverli, fatte salve le debite distinzioni sui valori artistici individuali.

Nel desiderio erotico di Paul Verlaine, considerato il principe dei poeti maledetti si coglie la pigra voluttà di chi di lascia sedurre da una stanchezza deliziosa, imprigionata nel fascino di una dissoluzione a fuoco lento, di una malinconia da Sole morente che vaga in un labirinto interiore senza uscita.

Il corpo femminile da lui immortalato rappresenta la lascivia che si lascia andare al soffio carezzevole del piacere. L’eros verleniano si colloca in un’atmosfera cromatica che, recuperando gravi mancanze vitali del corpo, concorre a comporre la figura di donna lussureggiante a dare l’idea di prolifica energia.

Nella poesia dal titolo Biglietto per Lily il grande poeta francese si rivolge alla «piccola cara compaesana» pensando che stasera verrà a bussare alla sua porta. «[…] Scivolerete le dita gentili sulla flavente barba d’apostolo mentre la vostra accarezzerò e sopra quel seno di giglio, dove l’ardore metterà rose, la bocca in fuoco si poserà, e queste braccia si ostineranno, in tutta l’estasi delle bellezze sotto la vita e più giù ancora, poi queste mani, che lotte folli con quelle vostre per finta sdegnate, sculacceranno, tenero vezzo, il bel didietro che stringerà lo sforzo teso verso quel centro di gravità… Busso a mia volta. Ah, dimmi: Entra!»

Nei mirabili versi intitolati Sottoveste, Guillame Apollinaire esprime il dolore del mal-amato, vale a dire dell’amore non corrisposto eppure così tanto desiderato: «Buondì Germaine. Avete una bela sottoveste. Una bella sottoveste di regina e di regina crudele. Fatemi toccare la seta, una seta del Giappone con un largo volant di merletto antico, questa campana di seta ove l’ampio battacchio della gambe rintoccò a morto per i miei capricci. Io lo suono, mia Germaine, col seno palpitante e le mani appoggiate alle vostre anche complici. La vostra camera mia campana è un affascinante campanile ove le mie mani sulla seta mi straziano le orecchie. I ganci forca delle sottovesti appese dondolano impiccati di seta che mi meravigliano. Immobile come un gufo la lampada veglia».

Del grande poeta andaluso Federico Garcia Lorca scegliamo i versi di Casida della donna distesa di straordinaria densità emotiva: «Vederti nuda è revocare la terra. La terra senza un giunco, forma pura, chiusa al futuro giardino d’argento. Vederti nuda è comprendere l’ansia della pioggia che cerca fragili fianchi, o la febbre del mare dal volto immenso che non trova la luce della sua guancia. Il sangue risuonerà nelle alcove e verrà con spada di folgore, ma tu non saprai dove si celano il cuore di rospo o la violetta. Il tuo ventre è uno scontro di radici, le tue labbra un’alba senza profilo, e sotto le tiepide rose del letto gemono i morti in attesa del loro turno».

I versi di Pablo Neruda in Lasciami sciolte le mani e il cuore appaiono colmi di struggente libidine rivolti alla donna con cui sta facendo l’amore. «Lasciami sciolte le mani e il cuore, lasciami libero. Lascia che le mia dita scorrano per le strade del tuo corpo. La passione — sangue, fuoco, baci — m’accende con vampate tremule. Ah, non sai cosa significa questo. È la tempesta dei miei sensi che piega la selva sensibile dei miei nervi. È la carne che grida con le sue lingue ardenti. È l’incendio. E tu sei qui, donna, come un legno intatto ora che vola tutta la mia vita ridotta in cenere verso il tuo corpo pieno come la notte di astri. Lasciami libere le mani e il cuore, lasciami libero. Io solamente ti desidero, io solamente ti desidero. Non è amore, è desiderio che si inaridisce e si estingue, è precipitare di furie, avvicinarsi dell’impossibile, ma ci sei tu per darmi tutto, e per darmi ciò che possiedi sei venuta sulla terra. Come io sono venuto per contenerti, e desiderarti, e riceverti».

In Toccare di Octavio Paz, poeta messicano e premio Nobel per la letteratura nel 1990, considerato il poeta li lingua spagnola più importate della
seconda metà del Novecento, sta racchiuso l’alfa e l’omega dell’eros plasmato a misura d’artista. Tre strofe folgoranti: «Le mie mani, le mie mani inventano un altro corpo al tuo corpo».

Sul versante poetico femminile, l’erotismo viene vissuto con una duplicità a metà strada tra istinto animalesco e sensualità perspicace, dove al partner viene chiesto di coniugare potenza ed elasticità, in un perdersi e ritrovarsi all’ultimo respiro.

Esaustiva in tal senso è la poesia di Patrizia Valduga, nativa di Castelfranco Veneto e per ventitré anni compagna di Giovanni Raboni, intitolata Vieni, entra e coglimi. Ogni sua parola è la purificazione estrema della sensualità: «Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…comprimimi discioglimi, tormentami… infiammami programmami rinnovami. Accelera… rallenta… disorientami. Cuocimi bollami addentami covami. Poi fondimi e confondimi… spaventami… nuocimi, perdimi e trovami, giovami. Scovami… ardimi bruciami arroventami. Stringimi e allentami, calami e aumentami. Domami, sgominami poi sgomentami… dissociami divorami comprovami. Legami annegami e infine annientami. Addormentami e ancora entra….riprovami. Incoronami. Eternami. Inargentami».

L’approccio erotico femminile a tutto tondo, di quelli che denudano l’uomo con tutti i suoi tabù sessuali sopiti e nascosti, lo propone la poetessa e scrittrice francofona di origine rumena Rodica Draghincescu in Senza fine. Il maschi farebbero bene a soppesare ogni parola di questa originale artista: «Fotografo i miei occhi, il mio ventre, le mie cosce, la mia lingua e poi ne incollo i pezzi: il mio, il tuo, il mio, il tuo, un sandwich con cui nutro la mia buona volontà. Lecco le mani e le metto sull’affusto: vienivienivieni, come un acchiappamosche, vienivieni ti educherò per non morire di stanchezza, t’incollerò contro di me fino a che diverrai un enorme sigaro acceso. Allora anche tu fumerai te stesso, gusterai la tua verità, la tua menzogna, la tua paura e girandoti verso l’Inferno ti evoluirai silenziosamente, come un fucile sul dorso di un soldato d’élite. Sono nuda? Guarda. Ascolta…

«Fotografo le tue dita, il tuo collo, il tuo ventre, la tua lingua. Sono nuda? Guarda. Ascolta. Fotografo i tuoi occhi, il tuo ventre, le tue mani, la tua bocca. Spogliati, umile bestia, non avere paura (le formiche mangiano solo gli uomini di pane speziato) recita la tua preghiera, umile selvatico, prima di suddividerti nella foto. Sono nuda? Guarda. Ascolta. Riunisco le varie parti (le foto-vite), la mia con la tua, la tua con la mia in un andirivieni erotico attorno al quale la regina delle formiche si eccita. Non avere paura, né la notte né il giorno oseranno toccarci. Per gustare questa fotocomposizione bisogna fucilare il tempo, prenderci reciprocamente nella foto, fare la guerra in carta malva con secondi, minuti, ore di tormenti. Io ti / tu mi fai sprofondare nel tuo corpo, il mio, tu mi / io / ti faccio sprofondare nel mio corpo, il tuo. Sono nuda? Guarda. Ascolta.

«Fotografo la tua bocca, il tuo collo, le tue mani la tua lingua, spogliati, umile bestia, non aver paura, (le formiche mangiano solo gli uomini in pane speziato) recita la tua preghiera, umile selvaggio, prima di suddividerti nella foto. Sono nuda? Guarda. Ascolta. Unisco le parti (le foto-vita) la mia con la tua, la tua con la mia, un andirivieni erotico attorno la quale la regina delle formiche si eccita. Non avere paura, io t’ appartengo e tu m’ appartieni, anche nelle budella della regina». ★

Mani ed erotismo: Maestro di Fontainbleau, Poppea Sabina …

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