Ma perché
volete sapere
se sono recchia?
È urticante, deviante, francamente avvilente. Puzza di ipocrisia, di falsità e di stupida faziosità. Oltretutto è di bassissimo livello il dibattito che si è aperto nel Belpaese a proposito dell’omosessualità di Lucio Dalla.
Anzitutto perché il fatto era noto da tempo, e non solo tra gli amici più stretti del cantante, ma nel mondo della musica come in quello dei media, che mondi tanto piccoli poi proprio non sono. E la cosa praticamente, proprio perché nota, da tempo non interessava a nessuno. In secondo luogo perché non interessava allo stesso Dalla mettere in piazza la sua omosessualità. Cosa che qualcuno gli rimprovera, che qualcun altro invece apprezza, e che qualche cretino addirittura gli perdona. Proprio come non gli importava mettere in piazza la sua fede.
Per motivi suoi, che certamente avrà avuto, e che possiamo anche immaginare, ma che non sta certamente a noi giudicare, Dalla non aveva mai proclamato la sua omosessualità. Per la verità non l’aveva nemmeno mai smentita, e qualche cosa avrà ben voluto dire. Ma non l’aveva mai ostentata, non ne aveva mai fatto una bandiera, non l’aveva mai trasformata in un simbolo, non si era iscritto all’Arci Gay, non si faceva fotografare nudo su Babilonia, non sfilava nei cortei del Gay Pride, non aveva mai chiesto di sposarsi con un uomo. Non ne aveva fatto, insomma, una battaglia.
Se la viveva e basta, come una scelta intima, privata. Da tenere riservata, per lui e per gli uomini della sua vita. Da rispettare, per tutti gli altri. Del resto, se è legittimo, come è legittimo, scendere in piazza per i diritti degli omosessuali, è altrettanto legittimo essere omosessuali senza per questo sentirsi in qualche modo costretti a scendere in piazza insieme ad altri omosessuali. Ma perché volete sapere se sono recchia ? C’è anche una via privata all’omosessualità.
Come c’è una via privata alla fede. Anche questa sua “attitude”, Dalla amava tenerla riservata. Quando è morto, per la maggior parte della gente è stata una sorpresa venire a sapere che era credente e praticante. Eppure, non faceva sfoggio della sua fede, anche qui non la ostentava, non ne parlava nelle interviste ai giornali. Non lo vedevi inginocchiato nei primi banchi alla messa grande di mezzogiorno la domenica in cattedrale, non lo vedevi sfilare nelle processioni della beata vergine e del santo patrono sgranando il rosario, non andava a piedi in pellegrinaggio fino a Santiago de Compostela, non lo vedevi in fila per baciare l’anello del Santo Padre alle udienze vaticane del mercoledì, non aveva il santino di Padre Pio incollato alle tastiere.
Un altro tratto curioso, per molti. Già. E contraddittorio in apparenza. Dalla infatti non aveva una personalità riservata, schiva e taciturna, come altri cantautori, come il suo amico Francesco De Gregori, per esempio. No, Dalla era esuberante, socievole, guascone. Bizzarro negli estri, nelle uscite e nel vestire. Esibizionista, anche. Ma gratificava il suo esibizionismo con l’essere cantante, con l’essere autore, con l’essere musicista, con l’essere artista, con l’essere popolare. Non aveva bisogno di “esibire” anche la sua fede e la sua omosessualità. Omosessualità e fede appartenevano all’uomo, non al cantante. E quindi restavano nella sfera del suo privato. Non era “il cantautore di Dio” Lucio Dalla, come maldestramente ha scritto qualche frate francescano troppo coinvolto o troppo zelante. Era semplicemente un cantautore, uno dei più bravi certo, ma non cantava per conto terzi, era il cantautore di sé stesso.
E come uomo, come persona, riusciva a coniugare benissimo fede e omosessualità, come dimostrano i suoi quasi sessantanove anni di vita piena e felice. Dell’una (la fede) e dell’altra (l’omosessualità) non a caso resta più di qualche traccia nelle sue canzoni, se si ascoltano bene con orecchi scevri da pregiudizi: per fare solo un paio di esempi, dai desideri di dialogo col Padreterno (“parlerei con Dio”), fino alla danza estenuata di “balla balla ballerino”, e ai baci dei marinai che hanno “la vita” nei calzoni: “ma come fanno i marinai a baciarsi tra di loro e a rimanere veri uomini però ?”.
Difficile capire perché gli omosessuali facciano tanta paura alla Chiesa. Forse perché molti preti e molti frati lo sono, anche ad alti e altissimi livelli, come già scriveva più di duecento anni fa il grande poeta Giorgio Baffo (cfr. “Correa per un salòn un frate buzaròn”). Forse perché temono che diventino ancora di più. Forse perché si vergognano di esserlo. Forse perché non possono dire che lo sono, non possono fare outing, e magari, diversamente da Lucio, ce ne sono molti che vorrebbero farlo, e ce ne sono molti che pensano che si possa essere dei buoni servitori del Signore anche se si è omosessuali, e ce ne sono anche che vorrebbero sposarsi tra di loro, se solo potessero farlo.
C’è stato in questi giorni un vergognoso tirare il morto per la giacca. Abbiamo assistito, di qua e di là, a penosi tentativi di gruppi diversi di fanatici, di portarlo dalla propria parte della barricata. Di dire che era dei nostri perché era credente, che era dei nostri perché era frocio, che era dei nostri perché era di sinistra, che era dei nostri perché era di Bologna.
Tutto sbagliato. Lucio era solo di Lucio. Al massimo, da qualche anno era anche di Marco, Marco Alemanno, il suo compagno che l’ha pianto sull’altare con la dignità e il dolore di un giovane vedovo. Ma per l’ipocrisia di molti giornali e televisioni, quelle lacrime erano solo quelle del “suo più caro amico”.