Ma com’è diversa la guerra
se la racconta un bambino

Uno spettacolo per il centenario del primo conflitto mondiale

Il nuovo lavoro del compositore Claudio Ambrosini, uno dei più autorevoli esponenti della musica contemporanea, si ispira alle parole scritte in un quaderno di scuola da un bambino di quarta elementare che racconta alla sua maestra quei terribili momenti vissuti tra bombardamenti, fame e paura. Quel bimbo si chiamava Giuseppe Boschet e una volta cresciuto sarebbe divenuto un sacerdote. Voce narrante dello spettacolo, quella dello storico e critico musicale Sandro Cappelletto, che è anche l’autore della drammaturgia.

VENEZIA – Come appare diversa, a volte persino straniante, la Grande Guerra quando viene vista con gli occhi di un bambino. A raccontarla in musica, naturalmente a suo modo, ci prova Claudio Ambrosini, uno dei maggiori compositori contemporanei, in occasione del centenario dello scoppio della prima guerra mondiale.

In questo suo nuovo, originale lavoro, intitolato appunto La grande guerra (vista con gli occhi di un bambino), che ha debuttato con successo questo dicembre al Gran Teatro La Fenice di Venezia, Ambrosini rielabora i materiali di un quadernetto scritto da un piccolo protagonista di quei tragici eventi.

Lo spunto nasce dalla testimonianza di don Giuseppe Boschet, un sacerdote nato nel 1914 che, qualche anno dopo, quando è in quarta elementare, racconta alla sua maestra alcuni episodi emblematici di quei momenti, quando con la nonna vive tra bombardamenti, paura e fame.

Da questi scritti, pubblicati in copia anastatica nel ’94, in occasione della mostra fotografica 1917-1918 – Il Feltrino invaso, Ambrosini ricava un’opera delicatissima, che vede in scena soltanto tre strumenti, al pianoforte Matteo Liva, la tromba di Alberto Perenzin e le percussioni, affidate a un giovanissimo interprete, Giulio Somma, che in un certo senso ricalca quel bambino così violentemente colpito da cose più grandi di lui.

La voce sopranile è quella di Sonia Visentin, già interprete di molte opere del compositore veneziano, che diviene il canto delle madri, delle sorelle, delle fidanzate, di tutte coloro insomma che vivono dolorosamente la guerra stando in casa ad aspettare tra timori e speranze. Gli uomini, quelli che sono costretti al fronte, sono rappresentati in scena dal Coenobium Vocale, un coro maschile accreditato in Italia e all’estero e diretto da Maria Dal Bianco.

«Volevo che a una voce femminile solista si unisse un coro di uomini, quasi come un contrappunto, per esprimere il disastro della guerra» spiega Ambrosini, che è accompagnato in questa avventura dallo storico Sandro Cappelletto, autore della drammaturgia e voce narrante: «Alle parole fortissime di questo bambino, che nelle pagine del quaderno rievoca meticolosamente la sua esperienza terribile, abbiamo voluto accostare altre voci che parlano di guerra e rendono ancora più assurdo il senso di ogni conflitto, quelle di Anna Achmatova e Nelson Mandela, due dei testimoni più autorevoli del dramma che ripetutamente ha investito il secolo scorso, dall’apartheid alla violenta dittatura sovietica».

Una mescolanza di suoni e frasi che diventa tutt’uno in un impasto inedito e fascinoso, dove si riuniscono momenti di gloria e tanta disperazione, mentre il teatro veneziano era chiuso per permettere alle giovani volontarie di costruire, nei suoi locali, vestiti e uniformi per i nostri soldati.

Alla prima parte, in cui la parola si avvicenda alle note composte per l’occasione da Ambrosini, segue una selezione di canti di guerra, dove si alternano voci speranzose di vittoria a dolenti canzoni contro la violenza e l’obbligo della partenza per un fronte sconosciuto e temuto. Le parole si intrecciano al canto in una mescolanza che grida un urlo contro ogni guerra.

E a ricordare restano le parole di don Boschet, come un monito verso il futuro, in uno spettacolo che emoziona e commuove.

Una famiglia raccolta intorno al focolare, nel gennaio del…

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