Ma cambiare nome
è solo un trucco
C’era una volta un arbitro di calcio che di cognome faceva Figuccia. Non è una favola, è una storia vera. Figuratevi cosa gli gridavano dagli spalti con quel cognome. Difatti chiese di cambiarlo. Permesso accordato. Cambiò nome in Fiduccia. Che non sarà stato bellissimo, ma che comunque era sempre meglio di prima. Questo per dire che qualche volta cambiare nome conviene. Adesso cambiare nome è di moda. Anche in politica.
Sarà per via della disaffezione dalla politica, appunto, e dai partiti, che colpisce come un morbo settori sempre più vasti della popolazione, o sarà perché così va il mondo e ogni tanto c’è bisogno di rifarsi il look, fatto sta che molti partiti, e non solo in Italia, stanno pensando di cambiare il proprio nome. Nel tentativo, probabilmente, di diventare più appetibili, o almeno meno indigesti, agli occhi di elettori stanchi e delusi.
Su questa strada, in Europa, si sta muovendo persino la stessa Francia, sempre piuttosto conservatrice, e non solo in politica, in fatto di identità e di nomi. Il marito della deliziosa Carla Bruni, l’assai meno delizioso Nicolas Sarkozy, che si sta preparando a tornare all’Eliseo al posto di uno sbiaditissimo (e francamente indifendibile) Francois Hollande, ha deciso per l’intanto di cambiare nome al suo partito di centrodestra: l’Ump diventerà Les Républicains. Vale a dire i repubblicani, una parola che per gli eredi della rivoluzione francese conserva sempre una fascinazione tutta particolare.
Identica mutazione anche in casa dei litigiosissimi Le Pen padre e figlia. Il partito di estrema destra del Front National butterà anche lui alle ortiche la sua vecchia e consunta denominazione per assumere quella, più intensa, profonda, e storicamente bene inquadrata, de Les Patriotes, i patrioti. Che per un cuore che batte a destra non è poco.
In Italia, per venire a noi, dove una ventina di anni fa la bufera di Tangentopoli aveva già ucciso la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Socialdemocratico, il Partito Liberale e il Partito Repubblicano (e più tardi anche il Partito Comunista), a fare da apripista al cambio dei nomi è sempre lui, l’immarcescibile e sempre vivo Papi Silvio Berlusconi, che dopo avere seppellito la Casa delle Libertà e il Partito delle Libertà, ammazzerà anche Forza Italia e Forza Silvio, per ribattezzare I Repubblicani, seguendo l’esempio di Sarkozy, la sua nuova (vecchia) formazione politica nell’ultimo disperato tentativo di sottrarla all’inesorabile declino.
Non si fa attendere, sull’altro fronte, la pronta risposta del premier berluschino Matteo Renzi, anche lui intenzionato a cambiare nome al Pd (ma allora è proprio una mania!), e a contrapporre ai berluscones repubblicani il suo fedele esercito ribattezzato I Democratici.
In questo modo l’Italia assomiglierà davvero a quel Paese sempre ammirato e invidiato (da molti, non da tutti), chiamato Stati Uniti d’America, dove a contendersi i favori dei pronostici saranno, di qua e di là dell’Atlantico, sostanzialmente due partiti dagli stessi nomi: i Democratici e i Repubblicani, nel nome di un bipartitismo perfetto.
Le cose del mondo, in realtà, stanno andando in tutt’altra direzione. Una direzione ostinata e contraria, la chiamerebbe De André. Perché persino nel Regno Unito, altro Paese del bipartitismo perfetto, conservatori contro laburisti, qualche crepa si sta aprendo, con la crisi dei vecchi partiti (laburisti in questo caso), l’affiorare di nuove formazioni, e sullo sfondo lo spettro di future faticose alleanze all’italiana.
Ma questo sarebbe ancora il meno. Perché non basta cambiare i nomi dei partiti per cambiare i partiti. E’ un’illusione pericolosa. E può diventare un imbroglio. Se non cambiano i personaggi e i modi di fare politica, cambiare i nomi è solo un trucco.★