Le nuove età
della vita

Sono salite a nove le stagioni della vita

Guai chiamare vecchi i settantenni, pur se da tempo in pensione. Non è più così. Il percorso vitale si sta facendo sempre più lungo e pieno di aspettative. Nuove opportunità sono dietro l’angolo, basta saperle cogliere. Sono salite a nove le stagioni di vita. Con tutti gli aggiustamenti del caso. Le più recenti definizioni anagrafiche non collocano più la mezza età tra i 35 e i 55 anni bensì in un periodo compreso tra i 50 e i 65 anni.

E si diventa giovani anziani solo a partire dai 65 anni fino ai 75. Gli anziani veri e propri vengono definiti tali dai 76 agli 84 anni. Solo dopo gli 85 anni si entra nel novero dei grandi anziani. In media si muore oltre gli 80, anche se, a livello statistico, sono le donne a campare più a lungo. Superare i 90 anni è divenuto un traguardo raggiungibile. Sono pure in aumento i festeggiamenti delle persone centenarie. Già si parla di prospettive che permetteranno all’uomo e alla donna di raggiungere i 110-120 anni entro la fine del secolo in corso.

Lo sconvolgimento anagrafico riguarda anche il mondo giovanile in generale. Stando ai nuovi parametri, l’infanzia va da 0 a 10 anni. Si amplia soprattutto l’arco temporale riferito agli adolescenti: adesso va da 11 a 20 anni. Si restringe invece lo spazio riservato ai giovani-giovani: dai 21 ai 25 anni. Poi si diventa giovani adulti fino ai 34 anni.

Superato questo gradino si passa tra coloro che vengono definiti adulti, Si tratta del periodo più produttivo, compreso tra i 35 e i 54 anni. Dai 55 ai 64 anni si sale di uno scalino divenendo tardo adulti. La sesta stagione esistenziale va invece da 65 a 75 anni e riguarda appunto i giovani anziani, mentre si possono definire anziane le persone dai 76 agli 84 anni. La nona «stazione» d’arrivo, quella dei grandi anziani, va da 85 primavere in su.

Lo spunto saliente per affrontare un argomento così impegnativo e multidisciplinare si coglie leggendo l’interessante saggio Le età della vita dato alle stampe nel dicembre 2014 da Aracne Editrice di Roma e scritto dal professore emerito Luigi Pavan, docente di Malattie Nervose e Mentali e per tanti anni ordinario di Psichiatria dell’Università di Padova.

Pavan, psichiatra di chiara impronta psicanalitica, spiega che nel corso dei secoli «si è andata modificando sia la percezione del tempo che la sua durata». E ricorda che in un passato non molto remoto «l’infanzia era poco conosciuta», mentre l’adolescenza e la giovinezza «apparivano molto più brevi, si diventava adulti e si invecchiava rapidamente, la fine della vita arrivava in fretta».

Solo nel XX secolo si è cominciato a scoprire e a valorizzare l’infanzia, mentre l’adolescenza si è sempre più spostata in avanti, sia pure anticipata come pubertà. Adesso non è raro da definire ragazzo un quarantenne.

Età e ritmi di vita appaiono scanditi non solo dalle esigenze della specie e da spinte ambientali ma anche da scelte orientate dalla singola persona quando evita di accettare un determinismo sovraindividuale troppo codificato.

Ma forse il punto decisivo riguarda l’adattamento. L’uomo moderno dovrà sempre più abituarsi a lasciare continuamente il noto per l’ignoto, il certo per l’incerto: nell’arco della sua esistenza vive: perdite, separazioni, momenti conflittuali ma anche passioni, contatti e cambiamenti alla ricerca di nuovi stimoli allo scopo di soddisfare le proprie pulsioni sottese alla sicurezza e all’affetto dell’altro nell’ottica costante del benessere e della felicità.

«La vita appare un continuo viaggiare, un cambiamento, una ricerca di sé e dell’altro che ci accompagna fino alla morte» puntualizza il professor Pavan.

Già Eikson, nel 1959, aveva individuato otto stadi nello sviluppo dell’Io riferito all’intero ciclo vitale. Rilevava altresì che i momenti di passaggio da uno stato all’altro avvengono attraverso un periodo di crisi, ossia «una condizione affettiva vissuta in relazione ad un sentimento di difficoltà, di impasse, di vicolo cieco».

Tali crisi non hanno di solito alcun potenziale evolutivo: riorganizzano e permettono di andare avanti. Possono tuttavia produrre, quando la sofferenza diventa troppo intensa o duratura, «patologie psichiatriche e comportamenti disadattativi». L’evoluzione dipende da molteplici fattori personali, «dalle strutture narcisistiche troppo fragili o troppo rigide, dalle fondamenta dell’identità, dalle capacità di elaborare le angosce di separazione, dall’equilibrio psicodinamico che per nessuno è mai definitivamente raggiunto».

Bisognerà pure tenere conto della portata degli eventi esterni, del loro grado di traumaticità, in quanto possono riattivare traumi pregressi. Senza dimenticare il contesto ambientale in cui inserirli nonché l’eventuale aiuto tecnico-specifico a disposizione.

L’autore del saggio suggerisce la necessità di vivere le crisi come opportunità, come «possibilità di fare esperienza di una capacità di conflitto, di lutto, di incontro-scontro, di confrontarsi col destino umano così come viene raccontato da Conrad nel suo romanzo Linea d’ombra quando descrive il passaggio dalla giovinezza all’età matura».

D’altronde la ristrutturazione identificativa avviene attraverso nuovi adattamenti. Prima di arrivare ad una discreta integrazione si possono riattivare « precoci di persecutorietà che sfociano in angosce di tipo ipocondriaco con dubbiosità sul corpo e sulla salute». Si esprime così la vulnerabilità durante la ristrutturazione del sé.

L’idea di circolarità dell’esistenza, quella dettata dalla scansione del tempo e del ricambio generazionale, rientra nella natura delle cose. Ma in quest’ultimo periodo che possiamo definire post-moderno la circolarità appare in crisi in quanto la generazione non viene più definita in base alle date di nascita bensì «su quanti vivono nello stesso periodo di tempo pur avendo età diverse». Ne consegue una messa in discussione dei ruoli generazionali, «sempre più confusi e difficili da riconoscere».

Gustav Klimt Le Tre Età della Donna (1905, olio su tela;…

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