Lamento sul furto delle ossa di san Marco nel 1797

Furon poste nelle vôlte sotterranee della chiesa, ed i muratori furono rinchiusi in un convento ove era proibito parlare. Il doge, i quattro più vecchi procuratori ed il patriarca sapevano soli ove fossero i preziosi avanzi; … i Dieci ed i Tre inquisitori lo ignoravano, e ciò formava il loro rammarico.
Il doge, i quattro procuratori ed il patriarca recavansi ogni cinquant’anni a verificare la presenza delle reliquie.
Ecco come fece chi le involò.
Entrò nel campanile di san Marco: salì fino all’altezza del leone dorato che sta sulla facciata della chiesa. Mosse una pietra che si aggirò da sé medesima. e vide una nicchia.
Ivi era sdraiato un leone di bronzo; nel corpo dell’animale trovò cinque chiavi d’oro che portò seco.
Recossi alla Basilica ad una nota cappella, ove era un confessionale che fece girare sovra un cardine.
Di dietro era una nicchia di pietra; levò una pietra del fondo, entrò e trovossi in un corridoio fra due mura.
Egli avea un fosforo di Sicilia, che lo rischiarò, e discese una scala.
Essendo allora al disotto del livello del mare, entrò in una sala, poscia in un’altra, che aprì con una chiave d’argento.
In questa seconda sala stava una colonna su cui era scolpita tutta la storia del corpo di san Marco, da Alessandria sino al sotterraneo.
Vedevansi i mercadanti veneziani che comperavano il corpo, i mussulmani spaventati, il vascello, la tempesta, lo sbarco, il nascondiglio e la visita del doge.
Nella base della colonna il ladro trovò una scaletta e discese e vide un immenso vano: era nel muro una molla: la spinge ed ecco un ponte di ferro che si abbassa da se.
Ei passò il ponte e trovò tre inferriate cui aprì con segreti simbolici.
E trovò una porta di bronzo, cui aprì con una chiave d’oro.
E fu maravigliato all’aspetto della cappella ove entrò; perché era ripiena di vasi, urne, turiboli e candelabri su cui ardevano cento ceri.
Nel mezzo era un altare di quel metallo di cui si fa l’anello con che il doge sposa il mare, al disopra la statua di san Marco col leone a’ piedi.
Il leone aveva la gola aperta, e per occhi aveva diamanti.
La chiave della tomba era nella gola del leone.
Se qualcuno di noi l’avesse presa, un tuono sarebbesi udito che avria fatto suonare le campane di san Marco, ed il doge ed il patriarca sarebbero accorsi.
Ma egli volse quattro volte l’orecchio del leone, e la chiave uscì spontaneamente dalla gola di quello.
Allora con questa chiave apre la tomba, e vede dinanzi a sé le ossa del santo.
Anatema, sacrilegio, eterna dannazione! Egli prende le sante ossa. Le ravvolge nel suo mantello, e fugge per un corridoio: dopo il corridoio trova una scala e sale.
Poscia apre una porta coll’ultima sua chiave d’oro ed entra nella Basilica sulla balaustrata della navata ove occhio non giunge.
Aspetta ivi la notte per fuggire. Giunta la notte fugge, e recasi presso il generale nemico.
Oggi egli possiede le reliquie di s. Marco, domani possederà Venezia.

Questa curiosa e minuziosa leggenda è riportata, tradotta dal veneziano in francese, dal celebre viaggiatore francese Jules François Lecomte, ottocentesco autore di libri di marineria, cronache, pamphlet e guide turistiche, tra cui il celeberrimo volume — anonimamente tradotto, minuziosamente annotato poderosamente corredato e notevolmente aggiunto, in versione italiana — Venezia o colpo d’occhio letterario, artistico, storico, poetico e pittoresco sui monumenti e curiosità di questa città (Venezia, 1844, co’ tipi di Gio. Cecchini e comp. Editori) capitolo vendutissimo della collana L’Italia del viaggiatore. Scrive il Lecomte ad introduzione del lamento che avete appena letto: «Sembra fosse antica credenza nel popolo essere il corpo di san Marco nascosto in un sotterraneo noto soltanto ad alcuni ragguardevoli personaggi. Ciò almeno si desume da una specie di lamento curioso, composto in dialetto veneziano al momento in cui cadde la Republica, e che attribuisce questo grande avvenimento al ladrocinio commesso da un emissario francese delle ossa di san Marco. Questa leggenda, ballata, o lamento quale si voglia, fu stampata in sì pochi esemplari, ch’è rarissima nonostante la recente sua data. Noi ne offriremo alcuni tratti (*). Sembra, secondo l’autore dei versi veneziani, che Napoleone sapendo che le reliquie del santo erano il talismano della Republica, le abbia fatte involare per vincere Venezia, nel modo istesso in cui Sansone perdendo la sua capegliatura perdette forza e coraggio!»
Nota dell’anonimo traduttore redattore veneziano: «(*) Chi presterà fede a questa leggenda? Ma, ammessa pure l’asserzione del Lecomte, il contenuto di quella non può che esser falso. Si vegga la storia dello scoprimento del corpo di san Marco scritta dal Carli, dal co. Leonardo Manin e dal Cicogna.»

Lamento sul furto delle ossa di san Marco nel 1797