La storia riscritta
in salsa croata
La Croazia adotta Marco Polo, Re Artù, e perfino l’Odissea
Colpi di caldo. Le stravaganti teorie di alcuni storici accreditano la tesi di una molto improbabile origine croata per il leggendario imperatore bretone come per il celebre viaggiatore veneziano, al quale è stato appena dedicato un museo sull’isola «natale» di Curzola, dove lo hanno ribattezzato Marka Pola. Anche il celebre viaggio di Ulisse, raccontato da Omero nell’Odissea, si sarebbe in realtà svolto tutto tra le isole croate, da Meleda a Lagosta.
KORCULA (Croazia) – Non avendo (evidentemente) nulla di meglio da fare, e comunque pensando di accalappiare qualche turista in più, nonché di acquisire benemerenze in vista del suo prossimo ingresso in Europa, la Croazia ha deciso di riscrivere la storia. E ha incominciato a farlo nel cuore dell’estate, nella speranza di attrarre sulle sue peraltro splendide (e meno dispendiose) coste, i vacanzieri impoveriti dalla crisi.
Nel solo mese di agosto, al culmine delle vacanze, ha sparato tre colpi da novanta, tutti sul versante storico, giudicato il più idoneo sia per suscitare curiosità che per colmare il suo imbarazzante vuoto di personaggi celebri. In un colpo solo la Croazia ha adottato Marco Polo. Non contenta, si è appropriata anche di Re Artù. E, infine, dell’Odissea. Non è uno scherzo. Forse sono colpi di calore. O provocazioni intellettuali. Ma potrebbero essere semplicemente disinvolte operazioni di marketing. Anche se non è del tutto escluso che qualcuno di loro ci creda per davvero.
Con Marco Polo ci avevano già provato alcuni anni fa, quando gli avevano trovato casa sull’isola di Korčula (Curzola), un fazzoletto di diciassettemila abitanti profumato di lavanda, dove sostengono che sia nato nel 1254. La casa l’avevano aperta al pubblico, e la Croazia si era autoproclamata la patria di Marco Polo in uno spot pubblicitario diffuso anche in Cina. Adesso, a ferragosto, hanno fatto il passo successivo: gli hanno dedicato un museo. I croati, con la complicità di alcuni storici (?) locali, sostengono infatti che il celebre viaggiatore veneziano, sulle cui origini (veneziane, appunto) nessuno nei secoli ha mai avuto dubbi, sia nato in realtà a Korčula. Perciò, modificandogli addirittura il nome in croato — Marka Pola — lo presentano come «il personaggio più noto originario di Korčula». Da sbellicarsi dalle risa.
Loro invece fanno terribilmente sul serio. A supporto della loro tesi citano il fatto che sull’isola vi siano alcuni abitanti che di cognome fanno ancora oggi Polo e De Polo, e che Marco Polo venne catturato proprio nelle acque intorno all’isola nel corso di una furibonda battaglia tra la flotta veneziana e quella genovese nel 1298, quando Curzola, come tutta la Dalmazia, era sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia.
Proprio alla battaglia di Curzola è dedicata una delle sette scenette che compongono il museo di Marka Pola, allestito (con una spesa di 270mila euro) in un palazzo del centro storico dell’isola, dove si aspettano almeno ventimila visitatori l’anno (il biglietto costa 8 euro, i cinesi entrano gratis). Nel museo, dove in realtà non c’è molto da vedere, i croati dicono di aver voluto rappresentare «la vita e i molti viaggi del famoso avventuriero medievale che nel tredicesimo secolo visitò la lontana e sconosciuta Cina».
Le scenette sulla vita di Marco Polo sono ricostruite, in altrettante salette, con statue di silicone a grandezza naturale, del tipo di quelle che usano nei film e nei musei delle cere. Il Marco Polo croato lo hanno fatto molto croato, in effetti, coi tratti duri del volto, la faccia ossuta, tirata, gli zigomi slavi, l’espressione tra lo stupefatto e il minaccioso, i lunghi capelli neri pettinati a caschetto, alla moda dell’epoca. È vestito con una camicia a rombi colorati, stile hippie anni sessanta, e una tunicona rosso vinaccia. In una scenetta lo si vede in partenza, sullo sfondo dell’isola. Dietro di lui si intravede un vecchio con la barba. Forse il padre, o lo zio.
Nelle altre scenette lo si vede, stivaloni e turbante, più Indiana Jones che Marco Polo, addentrarsi nel deserto tra cammelli e serpenti, inchinarsi di fronte al trono del grande imperatore, più Budda che Kublai Khan, percorrere la grande muraglia cinese, affrontare le navi in battaglia, e infine marcire in una lurida cella, già vecchio, a vergare le pagine del suo Milione, con la sola compagnia di alcuni giganteschi topastri capaci di ergersi in piedi sul suo tavolino tra le sudate carte, sorvolando anche sul fatto che in realtà dettò il Milione a Rustichello da Pisa. Una comica.
La seconda comica è quella di Re Artù. Giocando (forse) sul fatto che la sua reale esistenza non è mai stata troppo certa, i croati si sono appropriati anche di quest’altro personaggio leggendario, figlio di Uther Pendragon e di Igrayne (per alcuni studiosi si sarebbe trattato del comandante militare romano Lucius Artorius Castus), che fino a ieri si riteneva fosse nato a Tintahel in Cornovaglia. Niente vero. Anche Re Artù era croato, così come croati erano anche i famosi cavalieri della tavola rotonda, omaccioni che in battaglia urlavano in slavo terribili insulti, e che nelle bettole della costa si rimpinzavano di ćevapčići e di travarica.
Secondo lo studioso croato Lujo Medvidovic, che al tema ha dedicato un libro molto eloquente intitolato Castus e giustizia, e ha trovato (a sorpresa) anche una sponda britannica alla sua tesi nelle ardite argomentazioni dello storico inglese John Matthews (non è uno scherzo, è un omonimo della celebre ballerona veneziana della Compagnia de Calza «I Antichi»), Re Artù sarebbe nato nel piccolo villaggio di Lokvičići, alle spalle di Spalato, e sarebbe morto a Podstrana, non molto lontano.
Credono così tanto a questa tesi i croati, che sempre quest’estate, a Igrane, un paesino della Riviera di Makarska, nella Dalmazia Meridionale, che sarebbe il paese natale della madre Igrayne, si sono inventati La notte di Re Artù: una grande festa con tornei e rievocazioni storiche, legionari romani, cavalieri della tavola rotonda, concorsi per Mister Excalibur e Miss Ginevra. A Re Artù per l’occasione hanno intitolato anche un preziosissimo olio d’oliva (extravergine) che si è già guadagnato il titolo di miglior olio della Croazia. Imperdibile.
Ma il massimo, i croati lo hanno raggiunto con la terza comica, quella dell’Odissea. Scordatevi tutto quello che avete letto a scuola. Quello che vi hanno spiegato i professori. Quello che per secoli hanno sostenuto gli storici di ogni età e di ogni paese. Era tutto falso. Il viaggio di Ulisse, in realtà, si è svolto tutto nelle isole croate, da Meleda a Lagosta. La sconvolgente novità viene da un libro intitolato Sulle vie dell’Odissea in cui un giornalista e scrittore di viaggi croato, Jasen Boka, dopo aver studiato il capolavoro di Omero «per più di due anni», giunge a queste sorprendenti conclusioni sulla base di una serie di riscontri che vanno dalla geografia all’archeologia all’analisi dei venti. «Ora non resta che scoprire una copia dell’Odissea scritta in glagolitico, il più antico alfabeto slavo conosciuto, e anche Omero diventerà croato», commenta ironico il giornalista Mauro Manzin che ha raccontato questa storia sul quotidiano triestino Il Piccolo.
Il mare dell’Odissea, dunque, altro non sarebbe che il mare Adriatico. Sponda croata. E Ulisse avrebbe vissuto la sua lunga avventura in Dalmazia. Sorpreso da una forte bora (ma non soffia da nord, nord est?) al largo del Peloponneso, sarebbe stato spinto sulle coste dalmate da un prepotente vento di scirocco. E sarebbe rimasto sette anni prigioniero per amore della ninfa Calipso sull’isola di Meleda (Mljet), dove a suo tempo naufragò, secondo un’interpretazione di alcuni passi biblici, anche l’apostolo Paolo.
Mille abitanti, due ore e mezza di barca da Dubrovnik, ricca di verde, di tracce di chiese paleocristiane e di rovine di ville romane, due laghi salati che risalgono a diecimila anni fa, Meleda soppianterebbe così l’isola di Gozo, vicino a Malta, fino a ieri ritenuta la vera isola di Ogigia cantata da Omero. A Gozo infatti, a picco sulla splendida baia di Ramla dalla sabbia rosa, c’è ancora una grotta che viene considerata quella di Calipso. Ma i croati hanno scovato la loro grotta di Calipso in una zona a sud-ovest dell’isola di Meleda.
Con la stessa logica, per via di laghetti interni e di grotte sottomarine, hanno identificato nell’isola di Cazza (Sušac) a sud dell’isola di Lagosta (Lastovo), il luogo dove viveva Eolo, il mitico re dei venti. E nell’isola di Almissa (Omiš) la casa dei lotofagi. Il ciclope viveva invece nell’isoletta di Scedro (Šćedro), poco lontano da Lesina (Hvar), mentre Scilla e Cariddi si sarebbero trovati, anziché sullo stretto di Messina, tra la penisola di Sabbioncello (Pelješac) e l’isolotto di Ulbo (Olib). Dulcis in fundo, Itaca si sarebbe trovata a Lussinpiccolo, e Penelope tesseva la tela, aspettando il ritorno del suo eroe, sulla dolce baia di Cigale.
Imbrogli croati. ★