La Repubblica tradita

Ascesa e declino di un giornale

Un velenosissimo pamphlet di Giovanni Valentini, già vicedirettore di Repubblica, sulla fusione con La Stampa, e sulla metamorfosi subita dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. «La libertà di stampa non è una merce, non si vende e non si compra», spiega. «L’operazione «Stampubblica» per la sua dimensione e la sua portata, rappresenta invece una minaccia per l’intero sistema mediatico e quindi per il futuro della nostra vita democratica». Il racconto di uno dei fondatori e il parere di chi ha lavorato con lui. Una storia che divide.

L’incipit è feroce come una pugnalata. “All’inizio di quella straordinaria avventura giornalistica che fu nel 1976 la fondazione di Repubblica (intesa come giornale, ndr), a cui ho avuto il privilegio di partecipare fin dalla vigilia, nessuno di noi avrebbe mai potuto lontanamente immaginare con la più sfrenata fantasia che un giorno sarebbe arrivato a dirigere il quotidiano di Eugenio Scalfari un direttore della Stampa di Torino (anche qui intesa come giornale, ndr): il giornale di casa Agnelli, comunemente chiamato in dialetto piemontese “la Busiarda” ovvero “la bugiarda”. E se qualcuno si fosse azzardato a preconizzare che, dopo il regno illuminato di Scalfari, di direttori targati Fiat ne avremmo avuti addirittura due, uno dietro l’altro, sarebbe stato accolto verosimilmente dall’ilarità generale, tra frizzi e lazzi”.

Comincia così “La Repubblica tradita”, un libro scritto da una firma prestigiosa del quotidiano romano, quella di Giovanni Valentini, 69 anni, barese, che è stato vicedirettore di quel giornale, direttore dell’Espresso, dell’Europeo, del Mattino di Padova e della Tribuna di Treviso. Valentini, che ha smesso di scrivere per Repubblica, racconta con amarezza come sia cambiato il giornale in cui ha vissuto quarant’anni della sua vita.

“Dal ’96 a oggi –scrive- Repubblica ha cambiato progressivamente anima e pelle. Prima, in modo più soft con Mauro che proveniva dalla vecchia Fiat degli Agnelli; poi, in modo più ruvido con Calabresi che invece proviene dalla nuova Fiat di Sergio Marchionne e di John Elkann. Una metamorfosi, una trasformazione o una degenerazione della testata e di tutto il gruppo, favorita dal tempo che passa e dall’indebolimento naturale di Eugenio a causa dell’età”.

Ma è soprattutto la fusione tra Repubblica e Stampa che a Valentini non va giù. “La libertà di stampa non è una merce, non si vende e non si compra –spiega l’ex vicedirettore di Repubblica- l’operazione “Stampubblica”, per la sua dimensione e per la sua portata, rappresenta invece una minaccia per l’intero sistema mediatico e quindi per il futuro della nostra vita democratica”. Più chiaro di così.

A Valentini non mancano argomenti: “Chi ha combattuto per tanti anni contro lo strapotere televisivo e pubblicitario, non può arrendersi oggi all’avvento di un Moloch editoriale che –dietro l’alibi di una crisi in atto- pretende un sacrificio inaccettabile della libertà di stampa. E minaccia di ridurre ulteriormente l’autonomia dei giornali e dei giornalisti. Questo è un sistema di vasi comunicanti, in cui è fondamentale mantenere un’articolazione di operatori e di aziende, ma anche un equilibrio nella distribuzione delle risorse. Una mega-concentrazione come quella tra La Repubblica e La Stampa è destinata, invece, a produrre fatalmente una stenosi nell’apparato circolatorio, alterando così l’intero mercato e restringendo il diritto all’informazione di tutti i cittadini”.

Troppo diverse, inoltre, spesso anzi antitetiche, le storie dei due giornali. Nessuna radice comune, a dispetto delle imbarazzate e per nulla credibili spiegazioni ufficiali. Piuttosto, un “connubio contro natura” dal quale “non può che scaturire fatalmente un ircocervo: un ibrido editoriale paragonabile a un mostro mitologico, metà cervo e metà caprone. Un’unione “incivile” insomma, che implica una manipolazione del dna originario”. Era stato Scalfari, non a caso, a battezzare Gianni Agnelli come “l’avvocato di panna montata”.

Valentini spiega bene: “Non è tanto una questione di linea politica, sebbene oggi il renzismo segni indubbiamente uno spartiacque. Del resto, Repubblica è sempre stato un giornale progressista in politica, liberale in economia, radicale (e tendenzialmente libertino) nei costumi; mentre non si può proprio dire che La Stampa sia mai stato un giornale di sinistra, avendo sempre coltivato un orientamento liberal-conservatore e un certo bigottismo provinciale, camuffato dietro lo snobismo internazionale. Si tratta, piuttosto, di una differenza di cultura e di impegno civile: il quotidiano di Scalfari, erede diretto della gloriosa tradizione dell’Espresso, come un giornale d’opinione e d’intervento, originariamente alternativo al sistema dell’informazione italiano, un “watch dog” (cane da guardia) destinato a svolgere una funzione di contropotere, nel senso anglosassone di controllo del potere o dei poteri costituiti; il quotidiano di Agnelli, come un giornale dell’establishment, tendenzialmente filo-governativo, pienamente integrato nel sistema di potere”.

Ho lavorato trentaquattro anni a Repubblica, a partire dalla sua fondazione. Sono stato corrispondente, redattore, caposervizio e per venticinque anni inviato speciale. Conosco bene Giovanni Valentini. Lo considero un ottimo giornalista, un ottimo direttore e un’ottima persona. Il suo linguaggio è forte e chiaro. Preciso. Senza fronzoli né sconti. Scrive sempre a schiena dritta e la sua lingua non è mai biforcuta. Dote che non è sempre un pregio in certi ambienti.

Anche in questo libro, a parte la dedica affettuosa a Barbapapà, soprannome che i suoi redattori avevano dato a Scalfari, il suo tono è spesso aspro, tagliente. Si avverte l’amarezza per come sono andate a finire le cose. E si sente un pizzico di veleno, questione personale s’intende, per l’editore che non ha voluto lui direttore dopo Scalfari. Lui che era l’erede naturale. Il logicamente designato. Lui che lo avrebbe meritato. Lui che di sicuro avrebbe fatto meglio.

Sono conscio che non importa (quasi) a nessuno, ma mi fa piacere condividere tutto (quasi) quello che scrive. Resta il fatto che quella di Repubblica, per chi l’ha vissuta, è stata un’avventura straordinaria. E che quella di oggi è un’altra storia.

LA PAGELLA

Giovanni Valentini: voto 9
La Repubblica di Eugenio Scalfari: voto 9
La Repubblica di Ezio Mauro: voto 6
La Repubblica di Mario Calabresi: sv
La Stampa: voto 5

Giovanni Valentini, “La Repubblica tradita”
PaperFirst by il Fatto Quotidiano 2016
134 pagine, 12 euro
www.ilfattoquotidiano.it

Giovanni Valentini (fonte: Dagospia)

La Repubblica tradita