La pittura crudele

La duplice mostra dedicata a Balthus

A Roma ultimi giorni per la grande mostra dedicata a quindici anni dalla morte a Balthasar Klossowski de Rola, in arte Balthus (1908-2001), aperta fino al 31 gennaio, poi in partenza per Vienna. Complessivamente quasi duecento opere provenienti dai più importanti musei europei e americani oltre che da collezioni private mettono in luce il processo creativo di Balthus nell’arco di sessant’anni attraverso quadri, disegni rari, studi preparatori e fotografie. Con l’occasione Villa Medici ha aperto ai visitatori alcune stanze riservate e i giardini che furono oggetto di un ambizioso progetto di ristrutturazione seguito direttamente dal pittore.

ROMA — In realtà le mostre sono due: una alle Scuderie del Quirinale, una retrospettiva sui capolavori più noti della carriera di Balthus, un percorso cronologico che si sviluppa attorno ai temi dell’infanzia, dell’eros e delle opere letterarie care alla sua vita come Cime tempestose di Emily Brontë e Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll; l’altra a Villa Medici, la sede dell’Accademia di Francia di cui Balthus fu direttore dal 1961 al ’77, dove sono esposte le opere realizzate durante il soggiorno romano.

Antonin Artaud, artista poliedrico e uno dei padri del teatro contemporaneo, definì il realismo tagliente e la ieraticità dei primi dipinti di Balthus Estetica della crudeltà. Esposti nel 1934 nella Galerie Pierre di Parigi per la prima personale dell’Artista, furono recensiti dal teorico del Teatro della Crudeltà che ne apprezzò soprattutto il coraggio di affermarsi con uno stile nuovo lontano dalle tendenze pittoriche delle Avanguardie e per la capacità di proporre un forte richiamo alle pitture primitive italiane, ma in chiave moderna.
Per il pensiero figurativo che emergeva dalle sue composizioni e per la chiarezza formale ereditata dagli artisti del Rinascimento toscano, in particolare da Piero della Francesca, Artuad, all’apice della carriera, gli chiese di disegnare le scenografie e i costumi per il suo spettacolo Cenci (1935). L’intento era quello di far recuperare al teatro un linguaggio fisico e concreto, destinato ai sensi. Indipendente dalla parola, sul modello della pittura di Balthus che mascherava, nel ritorno al classico, le forti pulsioni contraddittorie dell’anima: la purezza e l’oscurità.
Appartengono a questo periodo alcune delle opere esposte alle Scuderie del Quirinale tra cui La toilette de Cathy (1933), Le Roi des chats (1935), Les enfants Blanchard (1937) acquistato da Picasso e conservato nella sua collezione privata per tutta la vita.

È presente anche il primo capolavoro di Balthus, La Rue (1933), in prestito dal MoMA, per la prima volta a fianco della versione antecedente del dipinto, realizzata dall’artista nel 1929. Il quadro è già il manifesto della pittura balthusiana: ambientato in una strada nel quartiere latino di Parigi, i personaggi principali sono dei bambini che giocano tra i passanti. La disposizione spaziale delle figure è configurata idealmente in una griglia prospettica di tipo rinascimentale che conferisce fissità teatrale ai personaggi, non a caso definiti da Artaud «automi da sogno». In questo dipinto si riscontrano le caratteriste plastiche e poetiche delle opere future in cui non mancherà la geometria e l’eterea astrazione delle figure né la consueta attenzione ai bambini e agli adolescenti ritratti in vari momenti di gioco e di contemplazione.

Nella maggior parte delle opere di Balthus sono raffigurate figure femminili, giovani modelle nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, dipinte in atteggiamenti ambigui, tra pose vagamente sensuali e innocente abbandono.
Ne La Chambre (1952-54) Balthus rompe il tabù dell’eros, dichiarando che soltanto l’istinto del basso ventre è dinamico e può far sussultare l’ipocrisia borghese. I colori terrei e le linee squadrate della composizione di grandi dimensioni contrastano con l’immagine centrale del dipinto, in cui una ragazza è riversa nuda su un divano in stato di beatitudine. Sembra abbia appena avuto un orgasmo e il suo stato di estasi è ampliato dalla luce intensa, proiettata su di lei dall’apertura di una tenda. Violenza o autoerotismo? È comunque forte la tensione emotiva che genera sullo spettatore ignaro. Testimoni silenti un gatto e il personaggio dall’animo mostruoso coprotagonista della tela appartenente alla Collezione Agnelli.

Il tema della mostruosità che sottende la vita è una costante nei dipinti dell’artista, soprattutto nella serie degli idrocefali e torna ogni volta con i gatti (l’alter ego del pittore) statuari e ironici testimoni di verità scomode e pertanto non rivelabili.

«La mostruosità è una difesa contro la mostruosità dell’esistenza stessa perché l’artista, attraverso la proiezione di una malinconia ricreata, controlla la malinconia diffusa; la tristezza e l’angoscia sono invincibili solo perché non hanno un volto che le caratterizza, finché l’artista non le rinchiude nelle facies dei suoi mostri». È l’esplicitazione del fratello di Balthus, il filosofo Pierre Klossowski, il miglior interprete e critico del pittore che ne svela le ambivalenze e il senso dell’assurdo, il malessere esistenziale, l’attaccamento ai luoghi della loro infanzia riconoscibili negli interni delle case, nel mobilio, nei tessuti, nei giochi. Balthus, il bambino mai cresciuto, il bambino che ama le bambine, ha bisogno della seduzione per contrastare e sconfiggere l’angoscia cronica.

Balthus è onesto nel dipingere le sue visioni: non ciò che è, ma ciò che di enigmatico e di desolato la realtà contiene. I suoi nudi sono l’esempio di una raffigurazione astratta di corpi dai contorni semplificati, volumi nello spazio; assenti la carne e la voluttà, assenti l’anatomia e il corpo sensuale. Nudi mai volgari, piuttosto evocativi, vivi per magia, sottratti alla deformazione della realtà.

Con il trasferimento dell’artista nel Castello di Chassy nel 1953 e poi con l’acquisto del Castello di Montecalvello nel viterbese alla fine degli Anni ’60, la relazione con la natura diventa importante e stimola il ritorno ai temi del paesaggio e ai ricordi d’infanzia quando vedeva le montagne e la neve fuori dalla sua finestra. Il legame con il paesaggio avvicina Balthus all’estetica dell’Estremo Oriente per una comunanza di sguardo e per l’essenzialità del segno, com’è possibile documentare nelle opere esposte a Villa Medici.

Tra queste, infatti, vi sono vari disegni su Montecalvello e i dipinti la Japonaise à la table rouge (1967-1976) e la Japonaise au miroir noir (1967-1976) che ebbero come modella l’ultima moglie di Balthus, la giapponese Setsuko. Si può ammirare anche La chambre turque (1965-1966) e, in via del tutto eccezionale, è visitabile anche la stanza di Villa Medici che fece da sfondo al dipinto.

Segna una svolta tecnica nella sua pittura la sperimentazione del case arti, una polvere a base di caseina usata come legante dei colori, al fine di ritrovare nelle pitture l’opacità dell’affresco, un ulteriore richiamo ai pittori del ‘400. Una materia sempre più spessa rese i dipinti meno definiti, il segno rimase incompiuto, più incerto, le atmosfere sempre più irreali e solenni.
Certamente i lavori di restauro di Villa Medici e la ricerca cromatica originaria attraverso la stratificazione del colore influenzarono anche il suo stile.

Questa retrospettiva oltre ad riavvicinare il grande pubblico al pittore, ha inteso anche rompere il silenzio imbarazzato e le accuse di pedofilia, in seguito al ritrovamento nello studio di Balthus, dopo la sua morte, di centinaia di Polaroid scattate a modelle adolescenti seminude e in pose lascive. In realtà, per sopraggiunti problemi di vista, la fotografia era divenuto il mezzo prioritario per gli studi preparatori dei suoi quadri.

L’esibizione sarà presentata a Vienna a partire da febbraio prossimo incentrata sui legami tra Balthus e la cultura mitteleuropea.

Catalogo Electa.

Balthus, La Chambre (1952).

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