La danza degli istinti

Tragicomico May B dei bisogni essenziali

È tornato a Roma al Teatro Argentina lo storico spettacolo di Maguy Marin May B, un classico del teatro-danza con oltre settecento rappresentazioni in quasi trent’anni di vita. Fu presentato per la prima volta in Italia nei giardini di Villa Medici nel 1986 in occasione della prima edizione del Romaeuropa Festival e scon­vol­se i co­di­ci ac­qui­si­ti del­la dan­za con­tem­po­ra­nea im­po­nen­do­si con una pro­gres­si­va dis­so­lu­zio­ne for­ma­le.

ROMA — Quando nel 1981 Maguy Marin contattò Samuel Beckett, suo autore di culto, amato, letto e riletto, per chiedergli il  placet per la realizzazione di una nuova coreografia ispirata alla sua opera, fu sorpresa ed emozionata dalla disponibilità dello scrittore a incontrarla e appoggiarla nel progetto, anche se poi lui non ebbe la possibilità di vederlo in scena.

Allora Maguy Marin era una giovane danzatrice del Balletto del XX Secolo diretto da Maurice Bejart e stava cercando il suo stile espressivo diverso da quello della Compagnia in cui lavorava. Attratta dal teatro fisico di forte impatto visivo, sconvolse i codici acquisiti della danza contemporanea imponendosi con una progressiva dissoluzione formale. Nacque la Compagnie Maguy Marin incline alla mescolanza delle estetiche orientali e occidentali e alla conciliazione tra teatro e danza, in un periodo in cui la danza rivendicava la sua indipendenza artistica dal teatro e dalla musica.

Frutto dell’incontro con Beckett fu lo spettacolo  May B. Un omaggio tragi-comico all’autore irlandese e al suo teatro dell’assurdo intriso di nichilismo. La coreografia di  May B scrupolosa e divertente è incentrata sull’istinto primordiale dell’essere umano di soddisfare i suoi bisogni essenziali per sopravvivere: fare gruppo, mangiare, fare sesso, confliggere e riconciliarsi.

Solo poche parole di Beckett: alcuni frammenti di  Finale di partita recitati in apertura e in chiusura di spettacolo. In  May B la comunicazione verbale è negata; al suo posto i danzatori emettono suoni gutturali, sospiri, risate, lamenti. I corpi imbiancati e i volti trasformati in maschere drammatiche, esasperate con protesi di gesso e occhi dipinti di nero, manifestano la miseria e la follia della condizione umana senza via di scampo. Larve umane che si muovono in scena secondo uno schema e un ritmo che si ripropone ossessivamente.

Lo stesso senso del tragico di Beckett si moltiplica nel lavoro della Marin e si estende a dieci danzatori superando la dualità della pièce beckettiane. Si affacciano in una scena i personaggi di Lucky e Pozzo, Hamm e Clov, altri echeggiano con umorismo e cinismo come un coro danzando l’impossibilità di stare insieme ma, in un vortice di dipendenza reciproca, impossibilitati a separarsi. Imprigionati nel loro essere, destinati alla solitudine, senza possibilità di capire e comunicare, incapaci di vivere, ci esortano a guardarli (e a guardarci) con lungimiranza, compassione e rispetto. Le note di Franz Schubert e Gavin Bryars rompono i silenzi, riempiono il buio e sollevano il pubblico dall’inquietudine prodotta dagli sguardi fissi e smarriti dei danzatori che non concedono un sorriso neppure davanti all’applauso caloroso del pubblico. Non c’è proprio niente da ridere! sembrano ribadire.

Presente nel repertorio della Compagnie Maguy Marin da trentacinque anni è stato messo in scena più di settecento volte in numerose tournée mondiali. Emblema di comunione tra passato e presente e testimonianza della continuità artistica tra le generazioni dei danzatori che subentrano ai precedenti ogni volta che lo spettacolo viene riproposto,  May B non solo ha lanciato un genere, ma ha dato corpo ad un linguaggio ancora oggi fresco e di grande godibilità che fanno entrare di diritto  May B tra i classici del teatro-danza.

Una scena di May B di Maguy Marin (foto di Agathe Poupeney…

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