Il viaggio misterioso
dei neuroni specchio

Ai confini della nostra mente

Il nostro esperto Enzo Bordin, profondo conoscitore dei meccanismi del pensiero, ci guida con mano sicura nei primi passi verso una nuova e affascinante esplorazione. Si tratta di andare incontro a un nuovo orizzonte della realtà per arrivare a capire come l’universo risulti assai diverso di quanto crediamo. La lezione delle menti sapienziali più illuminate dell’umanità. Tutto questo grazie alla scoperta dei neuroni specchio, la novità più significativa nel campo della neuroscienza sociale.

La scoperta più significativa nel campo della neuroscienza sociale riguarda la capacità del cervello di stabilire connessioni con un altro cervello tramite i neuroni specchio. Ne consegue che le relazioni interpersonali plasmano non solo l’esperienza (personalità formata da costituzione più ambiente, per dirla col padre della psicoanalisi Sigmund Freud), ma anche le funzioni cerebrali.

A questo punto la domanda saliente, destinata a influenzare la ricerca per tutto il resto del nostro secolo, assume corrispondenze biunivoche: attraverso quali meccanismi il nostro cervello guida il comportamento sociale e, viceversa, in quale misura il contesto sociale influenza cervello e biologia dell’individuo?.

Ancora: quali e quanti tipi di manipolazioni e condizionamenti sociali, sia individuali che di massa, una tale scoperta finirà per produrre? Il primo a intuire i meccanismi sincronici che regolano l’energia psichica dell’uomo al di fuori e al di là di un nesso di causa-effetto, con tutte le misteriose coincidenze significative ad essa correlate, fu il grande psicologo analitico svizzero-tedesco Carl Gustav Jung (1875-1961).

È proprio così. Ogni produzione psichica non rappresenta una forza spiegabile con i soliti nessi logici, bensì attraverso un processo formativo istantaneo basato su stereotipi simbolici di pregnanza universale che albergano in ognuno di noi.

Decifrare le emozioni

I neuroni specchio assumerebbero in tale contesto una funzione riflessa: attraverso il ricordo immediato di taluni comportamenti comuni alla nostra natura di specie, sanno decifrare sensazioni ed emozioni dei nostri simili, in quanto appartenenti ad una psicologia dell’inconscio collettivo che implica un unico disegno cosmico, l’Uno.

I sapienziali antichi s’erano posti il problema dell’ultimo perché delle cose arrivando a riconoscere, come fa Dante nella Divina Commedia, l’esistenza di un quid che sfugge a ogni processo razionale in quanto appartenente a un disegno creativo di origine spirituale.

Plotino, uno dei più importanti filosofi dell’antichità, il cui pensiero neoplatonico ha ispirato per secoli teologi, mistici e metafisici, pagani, cristiani, ebrei mussulmani e gnostici, così scrive: «Quanti credono che il mondo manifesto, il mondo dell’essere, risulti governato dalla fortuna o dal caso, e che dipenda da cause materiali, appaiono ben lontani dal divino e dalla nozione dell’Uno» (Enneadi, VI. 9).

In Occidente il fenomeno della sincronicità, al contrario dell’Oriente, venne studiato in profondità solo in tempi più recenti. Soprattutto da Jung e dal fisico quantistico austriaco nonché premio Nobel Wolfgang Pauli. Attraverso uno studio congiunto, inquadrarono l’aspetto sincronico in un quadro psicofico, dove realtà materiale ed energia psichica formano un unicum. Di qui il progetto di una vera e propria scienza capace di coniugare la realtà di tutti i giorni col mondo dello spirito.

In termini psicanalitici ciò significava passare dall’assunto freudiano dell’inconscio individuale all’idea di un inconscio collettivo con relativi archetipi ad esso collegati.

Circostanze improbabili

Sull’inquietante fenomeno delle coincidenze significative, Jung rileva che ogni tanto ci troviamo a constatare «convergenze di circostanze così improponibili da lasciare intendere, nel loro svolgersi, un fine o un disegno più profondo».

Di qui l’ipotesi dell’esistenza di leggi naturali diverse da quelle normalmente descritte nelle fisica convenzionale. Inquadrati in tale ottica, gli accadimenti sincronici non hanno il movimento lineare della causa-effetto. Appaiono invece acausali in quanto legati a modelli archetipali più radicati e profondi.

Tra i filosofi che in epoca recente hanno affrontato il problema della sincronicità, spicca la figura di Robert Anton Wilson, convinto che la chiave interpretativa più convincente risulti quella collegata alla fisica quantistica. Due decenni fa scrisse questa interessante riflessione: «Jung era sulla strada giusta quando insisteva nell’affermare che in qualche modo, da qualche parte nella teoria dei quanti, si potrebbe un giorno trovare e definire il reale meccanismo della sincronicità».

Alla fine degli anni Ottanta, tutto lasciava ritenere che stessimo cominciando a capirlo. Ma ora ci siamo fermati. Non sappiamo più quale strada imboccare. Abbiamo le idee confuse, ben lontani dal disvelare l’arcano meccanismo sotteso al concetto junghiano.

Sul possibile perché del nostro attuale smarrimento, lo scrittore, musicista ed astronomo statunitense Ray Grasse ipotizza che abbiamo affrontato tale problema «troppo da vicino, per osservarne i particolari, perdendo così di mira la visione globale». E per analogia cita la nota parabola degli uomini ciechi e dell’elefante.

I ciechi e l’elefante

Eccone la trama: cinque non vedenti s’imbattono in un elefante e ciascuno di loro cerca di determinarne la vera natura partendo dalla limitata prospettiva in cui si trova. Il primo uomo, in grado di afferrare solo la proboscide, afferma che assomiglia a un grosso serpente; per il secondo, che può toccare solo le gambe, si tratta di un albero, e via descrivendo sulla base dei loro rispettivi punti d’osservazione. Solo da una prospettiva più ampia e globale potrebbero scoprire la verità.

Per Grasse stiamo probabilmente «esaminando solo una piccola parte di una più grande realtà». Scoprire il significato della sincronicità potrebbe «richiedere un passo indietro e la visione di questo problema in una luce completamente diversa», forse perfino all’interno del contesto di una nuova cosmologia. «I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il Dna è stato per la biologia», profetizza il neuroscienziato indiano Vilayanur S. Ramachandran.

Siamo in presenza di una classe di neuroni, attivi quando un individuo (o un animale) compie un’azione o allorché osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto. Attraverso la risonanza magnetica si è potuto osservare che i medesimi neuroni attivati dall’esecutore durante l’azione vengono attivati anche dall’osservatore della medesima azione. Analoghe attività neuronali sono state riscontrate in studi di neuroimmagine.

Vengono attivate anche in casi di amputazioni o plegie degli arti nonché in soggetti ipovedenti o ciechi. In certi casi di cecità, basta il rumore dell’acqua versata dalla brocca in un bicchiere per mettere in moto tale meccanismo neurale sincronico tra chi beve e chi versa la bibita. Ramachandran si sofferma sull’importanza potenziale dei neuroni specchio nello studio dell’imitazione e del linguaggio.

Dalla scimmia all’uomo

Nonostante non esistano dubbi sulla presenza di tali neuroni nella scimmia, la grande diffusione di questa scoperta anche in ambito scientifico ha finito per produrre una marea di dotte disquisizioni, con polemiche a non finire, su interpretazioni in materia non suffragate da evidenze sperimentali.

In ogni caso, il sistema dei neuroni specchio nella scimmia e nell’uomo evidenziati attraverso tecniche di neuroimmagine ma anche elettrofisiologiche (EEG) va tenuto distinto da opinioni interpretative sul suo possibile ruolo. Nella scimmia i neuroni specchio vengono localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore e nel lobo parietale inferiore. Diventano attivi non solo quando le scimmie compiono determinate azioni ma anche quando esse vedono compiere da altri la stessa specifica azione riconosciuta.

Con l’utilizzazione della risonanza magnetica funzionale (fMRI), la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e l’elettroencefalografia (EEG), i cercatori hanno dimostrato che nel cervello esiste una sincronia tra azione e osservazione. L’importante scoperta è avvenuta per caso a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, grazie a un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma coordinato dal Giacomo Rozzolatti, impegnato nello studio della corteccia premotoria assieme a Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino.

L’aneddotica accredita questo racconto. Mentre un ricercatore sta prendendo una banana dal cesto di frutta preparato per degli esperimenti, alcuni neuroni della scimmietta che sta osservando la scena reagiscono nonostante non si sia mossa. Ci si chiede come sia possibile un evento così anomalo, quando la scienza ufficiale sostiene che i neuroni si attivano soltanto per funzioni motorie? Di primo acchito gli sperimentatori pensano a un difetto di misurazione, oppure a un guasto nella strumentazione.

Ma ulteriori verifiche comprovano l’esistenza dei neuroni specchio. Nel 1995, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo Rizolatti, dimostrano per la prima volta l’esistenza di una sistema simile a quello trovato nella scimmia. E attraverso l’utilizzo della stimolazione magnetica transcranica rilevano che la corteccia dell’uomo viene facilitata dall’osservazione di azioni e movimenti altrui.

Percorsi individuali

Più di recente, ulteriori prove di laboratorio e una serie di test strumentali hanno confermato come nel cervello umano esistano sistemi assai sviluppati, con la precisa identificazione delle regioni che rispondono all’azione-osservazione.

Vittorio Gallese, ricercatore di punta del dipartimento di neuroscienze dell’università di Parma, traccia questo giudizio sui meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività che declinano la natura umana: «La scoperta dei neuroni specchio nella corteccia premotoria e parietale di scimmia, e la successiva scoperta dell’esistenza di un sistema specchio anche nell’uomo, ha permesso per la prima volta di chiarire i meccanismi neurofisiologici alla base di numerosi aspetti della cognizione sociale. Dobbiamo però aggiungere che i risultati di tutti questi studi di brain imaging condotti sull’uomo si riferiscono a profili di attivazioni cerebrali calcolati statisticamente su una media di cervelli appartenenti a persone diverse con storie di vita personali diverse. Stiamo cioè muovendo i primi passi, ancora abbastanza grossolani, in questa affascinante esplorazione».

Conclude tracciando un preciso iter operativo: «La ricerca neuroscientifica nell’immediato futuro dovrà sempre più concentrarsi sugli aspetti in prima persona dell’esperienza umana e cercare di studiare meglio le caratteristiche personali dei singoli soggetti d’esperienza. Ciò che ci rende chi siamo non è solo il possesso di meccanismi nervosi condivisi ma anche un percorso storico individuale fatto di esperienze soggettive uniche e particolari. Questa dimensione storica dell’esserci nel mondo, per usare un’espressione heideggeriana, è finora rimasta in gran parte inesplorata dalla ricerca neuroscientifica».

Una delle sfide più dure e avvincenti sarà quella di «passare dalla medietà normativa delle caratteristiche d’attivazione di un supposto cervello medio appartenente a un altrettanto ipotetico uomo medio, ad un approfondito studio di come le caratteristiche individuali dell’esperienza di vita si traducano in caratteristici e almeno in parte idiosincratici profili d’attivazione corticale, e come gesti e meccanismi siano alla base del peculiare modo di esperire il mondo altrui proprio di ognuno di noi. Dovremo pertanto passare dallo studio della mente umana allo studio delle menti umane. Sono i meccanismi di simulazione a fornirci uno strumento per condividere a livello esperienziale gli stati mentali altrui.

Morale della favola: «l’intersoggetività diviene, a livello ontologico, il fondamento della condizione umana in cui la reciprocità definisce in modo fondativo l’esistenza». La fisica quantistica appare assai esaustiva al riguardo: lo stesso scopritore, Werner Karl Heisemberg, ha precisato che gli stessi atomi non sono soggetti bensì  tendenze, poiché rappresentano tutte le possibilità della coscienza.

Chi influenza la realtà

Ognuno di noi influenza la realtà che vede. Così facendo costruiamo una rete neuronale nel nostro cervello, finendo per accettare che ciò sia possibile. Dobbiamo invece esplorare un nuovo orizzonte della realtà per arrivare a capire come l’universo risulti assai diverso di quanto crediamo sulla base di vecchie e superate teorie.

La rete neuronale a specchio configura pertanto l’immagine icastica di quelle presenze nel cervello umano per poi estendersi all’infinito sotto forma di filamenti di energia. Ma pochi di noi credono a questa realtà. Così ci autocondanniamo a vivere una vita assente.

Non bisogna invece dimenticare quanto detto dalle menti sapienziali più illuminate che hanno attraversato il corso dell’umanità. Il nostro stato di coscienza influenza chi sta attorno e influenza persino le proprietà della materia. Influenza il nostro futuro. Esso dipende in ogni istante da noi. Sono i nostri desideri e le nostre emozioni a creare la nostra realtà. Stando alle più recenti scoperte, un unico meccanismo fisico sincronico sembra agire da fattore unificante: particelle, materia e coscienza si fondono in un’unica realtà olografica rendendo concreti e spiegabili fenomeni quali telepatia, teletrasporto, precognizione, psicocinesi e visione remota.

L’astrofisico Massimo Teodorani mette a nudo l’intero approccio scientifico così come tradizionalmente concepito. Puntualizza che il modello materialistico su cui è nata la scienza «ha recentemente mostrato il suo limite di validità: infatti ai livelli subatomici bisogna fare i conti con leggi strane e inaspettate, e la materia si rivela essere un’energia in vibrazione nella struttura dello spazio-tempo».

Ne deriva una nuova visione dell’universo basata su campi informativi nei cui ambiti la spiegazione della vera natura dell’intelligenza umana potrebbe trovare una naturale collocazione. Per Teodorani, «l’anello di congiunzione potrebbe essere costituito da alcune tecniche psico-fisiologiche ancora poco note, derivate dallo yoga, che sembrano coinvolgere la struttura fisica del sistema nervoso a livello molecolare o atomico e risultano molto utili in campo psicologico e sociologico».

Già nel 1913 il geniale fisico, matematico ed epistemologo francese Henri Poincaré sosteneva, in  Avenir de la science, che le coordinate spaziali intorno al nostro corpo, e quindi il nostro rapporto con gli oggetti e le persone che ci circondano, «coinvolgono le parti fondamentali del nostro sistema nervoso, per cui il coordinamento del nostro  esterno non sarebbe una conquista dell’individuo ma della specie».

Il sistema dei neuroni specchio conferma, in campo evolutivo, un comportamento bio-sociale (ad un livello che precede la comunicazione linguistica) capace di recepire in termini «viscero-motori» le emozioni altrui espresse con moti del volto, gesti e suoni. Questa partecipazione empatica fa sì che parti del cervello umano si attivino istantaneamente caratterizzando ma soprattutto orientando le interrelazioni che sono alla base dell’intero comportamento sociale. 

Un cucciolo di macaco imita le espressioni facciali umane …

Il viaggio misterioso dei neuroni specchio