Il raglio
del Grillo

Invece di parlare, grida. Grida, grida sempre, come un pazzo. E insulta. Offese, parolacce e vaffanculo. Il raglio del Grillo, sempre più acido, sempre più rancoroso, sta diventando insopportabile.

Il suo linguaggio puzza di vecchio, tanto è becero. Quel comico imbolsito, che non fa più ridere da quando si è messo a fare il politico, è il capo assoluto e il padrone autoritario di un finto movimento di sua esclusiva proprietà, che dice di non essere un partito ma si presenta alle elezioni come tutti i partiti, ma diversamente dagli altri partiti non ha vita né statuto né strutture né assemblee né congressi. È una cosa, una cosa che non ha radici, una cosa virtuale nata e cresciuta nella rete, e che vive solo nella rete.

Nessuna dialettica, nessuna parvenza di dibattito, tanto meno di democrazia interna. Il Movimento 5 Stelle, che si è inventato lui, deve fare solo quello che dice lui. È il partitello casereccio di un fastidioso dittatorello. Un ducetto che usa un linguaggio che fa rabbrividire. Perché ricorda tristemente i rutti leghisti e il dito medio di Bossi.

Pensare che questo sarebbe il nuovo. E che alcuni italiani lo votano, come votarono Lega per protesta contro i partiti della prima Repubblica, che erano moribondi dopo Tangentopoli, così come sono moribondi adesso i partiti della seconda Repubblica. Lo votano per disperazione. Perché altro non vedono in giro che li soddisfi. Lo votano perché ha trovato la ricetta che a loro piace tantissimo. Una ricetta semplice e chiara, di sicuro successo: mandare tutti affanculo.

Lo votano anche se dice di non essere di destra né di sinistra. O forse, proprio perché dice di non essere di destra né di sinistra. Un partito così, in realtà, senza democrazia, è un tipico prodotto della destra populista. Qualunquista. Buono per tutte le stagioni. Pronto ad andare di qua (o di là) a seconda di dove soffia il vento. Pronto a diventare affarista, proprio come è successo a Bossi, che mentre annunciava l’assalto a Roma ladrona, allattava Lega ladrona. Almeno Di Pietro e Vendola, ai quali Grillo viene spesso erroneamente accomunato, un versante, quello del centrosinistra, lo hanno scelto.

Ma è soprattutto il linguaggio, il raglio del Grillo, a essere sommamente indigesto. Lo ha descritto molto bene Michele Serra nella sua Amaca su Repubblica: “È un linguaggio carico di disprezzo, maneggia la morte (spesso e volentieri) come l’insulto definitivo, non riconosce mai dignità all’avversario, è ignobile e ripugnante tanto quanto il latrato leghista».

Semplificazioni rozze, parole usate come sputi, quelle di Grillo. Possibile che la nuova politica usi un linguaggio così vecchio? Possibile che nessuno dei grillini, si chiede Serra, osi chiedere al capo di non urlare, e soprattutto di non urlare quelle cose?

Se non lo fanno, un dubbio ti viene. Che anche i grillini siano «un triste calco delle legioni bossiane (è sempre Serra) entusiaste del dito medio e dell’insulto metodico». E pensare che eravamo contenti di esserci liberati, dopo tanti anni, di quei due loschi figuri di Bossi e Berlusconi. Ci mancava anche Grillo, adesso…

Comunque tranquilli, dai. Lui ci metterà molto meno tempo a sparire. Hanno già cominciato i suoi a mandarlo affanculo. Buon segno. ★

Il raglio del Grillo