Il paradigma
del buco

Sembra che abbiamo tre mesi per salvare l’Europa. Ce ne sono un po’ di meno per l’inizio della sessantanovesima mostra internazionale del cinema di Venezia.

Direte voi: le due cose non hanno nulla in comune! Eppure, per noi che andiamo tutti i giorni di sole ad abbronzarci ai Murazzi e passiamo perciò quotidianamente di fronte agli edifici in cui si terrà questa mostra, le due cose paiono collegate. Strettamente.

Perché davanti a queste vuote e desolate costruzioni, il palazzo del Casinò, che con il tempo è diventato anche carino, e il palazzo del cinema, che continua ad essere bruttissimo nella sua superfetazione anteriore degli anni cinquanta, c’è un cantiere fermo e un buco vuoto.

Perché in Europa, da decenni, abbiamo un grosso buco (l’unione o la federazione degli stati) e un cantiere fermo (il parlamento europeo, gli incontri dei rappresentanti dei governi europei). E stati europei che cominciano a somigliare a quegli edifici, sempre più vuoti (di democrazia), qualcuno solenne, qualche altro malmesso, tutti un po’ raffazzonati e soprattutto vorrei ma non posso.

A Venezia tutti aborrono il buco, ma nessuno riesce a riempirlo.

Inutile fare qui la tragica storia del buco, piena di arroganza, presunzione, incapacità, e forse, se provato, arrembaggio alle casse delle stato. Diremo solo che: all’improvviso si scoprì che non si poteva costruire un bel niente, sopra il buco già scavato. Eppure tutte le indagini erano state fatte: le abbiamo viste con i nostri occhi, le enormi lunghissime carote che nerboruti artefici traevano dal sottosuolo del sito, bucherellato in ogni dove con possenti trivelle. Oppure anche no. Come nel caso della crisi europea, in cui molti degli attori internazionali sono al governo della medesima da decenni, in varie e mutate forme la studiano la dirigono la governano la perforano, ma sono sempre lì, eppure la crisi è esplosa all’improvviso.

Comunque: a fine agosto comincia la mostra del cinema. E il buco è sempre lì. Pare, pare. Pare che si siano messi d’accordo (tutte le varie amministrazioni locali coinvolte nel buco) per riempirlo. Solo che (pare, sembra, si dice) che sia un po’ tardi. Cioè: tutti vogliono riempirlo — ci faranno una piazza, cioè un parcheggio temiamo — ma purtroppo infatti ecco ci vuole il suo tempo.

In effetti, fare qualcosa, soprattutto in Italia, soprattutto in Europa, non è mica facile. Prima di tutto bisogna farla bene; e poi bisogna essere capaci di farla. Finora, prove alla mano, non sembra che siamo in grado di fare qualcosa di fatto bene in breve tempo. Il che non sarebbe una cosa grave: basta non avere l’arroganza di presumere di essere in grado di fare presto e bene.

Ma il buco materiale davanti al palazzo della mostra del cinema di Venezia è più che una metafora, potrebbe diventare un paradigma, un modello di funzionamento.

Perché, invece di riempire il buco, cosa hanno fatto? Hanno iniziato a sventrare l’avancorpo del palazzo del cinema. Ovvero c’è un altro buco enorme che attraversa tutto l’ingresso del palazzo da parte a parte, se passate per di là ci vedete dentro. È stimolante. Cioè: invece di finire un lavoro, ne iniziano un altro. E grosso anche. E all’ultimo momento, anche. Ce n’era bisogno, adesso. Non si poteva fare prima? Non si poteva fare dopo? Riusciranno a finire anche questo?

Riusciremo in tre mesi a tenere in vita l’Europa, a ridare la spinta ideale, morale, economica, sociale che questo momento richiede. Riusciremo in tre mesi a riempire un buco. A trasformarlo in un piazza con giardino, alberi e fontane. Senza punto di domanda sembra anche possibile. ★

Il paradigma del buco