Il papà
della sconfitta

Cicalata sulla vittoria di Felice Casson alle primarie di Venezia

Oltre che essere vuote e pericolose, le frasi fatte sono anche un chiaro sintomo di senilità e rimbecillimento. Dato che per necessità non temiamo ormai né l’una né l’altro, né tampoco la vacuità e i pericoli, ecco che perfetta torna in mente: «la vittoria ha cento padri, la sconfitta è orfana». E invece no! La sconfitta alle primarie del candidato sindaco Nicola Pellicani ha un solo padre: Massimo Cacciari, il filosofo pluri-sindaco da sempre acerrimo nemico di Felice Casson.

Ci erano venuti i brividi lungo la schiena, nelle settimane scorse. Ma avevamo preferito sorvolare. Primo brivido: presentazione pubblica della candidatura di Nicola Pellicani alle primarie democratiche per il sindaco di Venezia, in evidente funzione contro Felice Casson. Seguendo quanto riportò Alberto Vitucci sulle colonne della Nuova (noi non c’eravamo, peccato) la platea era piena di tutti coloro che sono stati gli amministratori, gli assessori, i consiglieri, i delegati, degli ultimi trent’anni di inutile e pernicioso governo della città.

Per carità: a parte alcune rare perle di birbanteria matricolata, sono tutte degne persone, alcune anche simpatiche; ma non per questo esenti dalla responsabilità politica, umana, sociale e culturale di aver mal governato (o non governato) la città per decenni, portandola al disordine, al malaffare, alla corruzione, al degrado in cui si trova da anni, e ogni anno peggiore del precedente.

Più ancora che l’investitura primigenia di Massimo Cacciari, più ancora dell’investitura romana della segreteria del partito, più ancora dell’investitura piombata dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, era questa immagine della platea ufficiale, con tutti i rappresentanti dei governi cittadini e dei centri di amministrazione e di potere locali (più, lo ripetiamo, qualche birbante) a far rabbrividire.

Spieghiamoci: se in trent’anni le persone che hanno sempre governato la città (e alcune sono delle brave persone) non sono riuscite a risolvere i problemi (anzi ne hanno creato di nuovi e sempre più grossi: dalla devastazione dell’Hotel Des Bains alle manette all’ultimo sindaco) sembra difficile che possano riuscire a combinare qualcosa di buono solo perché sostengono un candidato che non ha mai fatto politica (ma in qualche modo è comunque parte del sistema di potere cittadino).

Questo è stato il primo brivido.

Il secondo è stato ancora peggio.

Più che un brivido lungo la schiena, un pugno nello stomaco. La locandina della Nuova nell’edicola di campo Santa Maria Formosa, pochi giorni prima delle primarie: «Cacciari: Pellicani è la continuità». Santo cielo! Ridda di emozioni e di ricordi. Primo ricordo titanico: il democristianissimo argenteo Arnaldo Forlani: «rinnovamento nella continuità» fu il suo disperato slogan per la moribonda balena bianca, prima di arenarsi nella schiuma di tangentopoli. Prima emozione di profondo ribrezzo: continuità con la corruzione del Mose, continuità con l’inefficienza, con il caos, con l’improvvisazione, con il provincialismo?

Continuità con gli ultimi due sindaci delfini cacciariani? Paolo Costa e Giorgio Orsoni, entrambi grevi di colpe morali pesantissime nei confronti di Venezia: il primo con la pervicace e determinata trasformazione della città in un luna park per idioti da crociera; il secondo per averci fatto diventare un città da corrompere come qualsiasi altra (almeno prima ci corrompevamo da soli, tra di noi). O continuità con gli strampalati mega progetti urbanistici per allocchi, con la finanza d’assalto, con l’incapacità di programmare persino gli orari dei vaporetti?

Forse se Massimo Cacciari non l’avesse soffocato con quest’ultima affermazione, magari Pellicani poteva sperare in un risultato migliore, ma così la sconfitta è stata definitiva e inappellabile. A noi parve scritta ancora prima delle votazioni, su una locandina di un quotidiano locale. Ma non è la prima volta che ci sbagliamo sulle previsioni, per cui come al solito ce la siamo tenuta per noi.

Finiamo con una considerazione nazionale: ancora una volta i comunicatori non hanno capito alcunché di Venezia, mettendo in ridicolo tredicimila cittadini che sono andati a votare, riducendo tutto ad un inesistente scontro tra fazioni all’interno del partito democratico nazionale. Come se i veneziani fossero andati a votare per Renzi o per Civati (o meglio: per Bersani, visto che Cacciari non è renziano). Non sanno, nelle redazioni nazionali, quanto poco possano interessare i veneziani (ma anche tutti gli altri cittadini d’Italia) gli schieramenti interni dei partiti nazionali quando si tratta di scegliere il proprio candidato sindaco.

Felice Casson (che tra l’altro, diciamolo per ridere, ha origini chioggiotte) ha vinto le primarie perché gli elettori democratici di Venezia credono più a lui che agli altri due, nonostante tutte le loro qualità. Perché, per dirne una, sanno che è stato un giudice tenace e indomito. E soprattutto perché sono sicuri che il blocco politico rappresentato da Massimo Cacciari ha ridottissime possibilità di movimento, in caso di elezione a sindaco di Felice Casson.

È per questo (e qui finiamo sul serio) che l’appello immediato all’unità rivolto dal vincitore agli sconfitti ha per noi un lieve sentore premonitore: conoscendo il carattere veneziano, e la posta in gioco, come fanno i bimbi viziati il filosofo deluso potrebbe anche rompere il giocattolo, così non ci gioca più nessuno. Arrivederci.

Anno 2005, aprile, sedici: duello Felice Casson / Massimo…

Il papà della sconfitta