Il folle martirio di Ipazia
torturata e bruciata viva

La scienziata morì per mano di un gruppo di fanatici religiosi

A mille e seicento anni di distanza dalla sua orribile morte, spicca ancora nitida la figura di una scienziata sinonimo di libertà di pensiero e profondità di intelletto: Ipazia di Alessandria d’Egitto, matematica, filosofa e astronoma di altissimo rango, nata tra il 355 e il 360 dopo Cristo. Figlia del noto filosofo Teone, fin da giovanissima alimentò la sua fulgida mente arricchendola dell’enorme sapere enciclopedico custodito nella favolosa Biblioteca Reale di Alessandria. Siamo andati sul posto a cercarne le tracce.

ALESSANDRIA (Egitto) — Il destino di Ipazia, Hypatia in latino, appariva segnato, avendo osato sfidare il mondo maschile nelle certezze scientifiche ritenute fino allora di sua esclusiva competenza. Era inoltre una figlia d’arte, poiché è proprio nelle opere di Teone che compare il celebre calcolo delle radici quadrate.

Oltre a Ipazia, Teone aveva anche un altro figlio dedito alla scienza, Epifanio. Tra i due non c’era storia. La sorella lo sovrastava come intelligenza pura e rigore analitico abbinato all’intuito geniale. Qui entriamo in cronaca diretta, cercando di ricostruire il vissuto di questa donna con la testa a 360 gradi, i cui scritti rimasero bruciati nell’incendio che nel 642 d.C. distrusse l’intera biblioteca con i suoi cinquecentotrenta mila rotoli sapienziali.

La Grande Biblioteca

Per capire l’importanza di Ipazia e calarla nel giusto contesto, va tracciata a grandi linee la cronistoria di questa Biblioteca di Alessandria, costruita attorno al 305 a.C., durante il regno dei Tolomei, dinastia greco-egizia che trae origine da uno dei diadochi di Alessandro Magno, Tolomeo II Filadelfo. La sua probabile ideazione viene però attribuita a Tolomeo I Sotere che fa anche edificare l’annesso Tempio delle Muse. La Biblioteca reale viene poi ulteriormente arricchita nell’arco di tempo che corre tra il IV e il I secolo a.C.

Tale fatto troverebbe conferma nella Lettera ad Aristea che attribuisce l’iniziale organizzazione della Biblioteca a Demetrio Falereo, amico di Teofrasto e allievo di Aristotele.
Demetrio viene poi cacciato da Tolomeo II Filadelfo, figlio di Tolomeo I, all’inizio del suo regno. E’ lui a dare il via all’acquisizione di migliaia di opere tramite il cosiddetto fondo delle navi, così articolato: secondo l’editto faraonico, tutti i libri presenti sulle navi in sosta nel porto di Alessandria devono essere lasciati nella Biblioteca Reale in cambio di copie.

Proprio in questo periodo, III secolo a.C., inizia la traduzione in greco dell’Antico Testamento scritto in ebraico , nota come Septuaginta o Bibbia dei Settanta. Il polo culturale annesso al Museo è gestito da un sovrintendente nominato direttamente dal re. Il primo filologo ad occupare tale carica è Zenodato di Efeso, messo a dirigere una squadra di dotti grammatici e filologi col compito di annotare, affinare e correggere i testi delle varie opere. Di ogni opera vengono redatte altrettante edizioni critiche, poi conservate all’interno della Biblioteca.

All’epoca di Tolomeo III sono all’incirca 490 mila i rotoli conservati nella biblioteca maggiore, mentre quelli custoditi nella biblioteca del Sarapeo ammontano a 42 mila. Il primo direttore della biblioteca è Zemodoto di Efeso, divenuto famoso per l’edizione critica dei poemi di Omero. A lui si deve pure la sistemazione in ordine alfabetico del patrimonio librario. La prima catalogazione delle opere viene invece attribuita a Callimaco di Cirene, invitato da Tolomeo I ad unirsi al circolo degli intellettuali della corte alessandrina. La direzione passa poi ad Apollonio Rodio.

Il furor di Ipazia

Nella prima metà del II a.C., con Aristofane di Bisanzio ed Aristarco di Samatracia, lessicografia e filologia alessandrina raggiungono l’apice della loro fortuna. Nella seconda metà del III secolo a.C. il timone culturale della Biblioteca Reale viene assegnato al grande geografo Eratostene. Con lui è tutto un fiorire di trattati di ambito scientifico. Quando Ipazia inizia a frequentare la Biblioteca Reale può contare su un patrimonio libresco impressionante. E lei ci dà dentro a tutto spiano divorando migliaia di rotoli sapienziali. Ben presto la troviamo a presiedere la Scuola di Alessandria.

Nonostante l’assenza di suoi scritti, probabilmente dati alle fiamme, i filosofi del tempo la decantano come una delle menti più fulgide e avanzate, soprattutto quando arriva a formulare l’ipotesi sul movimento della terra, cercando di superare la teoria tolemaica che vede la terra al centro dell’universo. Ipazia viene anche ricordata come l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, strumento usato per misurare il diverso peso specifico dei liquidi.

Prima Filostorgio e poi Suda informano di alcune sue interessanti scoperte come astronoma a proposito del moto degli astri. In filosofia, Ipazia si sente vicina ai dettami della scuola neoplatonica, peraltro da lei interpretati in modo originale ed eclettico. Le sue brillanti ricerche avvengono sulla scia delle scoperte di Apollonio. Lavora pure sulle tesi di Diofanto e Tolomeo, mentre suo fratello Epifanio si dedica prevalentemente all’astronomia.

Ipazia possiede però una marcia in più. Imbattibile in matematica, eccelle pure come filosofa. Socrate Scolastico parla di lei definendola la terza caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino. Damazio entra addirittura nelle mente di questa scienziata spiegando come è riuscita a passare dalla semplice erudizione alla sapienza filosofica. Per non parlare di Pallada che, in un mirabile epigramma, tesse forse l’elogio più sentito e profondo di Ipazia: Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole, vedendo la casa astrale della Vergine, infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato dalla sapiente cultura.

Le sue memorabili lezioni vengono seguite da centinaia di allievi, affascinati non solo dalla sua intelligenza, ma anche dalla sua bellezza. Doti intellettuali abbinate a doti fisiche rimarchevoli: i sostenitori del nuovo ordine morale non gliela perdonano. Questa donna libera, decisa a non convertirsi al cristianesimo, deve morire. Ad armare le mani di un gruppo di fanatici, sobillati dagli scherani del patriarca di Alessandria, è il ripudio della cultura e della scienza in nome della crescente religione cristiana.

Il femminicidio dei monaci cristiani

Ipazia viene trucidata nel marzo del 415. Un gruppo di monaci cristiani prende d’assalto il carro su cui viaggia, la gettano a terra, le strappano gli abiti di dosso e poi la trascinano in un santuario. Il resto è martirio. Prima di bruciarla viva, la torturano con gusci d’ostrica affilati come lame di coltello, facendo del suo corpo macelleria. Il caso di questa mirabile scienziata costituisce uno dei più raccapriccianti femminicidi di matrice cristiana della storia. Un femminicidio, come rileva Gemma Beretta nel libro su Ipazia D’Alessandria pubblicato da Autori Riuniti/UniversitY Press, maturato nell’ambito della lotta di potere non solo tra pagani e cristiani ma anche del prevalere spirituale su quello temporale, inteso come scontro senza mediazioni tra potere ecclesiastico locale e potere civile cittadino.

Il ricordo di Ipazia viene rispolverato ai tempi dell’Illuminismo e riproposto come simbolo della libertà di pensiero e dell’indipendenza femminile, ma anche come martire del fondamentalismo dogmatico e settario. Attualmente il suo nome è legato al Centro Internazionale Donne Scienza, creato nel 2004 dall’Unesco a Torino per sostenere studio, ricerca e formazione delle donne scienziate del Mediterraneo.

Gli incendi della Biblioteca

Ipazia a parte, una seconda stimmate indelebile ancora impresa nei nostri cuori è quella legata alla misteriosa distruzione della Biblioteca Reale d’Egitto che, per grandezza e qualità delle sue preziose raccolte, riassumeva l’intero scibile della cultura antica. Gli storici non appaiono concordi nello stabilire quando questo ciclopico tempio del sapere venne raso al suolo da un incendio doloso. Fonti storiche antiche e moderne danno quattro possibili soluzioni, prendendo in considerazione anche l’eventualità di tre precedenti incendi parziali e uno totale, l’ultimo in ordine di tempo.

Il primo assalto a fuoco della Biblioteca Reale risale al 48 a.C, quando Giulio Cesare, durante la sua spedizione in Egitto, distrusse parte del patrimonio librario nel tentativo di domare alcuni disordini scoppiati nel porto di Alessandria, messo a ferro e a fuoco dalle milizie romane. Le fiamme arrivarono fino alla parte della biblioteca più vicina al mare provocando danni rimarchevoli. Ben 16 scrittori antichi fanno riferimento a tale episodio. Ma alcuni, compreso lo stesso Giulio Cesare nella Guerra Alessandrina, non danno alcuna notizia sull’incendio del Museo della Biblioteca o di libri. Si tratta di Cicerone, Strabone, Livio, Lucano, Floro, Svetonio, Appiano e Ateneo.

Sei sapienziali forniscono invece notizie precise sull’incendio. Seneca (49) parla di 40 mila libri divorati dalle fiamme, Plutarco (117) sostiene che il fuoco ha distrutto la grande Biblioteca, Aulo Gello (123-169) dà invece notizia di 700 mila volumi distrutti, mentre Cassio Dione Cocceiano (155-235) scrive che vennero incendiati i depositi contenenti granaglie e un gran numero di libri. Anche Ammiano Marcellino (390) riferisce che finirono in cenere 700 mila volumi (septigenta voluminium milia). Paolo Orosio, per contro, conferma il dato di Seneca: 40 mila libri incendiati.

Di tutte le fonti scritte in nostro possesso, solo Plutarco in Vite parallele parla della distruzione della Biblioteca Reale facendo esplicito riferimento a Giulio Cesare. Ipotesi plausibile: solo i libri depositati in un magazzino vicino al porto vennero accidentalmente distrutti dal fuoco. Ma vi sono altri riscontri. Si dà per certo che Strabone, durante il suo soggiorno in Egitto dal 25 al 20 a.C. lavorò proprio nelle Biblioteca Reale e che un ampliamento degli edifici fu realizzato da Claudio dal 41 al 54 d.C. Continuità storica comprovata anche da un’iscrizione databile al I secolo d.C. dedicata a Tiberio Claudio Balbillo che avrebbe ricoperto un incarico “supra Museum et ab Alexandrina biblioteca”.
Morale della favola: non vi è alcuna prova certa della distruzione cesariana.

Rimanono così in piedi altre tre ipotesi: alcuni storici collocano la fine della Biblioteca Reale al tempo del conflitto che, verso il 270 d. C., vide l’imperatore Aureliano opporsi alla regina Zenobia dei Palmira. Durate i cruenti scontri ingaggiati ad Alessandria, venne raso al suolo il Bruchion, quartiere cittadino dove aveva sede la reggia e, al suo interno, la biblioteca. Esiste peraltro un’altra alternativa, basata su fonti che accertano la sopravvivenza del Museo fino al IV secolo. Ciò fa ribadire ad altri studiosi che la distruzione della Biblioteca Reale e del Museo va ricondotta ad una data prossimo al 400 d.C, collegata a quella del Serapeo, una biblioteca alessandrina minore, distrutto in seguito all’editto dell’imperatore Teodosio I del 391, ostile a quella da lui definita saggezza pagana.

Per altri storici ancora, tale ipotesi risulterebbe invece originata da una confusione tra le due biblioteche di Alessandria. Conclusione: la Biblioteca Reale sarebbe sopravvissuta anche a questo episodio. La quarta possibilità è legata alla conquista araba in Egitto, quando nel 642 il generale Amr ibn al As distrusse la Biblioteca Reale e i libri in essa contenuti su ordine del Califfo Omar. A fare per primo tale ipotesi è Abd al-Latif (1162-1231). Analoga conclusione viene fatta anche da Al-Qifti (1172-1248) nella Storia degli uomini dotti. Un’analisi più approfondita sull’incendio totale della Biblioteca Reale è rintracciabile nelle Historia Compendiosa Dynastiarum, scritta dall’autore siriano di origine Bar-Hebraieus (1226-1286), alias Abu’l Faraj. L’opera, tradotta in arabo, viene poi integrata da materiale proveniente da fonti arabe.

Nel testo si racconto che un certo Ioammes Grammaticus chiese a Amr cosa farne dei libri della biblioteca reale. Amr non perse tempo: scrisse ad Omar per avere istruzioni. Questa la risposta del califfo: in quei libri ci sono concetti già presenti nel Corano, oppure cose estranee al Corano. Se si tratta di passi già presenti nel Corano, essi appaiono inutili. Se invece non sono presenti, allora risultano dannosi e vanno distrutti. Risultato pratico: decine di migliaia di volumi vennero bruciati per alimentare le caldaie dei bagni dei soldati. Erano così tanti che alimentarono il fuoco per sei mesi.

Il grande ritorno

Adesso la mitica biblioteca d’Alessandria d’Egitto è tornata a risplendere. La sua inaugurazione risale al 16 ottobre 2002. Sorge nello stesso luogo di quella antica completamente distrutta in epoca romana da un incendio doloso. Restano scolpite nella mente le parole usate dal project manager Mohsen Zahran nel commentare lo storico evento: questa biblioteca sarà famosa come quella dell’antico Egitto poiché saprà attrarre studenti da tutto il mondo. Libri e soldi sono arrivati da diversi paesi. Abbiamo già acquistato 400 mila volumi e ricevuto in donazione diversi libri da biblioteche famose. La città spagnola di Cordova ci ha regalato un microfilm di opere di scolari arabi durante il rinascimento andaluso. Attualmente negli scaffali, in gran parte virtuali, di questa prestigiosa biblioteca trovano posto oltre 50 mila audiovisivi tra videocassette e cd-rom.

Siamo andati a visitarla rimanendone incantati. Merita da sola un viaggio in Egitto. Davanti a questo capolavoro stilistico e culturale insieme, ogni commento diventa superfluo. Una volta entrati in questo tempio del sapere, se ne rimane inghiottiti fino perdere il senso del tempo e dello spazio. Quel suo progressivo degradare verso il mar Mediterraneo, quei suoi chiaroscuri cangianti legati alle diverse inclinazioni del sole, quelle sue strutture portanti improntate alla levità architettonica, fanno dimenticare che ci troviamo in presenza di un gigante culturale di 11 piani dislocato sulla bellezza di 80 mila metri quadrati e capace di contenere oltre 2500 posti e un vasto garage.

Oltre all’ingresso principale, l’edifico include un settore destinato ai non vedenti e un altro ai giovanissimi. Sono pure attivi un centro conferenze con 3500 posti a sedere, un museo della scienza, un planetario, la scuola internazionale di studi di formazione (Sis), un museo di calligrafia, un laboratorio di restauro e conversazione nonché una Hal of fame. Disegnata da un pool di architetti norvegesi, la nuova biblioteca alessandrina sfoggia decorazioni con gli alfabeti dell’intero mondo. Per costruirla si sono spesi 190 milioni di dollari, con l’Unesco a fungere da sponsor. La prima fase della costruzione, terminata nel 1996 al costo di 65 milioni di dollari, è venuta alla luce grazie al finanziamento di Iraq, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Il luogo prescelto per la realizzazione dell’opera si trova vicino alle facoltà umanistiche del campus, a Shalby, affacciato al Mar Mediterraneo: una finestra culturale spalancata su un panorama stupendo. Come interessantissima è la stessa Alessandria d’Egitto, fondata da Alessandro il Grande nel 323 a. C., metropoli di 5 milioni di abitanti disposta ad anfiteatro sul mare ma purtroppo fuori dalle tradizionali mete turistiche in Egitto. Qui ci si arriva soltanto attraverso un viaggio della mente e non già coi viaggi di massa. Lo spirito libero di Ipazia dovrebbe pur insegnare qualcosa.★

Charles William Mitchell (1854–1903), Hypatia (1885, olio…

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