I Mostri della Livenza

Bisatti tigrati e oscure fantasie nell’Abisso Verde

La Livenza è un fiume. Femmina, almeno qui la definiamo così. Proprio come i Celti, i Galli o gli antichi Heneti pagani consideravano i loro fiumi. Femmina è l’acqua, ciò che scorre, che porta incessantemente via, che non si ferma mai. Anche la Livenza, come gli altri fiumi, ha una pancia, un ventre oscuro. Torbido in questo caso, per via di un’alga verde e del fango che smuove dal fondo oscuro nel suo scorrere lesto.

La Livenza nasce in tre posti: il Gorgazzo a Polcenigo, Coltura e Santissima, l’antico santuario pagano riconvertito dai cristiani che l’hanno dedicato alla Trinità. Poi si ricompone in un unico flusso, scende a valle, ingoia la Meduna a Tremeacque e a Motta di Livenza s’allarga e diventa fiumana grande. In alto fa da confine tra Veneto e Friuli: poi attraversa le campagne del Veneto orientale, passando con la sua serpentina di anse per Cessalto, San Stino e Torre di Mosto. Finché si sfoga col suo estuario nel mare di Caorle.

Dentro la sua pancia d’acqua sporca e folle c’è di tutto: immondizia, veleno, lacrime, sudore. E bestie.

Bestie strane, molto strane. Talora mostri.

Una di queste bestie è l’anguilla, una serpe commestibile che lasciandola stare tira a campare anche fino a quarant’anni, e che ha una strana vita sessuale: fino a una certa età non si svela, poi alcune restano esili e buttano in maschio mentre le altre s’ingrossano e diventano femmine. Animali anfibi navigatori del mondo sommerso, se è vero che scendono dai fiumi, attraversano i mari fino allo Stretto di Gibilterra, prendono la Corrente del Golfo e attraversano l’Atlantico fino al Mar dei Sargassi, il gorgo in cui l’Oceano raduna le immondizie dell’emisfero acquatico tra Europa e Nord America. Un viaggio lungo sette nove mesi. Lì, a una profondità di cinquecento metri, depositano miliardi di uova, che si schiudono e salgono in superficie come filamenti dorati, diventeranno anguilline (se prima i giapponesi non le cattureranno per marinarle e mangiarsele) e ritorneranno poi, dopo un viaggio di tre quattro anni, nei luoghi da cui partirono le loro madri. Che invece qui moriranno e diventeranno cibo per altri pesci. Già, nel profondo delle acque la Natura non sa cosa sia la pietà: è la legge del mondo sommerso, tutti sono cibo per tutti.

Meglio non tirarla troppo lunga col prologo. L’anguilla è già strana di suo, ma non basta, ha pure il sangue velenoso, e alla lunga chi la maneggia si attira il morbo. «Se fai caso i pescatori di anguille muoiono abbastanza giovani» mi confida Dario Caovilla, pescatore di fiume da decenni, e mi snocciola ad uno ad uno nomi ed età dei colleghi che sono già andati avanti.

E il mostro? Dopo il bisatto tutto giallo pescato anni fa dal Bis, nome d’arte di uno dei pescatori storici di fiume di Torre di Mosto, stavolta la sorpresa l’hanno trovata Dario Caovilla e Enrico Pedronetto. Pescatori professionisti anch’essi, gente vissuta in barca scivolando quotidianamente tra le rive del fiume, hanno estratto da una delle loro trappole calate sul fondo, un bartovello, un esemplare d’anguilla albina tigrata. Rarissimo se non unico a detta degli esperti biologi marini subito accorsi a visionare il fenomeno. Cosa e come abbia determinato il colore della pelle dell’animale acquatico non si sa, né forse si saprà mai. Certo è che per via della sua pelle tigrata l’anguilla si è salvata dalla pentola, o dalla brace che attendeva le sue sorelle nella Fiera del Bisat di Torre di Mosto. Anche se contenta del tutto si suppone non lo sia, isolata in quell’acquario dove è stata messa a far bella mostra di sé ai curiosi affamati di fenomeni e armati di macchine fotografiche.

La Livenza, anche lei, suscita l’attenzione dei biologi e degli studiosi di varia natura: non solo per il pullulare della fauna stanziale autoctona o migratrice, non solo per la flora variegata che cresce più o meno spontanea sugli argini e nella golena. Non solo per l’Abisso verde del Gorgazzo, cunicolo oscuro insondabile, trappola mortale per sommozzatori speleologi. La Livenza è una piaga d’acqua che scava la terra, sia fertile o avvelenata dagli scarichi industriali. È una piaga sempre aperta, incurabile e dolorosa. Inghiotte anime, pensieri, follie, passioni. Inghiotte persone disperate, che in certi giorni di luna nuova e tempo instabile decidono per motivi che non si sapranno mai di porre fine alla loro esistenza ritornando nell’amniotico ventre della grande Madre Acqua.

La Livenza, per chi li sa vedere, contiene anche mostri. Della mente e del corpo, veri e inventati. Da quelli veri ci si può salvare: stanno lì, in bella mostra, li puoi fotografare, additare, rinchiudere, come l’anguilla tigrata.

Quelli inventati invece ti passano vicino ma non te ne accorgi. Puoi ignorarli, ma non sempre è possibile. Allora magari decidi di rinchiuderli dentro una storia maniacale ricamata sul filo del possibile, in un libro, tentando di esorcizzarli seguendo il suggerimento biblico dell’Apocalisse: quod vides scribe in libro. Mostri che hai dentro di te, ereditati da un remotissimo passato pagano, che ti mordono le viscere da anni. Mostri che non esistono, che non si possono distruggere. Proprio come le malattie: se esistono le puoi curare, ma se non esistono devi rassegnarti a conviverci.

Uno di questi mostri (e qui si svela l’arcano, poiché mi sto facendo pubblicità) ho tentato di rinchiuderlo, letterariamente parlando, proprio in un libro. Anzi, visto che era troppo lungo, in tre. Il primo, Bissa bògoea, uscito sei anni fa. Il secondo, Abisso verde, appena stampato e ancora profumato d’inchiostro. Per il terzo c’è tempo.

La Livenza intanto scorre nel suo consueto moto naturale, l’acqua torbida del suo ventre viaggia nervosa verso il mare, incessantemente. Anche in questa notte chiara di luna piena velata di nubi a strisce, gigantesche dita di strega che graffiano il cielo scuro.

Mentre da qualche parte un’anguilla, che non sa di essere un fenomeno da baraccone, tenta in tutti i modo di trovare, sul vetro di un acquario, un pertugio che la riporti alla libertà.

Dario Caovilla con l’anguilla tigrata (foto di Beppe Ave).,…

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