I castelli in aria

Nuovo libro elettronico
de I Antichi Editori

Con la pubblicazione di un nuovo libro elettronico stravagante inutile e delizioso: «I castelli in aria» I Antichi Editori presentano un autore ingiustamente dimenticato: Antonio Piazza, autodidatta, romanziere, commediografo e giornalista che si guadagnò da vivere scrivendo nella Venezia di fine settecento; assistette al crollo della Repubblica e fu due volte imprigionato per reati d’opinione. Prima ai Piombi per ordine del Consiglio dei Dieci, poi nelle isole della laguna per imperio degli austriaci.

VENEZIA – È un’antologia di brevi racconti con caustico intento morale, scritta «nel declinare del secolo illuminato», precisamente nel 1773: sette piccoli ritratti di uomini e donne, tra i quali alcuni sono rimasti riconoscibili, ma che in genere rimangono icastici esempi della scelleratezza umana senza tempo.

I costruttori di castelli in aria sono degli immaginifici architetti del colpo di svolta risolutivo. Essi sognano d’un tratto l’idea vincente che garantisca loro, ad un prezzo irrisorio e soprattutto senza nessuna fatica, un futuro di lusso e successo. Colpiti da un’intuizione ritenuta geniale e mai prima di loro da nessuno inventata, intentata o meglio scoperta, intraprendono senza timore alcuno l’impresa ideata e caparbiamente insistono fino a raggiungere la disfatta totale.

Tra i personaggi ritratti molti quali hanno un indubbio sapore realistico, sono riconoscibili ad esempio: Elisabetta Caminer Turra (1751 – 1796) traduttrice, scrittrice ed editrice. Figura esemplare di donna veneziana intelligente e intraprendente, per nulla intimorita nel muoversi in un mondo tutto maschile, e maschilista, di letterati editori tipografi impresari e commediografi, fu figlia d’arte, suo padre Domenico Caminer (1731 – 1796) fu uno dei padri del giornalismo veneziano. Elisabetta fondò, diresse e stampò, curandone assiduamente la promozione, la vendita e la distribuzione, il Giornale Enciclopedico, periodico illuminista distribuito in tutta Europa. Ella è oggetto di una satira pungente, ma forse con spunti tratti dalla realtà. E il velenoso poligrafo Cristoforo Venier, per cui l’autore nutriva un’annosa acredine.

L’autore

Non privo di talento, né di perseveranza, né di ampia visione, Antonio Piazza intraprese ventenne ed autodidatta la dura china dello scrivere in un periodo (il Settecento) e in una città (Venezia) in cui i geni già duellavano all’ultimo sangue per i favori e i soldi di un pubblico esperto. Patriota e democratico, conobbe la prigione per reati d’opinione sia sotto la Repubblica veneziana, che sotto il dominio austriaco. Raggiunse alcuni importanti successi, il maggiore come giornalista, ma scarsa attenzione dalla critica, ancor purtroppo durevole.

Direttore della  Gazzetta urbana veneta

Fu direttore della  Gazzetta urbana veneta, un periodico sul modello dell’Osservatore Veneto di Gasparo Gozzi, destinato però al pubblico dello stato veneziano e non solo della città, sull’esempio dei grandi giornali cittadini di Londra e Parigi. Ottene un fortunato equilibrio fra notizie e svago, informazioni e inserzioni, con consigli di lettura sulle novità editoriali. La Gazzetta Urbana Veneta usciva due volte la settimana, il mercoledì e il sabato, conteneva prima le notizie politiche, la maggior parte tratte da corrispondenze private, poi le notizie cittadine, avvisi, cose sacre, teatri, di commercio, varietà, lettere al compilatore, racconti. In testa del giornale stavano segnate le indicazioni meteorologiche. Era in piccolo formato e in otto pagine, e si pubblicava «nella calletta vicina al campo di S. Polo, presso la calle di Ca’ Bernardo, porta sola, con campanello». L’ammirevole intento del direttore Antonio Piazza era raggiungere, attraverso numero di lettori il più vasto possibile, «la condizione felice del suo compilatore a cui incessantemente indirizzasi una quantità di articoli scintillanti d’estro e di genio, o di dottrina ripieni, che a lui costano la sola fatica di porgerli al torchio. Così quel poco che a fare gli resta, ad onta della ristrettezza del tempo, esser limato dalla sua riflessione, e ricevere quella venustà che brilla in tutti i pezzi dell’erudita sua penna»1. Fino al 30 giugno del 1798, la Gazzetta garantì ad Antonio Piazza un notevole successo, un buon ritorno economico e qualche problema, anche grave, con la censura: una reclusione ai Piombi da metà novembre alla vigilia di Natale del 1792 per aver fatto risentire con un articolo il conte Giacomo Spineda di Treviso. E poi ancora guai, alla caduta della Repubblica, dopo il passaggio all’occupazione austriaca, per le idee democratiche e filofrancesi del direttore.

Romanziere popolare

Antonio Piazza aveva iniziato la sua poligrafica carriera a vent’anni, nel 1762, come romanziere di consumo. Pubblicava a volte anche più opere in uno stesso anno, con particolare inclinazione per i titoli ad effetto e un discreto successo di vendite:  L’omicida irreprensibile (1762-63),  L’italiano fortunato (1764),  L’innocente perseguitata (1764),  L’amante disgraziato (1765),  La Turca in cimento (1765),  La moglie senza marito (1766),  L’incognito (1767),  Il merlotto spennacchiato (1767),  La storia del Conte d’Arpes (1768),  L’amico tradito (1769) e  L’Ebrea, Istoria galante scritta da lei medesima (1769) che fu un successo di pubblico. In questa prima fase prese a modello l’antipaticissimo Pietro Chiari, l’ex gesuita drammaturgo, scrittore e giornalista (direttore anche della gozzaniana  Gazzetta Veneta dal 1760-1761) per anni acerrimo nemico di Carlo Goldoni. Uno stile narrativo con testi ampi, pseudoautobiografici, avventurosi e d’amore.

All’inizio degli anni settanta abbandonò il modo Chiari (confessò di aver scelto «un cieco per guida») per testi più agili, romanzi brevi a volte in serie. Come i collegati  I zingani (1769) e  Il romito (1770). Iniziò ad ambientare i suoi racconti nel mondo dello spettacolo:  La Virtuosa (1770); e la trilogia de  L’impresario in rovina Ovvero gl’intempestivi amori di Patagiro, Storiella piacevole (1770),  Giulietta (1771) e  La pazza per amore (1771) dedicata alla vita di un’orfana educata al canto in uno degli istituti assistenziali veneziani e del suo protettore greco Patagiro, probabilmente ispirata a vicende reali. Più lacrimevoli  I deliri dell’anime amanti (1771) e  Le stravaganze del caso (1772).

Nel 1773, dopo la pubblicazione de  L’amor tra l’armi, la storia di due innamorati nella Corsica occupata dai francesi (e prima dai genovesi) avversati dagli indipendentisti guidati da Pasquale Paoli (1725 – 1807) e de  I castelli in aria, Antonio Piazza incontrò a Genova l’attore e impresario Onofrio Paganini (1700 – 1776, attore medioce ma abile impresario), che lo convinse a scrivere per lui.

Iniziò così una fase di scrittura per il teatro che lo portò a comporre commedie e drammi per musica e a seguire per alcuni anni le compagnie fra Genova, Bologna, Mantova, Milano e Firenze. In questo periodo scrisse a Firenze il pamphlet  Discorso all’orecchio di monsieur Louis Goudar. Il libello, la cui stampa è indicata falsamente a Londra, 1776 (in realtà Venezia, 1777; attribuito spesso a Casanova) è un’aspra requisitoria contro Pierre Ange Goudar (e la moglie Sara), noto come Ange Goudar (1708 – 1791) avventuriero e letterato francese, agente segreto, giornalista e truffatore, amico rivale di Giacomo Casanova, reo secondo l’autore di aver parlato male non solo del teatro e del ballo italiani, ma soprattutto della Repubblica di Venezia, senza ragioni né criterio. («Che quando in zoventù zirava el mondo […] dopo aver messa la vita a rischio nel  Discorso all’orecchio di Goudar» (Il mondo comico, 1820).

L’esperienza diretta del mondo teatrale vissuta da Antonio Piazza fu letterariamente versata nel romanzo  Il teatro ovvero fatti di una veneziana che lo fanno conoscere (I-II, 1777-78) in cui con successo di vendite raccontò un quadro impietoso delle scene teatrali dell’epoca e che verrà futuramente pubblicato in versione elettronica da I Antichi Editori.

Antonio Piazza, I castelli in aria (1773; 2016 I Antichi…

I castelli in aria