Giocoliere di emozioni
i segreti di un clown

Gli incontri con l’artista allo Strafestival di Milano

L’italiano David Larible, considerato uno dei più grandi clown del mondo, attualmente star del Cirque d’Hiver di Parigi, racconta i segreti della sua arte in una confessione a cuore aperto in pubblico. Dagli inizi della sua carriera agli studi di molte discipline artistiche, fino alla costruzione di un artigianato artistico della perfezione della parola e del gesto. Perché un clown non è un attore che recita la parte del clown, ma un fiore selvaggio che regala emozioni e mette in mostra la parte migliore di noi.

MILANO – Gente strana i clown. Lunatici. Inafferrabili. Irriverenti. Sempre fuori dalle regole e dagli schemi. Imprevedibili. Esagerati in tutto, nei loro abiti, nei loro trucchi, nelle loro gag. Spesso malinconici e talvolta anche ubriaconi, secondo una certa falsa e cattiva letteratura che per tanti anni ha imperversato anche al cinema. Il clown, salvo qualche rara eccezione, come in tutti i mestieri, non è affatto malinconico nella vita. Anzi. È l’esatto contrario. Il clown è mediamente allegro, giocherellone, divertente. Anche stupido a volte.

Non fosse così non avrebbe fatto il clown. Fosse di temperamento malinconico avrebbe cercato impiego in un’impresa di pompe funebri. Perché, come sostiene David Larible, uno dei più grandi clown del mondo (secondo molti critici il più grande clown del mondo), che fuori della scena si diverte un mondo a organizzare scherzi e zingarate con gli amici, «il clown non è un attore che recita la parte del clown. Il clown mette in scena sé stesso. Perché il clown è clown. O lo è o non lo è. Il clown nasce clown. Poi impara il mestiere e si perfeziona. Ma clown si nasce. Un attore una sera può recitare la parte del servo e la sera dopo del padrone. Il clown no. Il clown, sera dopo sera, reciterà sempre sé stesso. Sarà sempre clown perché lui è clown, non fa finta di fare il clown. Perché non è mai l’uomo a scegliere il clown, ma è il clown che sceglie l’uomo».

David Larible, cinquantotto anni, italianissimo a dispetto del nome (la sua famiglia ha origini veronesi), premiato al festival di Montecarlo con il clown d’oro, che per un artista di circo è il massimo riconoscimento, come un oscar del cinema, stella per molti anni negli Usa del leggendario circo Ringling Bros and Barnum & Bailey, poi in Europa del Roncalli e del Knie, e attualmente (sino a marzo 2016) protagonista al Cirque d’Hiver di Parigi della famiglia Bouglione, si racconta al pubblico di Strafestival, la rassegna delle arti di strada andata in scena con successo a Milano, pungolato dalle domande di Alessandro Serena, docente di storia del circo al dipartimento dello spettacolo dell’Università Statale.

Le sue risposte sono spesso sorprendenti. Spiazzanti. Come quella sulla differenza – abissale – tra il clown e l’attore. O come quella sul tipo di lavoro del clown: un artigianato artistico, lo definisce, perché «c’è sicuramente dell’arte in quello che faccio, ma siccome vado in scena due volte al giorno, non posso creare un capolavoro due volte al giorno, come se Picasso – si fa per dire – dipingesse due Guernica al giorno, ma posso fare del buon artigianato cercando sempre di migliorarmi, anche nei piccoli particolari». O come quella sulla difficoltà di fare il clown.

«Mio padre, Eugenio, era un acrobata. Quando gli dissi che io volevo fare il clown scosse la testa. E mi disse: “hai scelto il mestiere più difficile”. Io non capivo. Nei giorni successivi me lo domandò ancora alcune volte, probabilmente per vedere se fossi sicuro. E io ogni volta gli rispondevo: “Sì papà, ho deciso, voglio fare il clown”. Finché un giorno disse: “Bene. Hai deciso di fare il clown? Allora da domani andrai a scuola di musica, di canto, di danza, di recitazione e di acrobazia”. “Ma papà – protestai – io non voglio fare il musicista, neanche il cantante, nemmeno il ballerino. E neanche l’attore o l’acrobata”. Lui mi gelò: “te l’avevo detto che il clown è il mestiere più difficile. Il clown deve saper fare tutto: suonare, cantare, ballare, recitare e saltare”. Così fu. Studiai. E ancor oggi devo ringraziarlo. Perché quelle discipline mi aiutarono a diventare quello che sono diventato».

David è uno degli ultimi grandi clown, in una stagione in cui i grandi clown scarseggiano, e non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Sarà perché il circo, almeno in Italia, è in crisi, sarà perché altri generi di spettacolo, dal teatro al cinema alla televisione, sono più popolari e redditizi e attirano artisti che magari un tempo avrebbero potuto benissimo lavorare sotto uno chapiteau. Pensiamo ad attori come Dario Fo, Roberto Benigni, Paolo Rossi, Woody Allen, solo per fare alcuni nomi. Non sono altro che clown. Se il circo fosse stato ancora importante, com’era una volta, sarebbero stati probabilmente anche loro degli splendidi nasi rossi.

Il clown, dice David, è un modo di vedere il mondo. Magari un modo un po’ distorto «dato che il clown non vede mai le cose per come sono ma per come potrebbero essere». Ma il clown è un fiore selvaggio, che spunta nei posti più impensati. È un giocoliere di emozioni. È il bambino che abbiamo dentro. La parte migliore di noi.

David Larible (foto di Andrea Samaritani - Meridiana…

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