Fare le fusa
gatti, uccelli e aerei
dannunziani

Le fusa è l’unica attestazione di un arcaico probabile plurale della parola fuso quell’arnese di legno scomparso dall’uso ma non dalla lingua, assottigliato alle estremità che, fatto girare su sé stesso, serviva per avvolgere il filo. Un tempo attrezzo indispensabile alle fanciulle, assieme alla conocchia, al tombolo (e alla verginità), è oggi riservato solo agli appassionati dell’artigianato arcaico. Fortunatamente.

Di tutti i vocalizzi dei gatti, le fusa hanno più filo da torcere agli studiosi, nel tentativo di scoprire come e perché molti felini, ma non tutti e non solo essi, producano questi gradevoli brontolii; ci sono alcune teorie, non ancora certe, che attribuiscono al richiamo per l’allattamento il motivo, e a un complesso meccanismo che coinvolge corde vocali, muscoli della laringe, e glottide, per la sonorizzazione. Alcuni temerari si sono spinti in un recente passato a sostenere che le fusa avrebbero una funzione ipnotica e tranquillizzante nei confronti della preda, citando addirittura una vittima di un leone che avrebbe avuto tre incredibili fortune una dietro l’altra: sentire le fusa, ricordarsele, e sopravvivere all’assalto della belva.

Durante la filatura, fatto girare su sé stesso come una trottola, il fuso produce un suono simile a quello dei gatti che ronfano. Nell’antico veneziano, come attesta Giuseppe Boerio nel suo Dizionario del 1856, filàr o far fusèti «parlando de’ Gatti, Tornire, sì’intende Quella specie di ronfare, che fanno i gatti — El fato fa fuseti o el fila, Il gatto tornisce». Il ricercatissimo, e estremistico toscanismo tornire usato da Boerio per il nostro abituale far le fusa è variamente attestato ed è naturalmente dovuto alla somiglianza del suono prodotto dal tornio, magari usato proprio per tornire i fusi.

Da fuso (in latino fusum con lo stesso significato, ma d’oscura origine) derivano alcune parole che ne riprendono l’idea di forma affusolata, fino ai fusi orari. La più interessante di tutte è fusoliera l’affusolata forma della struttura d’aereo che contiene equipaggio e passeggeri. Che però non deriva direttamente da fuso. L’insuperabile Gabriele D’Annunzio, poeta pregnante in parola e pregno di parole, l’adoperò dapprima nell’opera Forse che sì forse che no e poi in altre opere. La prese dal veneziano fisolèra «barchetta agile e sottile» usata in laguna e nei fiumi vicini nella caccia al fìsolo: uccello detto oggi comunemente tuffetto, che i veneziani distinguevano in fìsolo de mar e fisolo d’aqua dolce o canariòl o fìsolo de Piave un po’ più piccolo. Il Boerio riporta, tra le altre voci in cui fìsolo veniva figuratamente usato, anche «Belo come un fisolo, Raffusolato o affusolato, cioè Polito […]» e «Far belo come un fisolo» Raffusolare o Affusolare, […] Abbellire». ★

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