Eros e Thanatos
Esempi illustri d’erotismo funerario
Per spiegare le pulsioni, la psicanalisi proposta da Freud fin suoi primi scritti recupera la formula del conflitto psicologico in termini dualistici estrapolando alcuni concetti basilari mutuati dal pensiero filosofico di Empedocle di Agrigento, nato nel 495 a. C., che prospetta un dissidio cosmico tra Amore e Odio, tra Amicizia e Discordia, tra Eros e Thanatos (Amore e Morte). Siamo in presenza di due forze simmetriche e contrarie tra ciò che tiene assieme e ciò che separa.
PARIGI — Nella teoria di Empedocle non ne deriva alcuna connotazione di tipo morale, poiché siamo in presenza di forze naturali, fisiche ed oggettive di dimensione cosmica. Siamo ben lontani dai sinonimi cristiani a sottendere il concetto di bene e male.
Al contrario: le pulsioni di vita e di morte appaiono necessarie perché declinano la dimensione psico-biologica dell’essere umano e fanno parte, come rileva Freud, «dell’agire costruttivo o distruttivo dell’individuo». Baudelaire riassume così tali spinte e contro spinte pulsionali tra sessualità e morte: «io dico: la voluttà unica e suprema dell’amore risiede nella certezza di fare del male […] Ma il male non è trasgressione, è la trasgressione condannata.» La citazione fatta da Baudelaire ce la ricorda George Bataille, scrittore, antropologo e filosofo francese del secolo scorso.
Cimitero erotico
Queste pulsioni sono così trabocchevoli da infrangere addirittura la barriera culturale riferita alla sacralità del cimitero. Basta fare un giro al Père-Lachaise, definito «il più erotico tra i luoghi di passeggio che dominano Parigi», per rendersi conto come la sua fama trasgressiva affondino le loro radici su fatti accaduti e ancora riscontrabili.
Scrive Michelangelo Giampaoli, autore dell’interessante libro Il Cimitero di Jim Morrison (edito nel 2010 da da Eretica Speciale Stampa Alternativa Nuovi Equilibri): «Muse, ninfe, vergini dai tratti delicati sono le affascinanti custodi di molte tombe e cappelle. Rappresentate nell’atto di piangere o addolorate, esprimono il lutto ma anche precisi canoni estetici, sovente secondo i principi del neoclassicismo. Statue come la celebre ragazza a seno nudo che veglia la tomba di Barbadienne, o l’allegoria de la pensée che orna la sepoltura della contessa d’Agoult sono esempi di carica erotica della scultura funeraria. Per non parlare dei lavori dello scultore Jules Dalou per le tombe di Auguste Blanqui e soprattutto di Victor Noir».
Ma ve ne sono tante altre. Nel più grande cimitero monumentale pargino (quaranta quattro ettari e oltre un milione di tombe) riposano diversi personaggi che in varie epoche, ebbero stretti legami con l’eros e la sessualità.
Oltre ai notissimi Jim Morrison e Oscar Wilde, le cui tombe sono le più frequentate assieme a quella dello spiritista Allan Kardec, vanno citati anche i poeti Guillaume Apollinaire ed Edmond Haraucourt, autori del celebre verso «Partire è un po’ morire» ma soprattutto di poemi erotici dal doppio senso come Sonnet Pointu.
Jane Avril: maneggiare con cura
In campo femminile spicca la lapide di Jeanne Beaudon (in arte Jane Avril), una delle più conturbanti ballerine del Moulin Rouge, immortalata da Toulouse-Lautrec in alcune tra i suoi dipinti più ispirati. Estremamente esile ed aggraziata nei movimenti, Jane si esibiva in un can-can fatto di movimenti repentini, scattosi e bruschi. Venne ben presto paragonata alla mèlinite (così i francesi chiamavano l’acido picrico, un esplosivo ottocentesco di poco più potente del tritolo, ma molto più pericoloso*).
Questa fantastica ballerina nasce a Belleville, il 9 giugno 1968, da madre cortigiana e padre sconosciuto, probabilmente un aristocratico straniero. Fin da bambina è sottoposta a ripetuti abusi sessuali. Scappata di casa, viene ricoverata all’ospedale parigino Salpérière per disturbi del movimento d’origine psichica. Viene curata dal dottor Jean Martin Charcot, uno dei massimi esperti d’isteria femminile del tempo, che la sottopone a diversi trattamenti.
La guarigione di Jane Avril avviene quando scopre la danza. Ciò accade durante un ballo sociale per pazienti e dipendenti ospedalieri. Il ritmo diviene per lei terapia liberatoria. Dimessa dall’ospedale, dopo una fallita relazione amorosa, tenta il suicidio ma viene salvata dalla maîtresse di un bordello parigino. E qui inizia la sua carriera di danzatrice notturna in diverse boite, prima di approdare al Molin Rouge e raggiungere la notorietà. Muore nel 1943 a Parigi, all’età di settantacinque anni.
Virginia Elisabetta, la contessa di Castiglione
Ma la figura ancor più rappresentativa è quella della cortigiana italiana Virginia Elisabetta, Elisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini Verasis Asinari contessa di Castiglione (1837-1899), famosa per essere stata l’amante di Napoleone III.
Bellezza intrigante, irrequieta, trasgressiva e seduttrice quel tanto che basta da fare girare la testa ad un esercito di spasimanti, ma nel contempo anche intelligente e colta, Virginia (nativa di La Spezia, figlia del marchese Filippo Oldoini, deputato al Parlamento del Regno di Sardegna) sposa a diciassette anni Francesco Verais Asinari, conte di Castiglione d’Asti e Castiglione Tinella, dal quale ha un figlio, Giorgio, erede del titolo.
Il matrimonio le serve per introdursi alla corte dei Savoia e divenire compagna di piacere non solo del re Vittorio Emanuele II ma anche dei fratelli Doria, del banchiere Rothschild e di Costantino Nigra, ambasciatore del Regno di Sardegna in Francia.
Nel 1855 suo cugino Cavour la invia in missione alla corte francese di Napoleone III per perorare l’alleanza franco-piemontese. Ed ella riesce a fare breccia nel cuore dell’imperatore dei francesi. Ospitata in una lussuosissima dimora a Compiègne, la contessa diviene per un anno la favorita quasi ufficiale di Napoleone III, suscitando l’ira della cattolicissima imperatrice Eugenia ed un ginepraio di invidie, maldicenze e pettegolezzi di corte. La principessa di Metternich arriva al punto da definirla «una statua di carne».
Ed è proprio nella casa di Virginia Oldoini, in rue Montaigne, che l’imperatore subisce un attentato uscendone illeso. Le performance amatorie della contessa danno anche importanti risultati politici: fruttano l’appoggio francese alla partecipazione italiana alla guerra di Crimea.
In seguito la fortuna di Virginia comincia a dare segni di un certo appannamento. Ciò non le impedisce di continuare a passare da un letto all’altro e a definire il marito tradito un «povero becco», pur avendolo nel frattempo rovinato economicamente con i suoi dispendiosi capricci da bellezza impunita. Ma lui rimarrà innamorato della moglie fino alla morte, avvenuta nel 1867 durante i preparativi per le nozze di Amedeo d’Aosta con la principessa Maria Vittoria della Cisterna.
La contessa di Castiglione prosegue la sua carriera di cortigiana divenendo per un certo periodo anche l’amante di Vittorio Emanuele II. Riesce inoltre ad accumulare notevoli ricchezze attraverso i sussidi ottenuti dal re ma anche e soprattutto tramite speculazioni affaristiche grazie alle ripetute imbeccate dei Rothschild durante le guerre d’indipendenza.
Narcisista all’ennesima potenza, non riesce però ad abbandonare il suo ruolo di
«più bella donna del secolo». Gli anni del suo declino li trascorre a Parigi, in un ammezzato di Place Vendòme da lei definito «la mia colonna».
Nel 1893 viene però sfrattata da quel prestigioso appartamento, acquistato assieme all’intero stabile dal gioielliere Boucheron. Va a vivere in una nuova casa, al 14 di Roue Cambon, portando con sé una teca sferica di cristallo contenente la vestaglia verde con cui aveva trascorso memorabili i notti di passione con Napoleone III di Francia.
Pochi giorni prima di passare a miglior vita, la contessa di Castiglione chiede d’essere sepolta con quell’indumento, ma gli eredi non rispettano le sue volontà. Ora la «storica camicia da notte di Compiègne» si trova al Museo Cavouriano di Santena.
Virginia muore il 28 novembre 1899 a Parigi. Tutti i carteggi relativi ai suoi contatti coi numerosi ed importanti personaggi dell’epoca vengono fatti sparire dalla polizia. Anche lei è sepolta al Père Lachaise.
Delphine Palatsi alias Sextoy
Merita pure una visita alla tomba (Divisione 28) di Delphine Palatsi alias Sextoy, nota dj di musica techno e house, dichiaratamente lesbica ed amica del sindaco di Parigi Beltrand Delanoe che, alla sua morte avvenuta nel 2002, a soli trentaquattro anni, si sarebbe interessato per farla riposare per sempre nel settore abitualmente frequentato dai gay.
L’ictus erotico del presidente e il potentissimo legislatore pro gay
Un altro personaggio erotico sepolto nel più grande cimitero della Ville Lumiere è il presidente della Repubblica francese e co-principe di Andorra Félix Faure. Lo storia non lo cita per l’attività politica bensì per la sua repentina morte nella sala blu dell’Eliseo.
Viene colto da ictus a cinquantotto anni, mentre sta fornicando con l’amante Marquerite Steinheil, intenta a praticargli (stando alle voci del tempo) una fellatio.
È il primo pomeriggio del 16 febbraio 1899. Gli avversari politici si lasciano andare a commenti piuttosto salaci sulla fatale fellatio. Georges Clemanceau confeziona nell’occasione un calembour sibillino nei confronti dello sfortunato presidente: «Volle impersonare Cesare, è morto Pompeo…» scrive giocando sul duplice significato della parola pompée. Si tratta di una parola-scambio che può venire intesa come il nome del celebre antagonista di Giulio Cesare, il generale Pompeo, oppure come participio passato del verbo «pompare».
Nel novero dei politici che coniugano eros e thanatos va senz’altro citato Jean-Jacques Regis de Cambaérès, considerato all’epoca il secondo uomo più potente di Francia dopo Napoleone. Tra le sue numerose leggi, quella di maggiore spicco è la legislazione della sodomia, ossia della legalizzazione dell’omosessualità in Francia. Non a caso la sua tomba si trova nella parte del cimitero oggi battuta da gay in cerca d’incontri.
L’afrodisiaco monumento dello sfortunato Victor Noir
Ma la telenovela cimiteriale a sfondo erotico più intrigante riguarda la statua di Victor Noir, capace di provocare pulsioni talmente forti da sfociare in vero e proprio culto paragonabile a quello del vicino Oscar Wilde, la cui pietra tombale è coperta di baci stampati col rossetto dai visitatori.
Victor Noir, pseudonimo di Yvan Salmon (1848-1870) divenne celebre per le circostanze legate alla sua prematura fine, anzi al suo assassinio avvenuto nel 1870. Un feuilleton a metà strada tra realtà e leggenda. Victor, ventidue anni, è redattore del quotidiano La Marseillaise, foglio rivoluzionario antibonapartista diretto dal deputato d’estrema sinistra Henri Rochefort. In precedenza ha lavorato per Le Corsaire.
Negli intricati crespi di questo delitto si snoda la disputa nata a causa di un diverbio tra due giornali corsi: tra La Revanche, diretta dal repubblicano Louis Tommasi, e il bonapartista L’Avenir de la Corsa dove collabora Pierre Bonaparte, cugino di Napoleone III. Non si va troppo sul sottile, una serie d’insulti e minacce porta allo scontro diretto tra opposte fazioni. E poiché Pierre Bonaparte risiede a Parigi, Tommasi si rivolge a Pascal Grousset, corrispondente parigino de La Revanche, sfidando a duello il cugino dell’imperatore.
Qualche giorno dopo, il caporedattore Grousset invia al domicilio di Pierre Bonaparte due padrini, nel ruolo di ambasciatori e testimoni del duello. Uno di questi è Victor Noir, curatore di una semplice rubrica mondana estranea alla politica. Non immagina che quello sarà il suo ultimo giorno di vita. Assunto da poco, non possiede una lira in tasca e deve fronteggiare diversi problemi economici, anche in vista del suo matrimonio previsto per il mese successivo e per questo ritenuto (vox populi) ancora vergine.
Eccitato per essere stato scelto come latore del cartello di sfida al cugino dell’imperatore, indossa i vestiti delle grandi occasioni, come evidenzia la statua funebre scolpita sulla sua tomba in bordure d’Allèe, nella divisione 92. Ma il destino non sta dalla sua parte. Proprio quel giorno è comparso su La Marseillaise un articolo sul principe Bonaparte ritenuto dallo stesso diffamatorio, tanto da costringerlo ad inviare al deputato Rochefort una lettera di sfida.
Morale della favola: quando il 10 gennaio i due padrini fanno il loro ingresso nella dimora di Pierre Bonaparte, al 59 rue d’Auteil, costui cade in un maledetto equivoco: pensa che i giornalisti Victor Noir e Ulrich de Fonvieille siano gli inviati di Rochefort.
Travolto da un’ira furibonda, incardinata su un temperamento violento e collerico, il cugino di Napoleone III estrae la pistola dalla fondina ed uccide a sangue freddo il giovane ed innocente redattore che, colpito al petto, riesce solo ad arrivare in fondo alle scale. Crolla appena messo piede sulla strada, inutilmente soccorso da alcuni passanti.
Su quel fatto non si farà mai piena luce, date le diverse testimonianze offerte in tribunale dai presenti. In ogni caso il principe Bonaparte viene sulle prime arrestato e ristretto alla Conciergerie. Ne segue il processo dalle enormi ripercussioni politiche.
In aula taglienti le parole usate deputato Rochefort: «Un assassinio è stato ieri commesso da un giovane uomo che si trovava al riparo di un mandato sacro: quello di teste e di padrino. L’assassino è un membro della famiglia imperiale. Chiedo al signor ministro della Giustizia se ha intenzione di opporre al giudizio e alla probabile condanna mezzi dilatori sul tipo di quelli applicati nei confronti dei cittadini colpiti da altri dignitari dell’impero».
Per l’imperatore, impegnato da tempo a cercare un accordo con la sinistra, è un colpo micidiale.
Il 12 gennaio 1870 si tengono i funerali di Victor Noir al cospetto di una marea di gente, in gran parte di fede repubblicana.
Il processo al principe Bonaparte si conclude una settimana dopo con la sua assoluzione per legittima difesa, essendo emerso che Urlich de Fonvielle risultava armato. La sentenza viene accolta con giubilo dai bonapartisti e con sdegno dei repubblicani. Le polemiche diventano ancora più infuocate. Pochi mesi dopo l’esperienza della Comune: Victor Noir, sepolto nel cimitero di Neuilly, diviene il simbolo repubblicano della lotta all’oppressione.
Il 25 maggio 1891, con la caduta dell’impero e l’avvento della Terza Repubblica, i resti di Noir vengono spostati con tutti gli onori al Père Lachaise. E sulla sua tomba viene deposta una statua in bronzo riprodotta dallo scultore Jules Dalou sulla base del calco eseguito sul cadavere del giovane redattore dopo la sua morte.
L’artista realizza un gisant a grandezza naturale improntata al realismo. Volendo enfatizzare la straripante forza libidica della vittima, stroncata nel fiore della giovinezza, Dalau ne disegna il vitalismo con icastica crudezza: cappello a terra accanto al cadavere, mani abbandonate ai lati del corpo, bocca semiaperta, cappello e giacca sbottonati ad evidenziare le ferite provocate dalla pallottola assassina e pantaloni aperti. È proprio la protuberanza fuori dal comune sotto la patta a catturare l’attenzione dei visitatori. Si tratta un membro di bonne taille e di virilité évidente, per dirla alla francese. Ma a colpire è soprattutto un altro particolare: a forza di toccarla, quella prominenza è divenuta nel tempo più luccicante rispetto alle altre parti della statua.
È il risultato smagliante della pratica diffusa che vede le donne strofinare con con la mano l’abbondante rigonfiamento sotto la cintura di quella a rappresentazione scultorea di grande realismo anatomico. Più in generale, si coglie come la figura di Victor Noir simboleggi l’iperbole della virilità recisa nel fiore delle giovinezza e quindi destinata ad assumere nell’immaginario femminile l’abbraccio fatale tra eros e morte. Tenendo presente che l’eros è un qualcosa di più profondo e complesso rispetto al sesso inteso come fisicità.
Non a caso la statua presenta punti di lucentezza, pur se di minore intensità, anche su labbra, punta del naso, piedi e ferita, a riprova del coinvolgimento emotivo che questo personaggio sa ancora suscitare dopo cento quaranta quattro anni dalla sua morte.
Ci sono donne che toccano la statua per ottenere in cambio fertilità o semplicemente fortuna in amore. Altre che l’hanno toccata in passato e che non riuscivano ad avere figli, ora tornano al Père Lachaise per ringraziare Victor Noir d’essere rimaste incinte. Altre ancora si stendono addirittura a cavalcioni sulla statua bronza, strofinandovi le loro parti intime: solo così troveranno l’amore desiderato, come prevede il rituale propiziatorio. Ancora: la credenza impone di deporre dei fiori nel cappello di bronzo accanto alla statua.
Ne esce una storia declinata con accenti tra leggenda e folklore, tra immaginario e superstizione. Ma soprattutto emerge il bisogno della morte per prendere consapevolezza del valore della vita e renderci più forti. ★