Dramma e passione
arriva il tango
del Burligiù
Una storia dimenticata
Nel 1875 un bracciante di soli sedici anni di nome Danilo decide di diventare anch’egli emigrante, seguendo le orme del padre, per sfuggire alla miseria che affligge la sua terra, il Polesine. Prende un piroscafo e sbarca in una Buenos Aires sconosciuta dove deve inventarsi una vita. Lo salverà il suo raro talento musicale ereditato dal padre. Da povero emigrante suonatore di organetto nelle sagre di paese diventerà uno dei più grandi bandoneonisti dell’epoca. E’ una storia vera, che oggi viene raccontata in modo magistrale, in un libro delizioso intitolato «Tango del Burligiù» (Mediagraf Edizioni), dalla penna felice della scrittrice e poetessa Angioletta Masiero.
Ci sono libri che si dimenticano in fretta. Altri, invece, che non si dimenticano più. Dipende dalle storie, da chi le scrive, e soprattutto da come vengono scritte. Cosucce che fanno la differenza. Tango del Burligiù, è di quelli che non si dimenticano. A partire da quel titolo indecifrabile, bizzarro e misterioso, per continuare col sapore di una storia unica e fantastica, avventurosa, drammatica e romantica insieme, e proseguire con lo stile, sobrio ed elegante, immediatamente riconoscibile, dell’autore. Pardon, in questo caso, dell’autrice.
Cominciamo da lei. Si chiama Angioletta Masiero, ed è un nome molto noto tra gli amanti delle belle lettere. E’ una scrittrice e poetessa di Rovigo, terra fertile di celebri letterati (basti pensare a Gian Antonio Cibotto, uno dei fari della letteratura del Novecento), che ha al suo attivo, pur ancora giovane, una quindicina di opere di narrativa, saggistica, poesia in lingua e in vernacolo, e innumerevoli e prestigiosi premi e riconoscimenti letterari (tra cui quello intitolato ad Alda Merini), ultimo dei quali un importante Premio alla Carriera per l’insieme della sua attività poetica assegnatole di recente a Milano. Non solo. Inesauribile nella sua attività di divulgazione e promozione culturale, è anche promotrice e presidente di importanti premi letterari internazionali come quello dedicato a Gian Antonio Cibotto e quello intitolato alla Locanda del Doge.
Tango del Burligiù (Mediagraf Edizioni), è il suo ultimo lavoro. Una storia vera. Dimenticata. Intensa e commovente. Un saggio scritto con il passo e l’epica del romanzo. Figlio di una scrittura sensibile e avvincente, limpida e pulita come l’acqua di un ruscello, dal taglio secco, quasi cinematografico.
E’ la storia di un ragazzo di sedici anni, Danilo, che fa il bracciante, come tutta la sua famiglia, in un piccolo paese del Basso Polesine, e che vede partire suo padre per l’Argentina, in cerca di fortuna per sfuggire alla miseria, proprio come fecero, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quasi trenta milioni di italiani, tra cui il trenta per cento degli abitanti del Polesine. “Dal Veneto provenne circa un terzo dell’emigrazione italiana di quegli anni –racconta la Masiero- a lasciare la terra natale non furono solo singole persone, ma anche intere famiglie che vendevano tutto quanto o si indebitavano per potersi pagare il viaggio. Andavano soprattutto verso l’America del Sud, Argentina e Brasile”.
Dopo la partenza del padre, Danilo si assoggetta, insieme alla madre, Adelina -uno splendido ritratto di donna di altri tempi- ai lavori più umili e faticosi nel tentativo di garantire alla famiglia un’esistenza più dignitosa. La loro è una lotta quotidiana contro la miseria, la pellagra, le angherie del padrone. Per di più, l’amore di Danilo per una ragazza, Lucia, figlia del medico del paese, viene osteggiato dalla famiglia di lei. La lotta è disperata. Impari. Inutile. Senza sbocchi né prospettive. Non resta che andarsene.
Due anni dopo la partenza del padre, da cui non aveva ricevuto più notizie, Danilo decide di seguire le sue orme, e si imbarca in terza classe, insieme alla madre, su un piroscafo che fa rotta verso Buenos Aires. Dopo un viaggio disastroso, in condizioni disumane, Danilo sbarca in una città sconosciuta, dove non conosce nessuno e deve inventarsi la sopravvivenza e la vita. Lo salverà il suo raro talento musicale, che aveva ereditato dal padre, e l’incontro casuale, in un vicolo di Buenos Aires, con il direttore di una scuola di musica che, sentendolo suonare, ne intuisce il talento e lo fa studiare.
Da povero emigrante, suonatore di organetto nelle sagre del suo paese, Danilo diventerà così uno dei più grandi bandoneonisti e compositori di tango dell’epoca. Diventerà ricco e famoso, e si sposerà con Paquita, un’avvenente cantante argentina. Verso la fine della sua vita, scomparsa l’adorata moglie, una mattina, guardando il cielo argentino senza nuvole, limpido come un lago, pensò: “Forse è arrivato il momento di tornare a casa”. Era il 1927 quando Danilo decise di diventare un burligiù. Nel Basso Polesine chiamavano così gli emigranti che tornavano al loro Paese.
E’ una storia di struggente bellezza scritta con mano felice. Pronta per essere raccontata su di un palcoscenico.
LA PAGELLA
Angioletta Masiero, “Tango del Burligiù” (Mediagraf Edizioni). Voto: 8,5