Dopo l’illusione

Il nono capitolo de «L’anno più difficile della mia vita»

Battute finali per il romanzo inedito di Giovanni Camali, «L’anno più difficile della mia vita». Il nono e penultimo capitolo, «Dopo l’illusione», segue all’ottavo «Ma famille», al settimo «Il figlio», al sesto «Il voto», al quinto «Il destino», al quarto «La degustazione», al terzo «Il diario», al secondo «Lacrime vuote» e al primo «Il trench di Chloè». Li potete comodamente rileggere tutti -solo per questa occasione gratuitamente- richiamandoli con il loro titolo dalle pagine del nostro archivio elettronico. Il prossimo mese, in esclusiva per «Il Ridotto», l’ultima sorprendente puntata di questa storia che appassiona un numero sempre crescente di lettori: le intriganti avventure di una giovane psicologa francese in crisi di identità alle soglie dei trent’anni.

Gloria ovviamente era stata sempre vicino a Chloè. Dal parto in poi appena poteva andava a trovarla a Parigi. All’apparenza sembrava anche serena, così come il rapporto con Umberto che, seppur non fosse decollato con una gravidanza come sperava Gloria, almeno sembrava che i due avessero messo delle basi concrete per un futuro più tranquillo. Tra le altre cose, Gloria confessò ad Umberto di aver sperato di aspettare un bambino e lui, di tutta risposta non solo non scappò, come aveva ipotizzato lei, anzi, al contrario si dimostrò molto carino e andarono persino a vivere assieme.

Io però non avevo mai visto di buon occhio Umberto e devo confessare il mio punto di vista nei confronti di quell’uomo. È vero, non lo conoscevo bene, anzi e forse quasi per niente, ma lo sapete che noi donne certe cose le sentiamo a naso. Beh, forse avrei potuto anche risparmiarmela questa battuta, visto il successo delle mie intuizioni con Alberto. Comunque la fisiognomia di quel volto a me non convinceva; non ero una fanatica di questa scienza, però lui non mi aveva mai trasmesso simpatia. Umberto è un bell’uomo, ha dei lineamenti scolpiti con una mandibola ben strutturata, però quelle labbra sottili proprio non mi piacciono, anche se lo rendono più maschio, comunque è il suo atteggiamento spavaldo e da grand’ uomo che me lo ha fatto sempre andare sotto i tacchi. Lui certamente è consapevole di piacere alle donne, ma in che occasioni piace a queste donne? Party, droghe, alcool, ecc…, poi, vogliamo parlarne? Che donne sono?…Cercherò di essere schietta perché non ho più voglia di girarci attorno, Umberto per me è un fallo-cefalo, di quelli da inserire nella categoria usa e getta, se non fosse che molte mie colleghe rimangono incastrate e si innamorano a causa del suo peggior difetto che, non è l’arroganza! Eh sì, perché noi siamo fatte in modo particolare, è sufficiente che gli uomini ci facciano credere che siamo importanti per loro e che dimostrino un po’ di gelosia e crediamo di aver trovato l’uomo della vita.

Umberto era ed è l’apoteosi della gelosia, era ed è un maniaco possessivo, bipolare, cocainomane e potenzialmente pericoloso. Avete presente quelle persone apparentemente normali, ma con un equilibrio talmente precario che trasformano in un nano secondo uno scorcio di vita normale in una scena del crimine? Io me lo immagino proprio così: Capace di sclerare da un momento all’altro senza un motivo valido. L’aveva già fatto più volte con Gloria e ho difficoltà a credere che fossero solo le droghe o l’alcool a tirare fuori il peggio da lui. Avrei però dovuto arrendermi all’evidenza dei fatti se non fosse stato che l’ultima volta che Gloria era venuta a trovarmi a Parigi portava degli occhiali così grandi che le coprivano, o meglio, nascondevano metà faccia. Inutile che vi racconti che da sotto quegli occhiali e dopo una mia semplice domanda, ho incominciato a vedere le lacrime scivolar fuori da sotto la montatura. » Dai -le diss- fammi vedere cos’ha combinato.» «Non voglio -rispose Gloria- e non voglio più vederlo, mi puoi aiutare?» Chloè: » spiegami bene cos’è successo, ma l’hai denunciato?»
Gloria: «non posso denunciarlo, non hai la più pallida idea di chi sia Umberto, se volesse mi troverebbe ovunque.» A quel punto mi irrigidii e d’un tratto ebbi paura per la mia famiglia e per Gloria che, nella follia più totale di quel giorno, dopo aver preso un fracasso di botte per l’ipotesi di un tradimento, era scappata con uno zainetto pieno di euro. Umberto non era un banale spacciatore, faceva da tramite con un’organizzazione russa per il riciclaggio del denaro sporco e seppure un milione di euro fossero una cifra quasi ridicola per loro, sicuramente il mal tolto doveva essere quantomeno restituito, pregando pure nella clemenza di questa gentaglia. Ospitando Gloria ero diventata di colpo carne da macello perché ormai sapevo!

Oddio, io non sapevo nulla dei tramacci che potevano esserci se non le puttanate quotidiane di quel coglione di Umberto e quella scema della mia amica che mi raccontava solo le cazzate. Non c’era tempo da perdere, dovevo assolutamente contattare Umberto e sperare che la voce sull’accaduto non si fosse già sparsa. «Gloria –dissi- devi darmi il numero di Umberto, ci penso io a sistemare ‘sto casino, tu per favore limita ulteriori danni stando ferma e muta. Allora dammi ‘sto dannato numero, sbrigati!». Non sopportavo l’idea che mi avesse messo in questa situazione di merda, e più ci pensavo e più mi saliva la rabbia, perché ero consapevole che da quel momento in poi tutta la mia vita sarebbe stata condizionata da quell’evento. Dovevo pensare in fretta ed in fretta dovevo trovare una via d’uscita, ma più ci pensavo e più mi impanicavo. Sapevo che la banale restituzione del maltolto non ci avrebbe messi al riparo da possibili ripercussioni, ma cosa avrei potuto o dovuto fare? Ancora non ne avevo la più pallida idea! Il tempo era tiranno per cui pur non avendo nessuna idea su come affrontare il problema, non mi rimaneva altra cosa da fare se non quella di chiamare Umberto e così feci. Chloè: «ciao Umberto, come stai?». Umberto: «passami la cretina». Chloè: «dai Umberto, stai tranquillo, non ha speso un centesimo di quei soldi, te li restituisce».

Umberto: “fottiti, siete dei morti viventi». Chloè: “per favore Umberto, ti prego vengo io a riportarteli». Umberto: «passami la cretina». A quel punto non potei fare altrimenti e passai il cellulare a Gloria che tremava come una foglia. Gloria: “te li porto subito ‘sti soldi, scusa». Ma scoppiò a piangere e non riuscì a proferire altre parole. Umberto: «cretina, cosa ti avevo detto? Quante cazzo di volte te l’avevo detto di non immischiarti con le cose mie, ma tu testarda, no! Volevi fare la donna. Dovevi continuare a succhiarlo e basta, muta e zitta, invece no! E adesso?». Dalla conversazione, seppur dai toni volgari, mi sembrava quasi fosse amareggiato quindi speravo in cuor mio che la cosa potesse davvero risolversi, ripresi il cellulare e gli dissi: «Umberto, stai tranquillo, prendo il primo treno e ti riporto lo zainetto.» Umberto: «forse Chloè, non avete capito, ma da questa merda non si esce vivi. Comunque parti e dì alla cretina che di botte ne ha prese anche troppo poche». Chloè: «certo, certo, certo. Ti comunico a che ora arriverò!». Stavo persino e paradossalmente rivalutando la figura d’Umberto, perché pur essendo marcia, dal dialogo appena conclusosi, avevo percepito la sua paura, e forse anche la voglia di sistemare il tutto. Non so se fosse più un desiderio mio, comunque sia, ci contavo e partii per Venezia con un briciolo di ottimismo. All’ultimo momento, considerando la situazione così delicata, pensai di noleggiare un’auto abbandonando l’idea del treno, mi sembrava pericoloso viaggiare con un milione di euro in uno zaino, poi però pensai alla tracciabilità e ritornai nuovamente sui miei passi e alle 16,28 presi il treno. Per tutto il viaggio tenni gli occhi puntati su quel fottuto zainetto, non chiusi occhio ed arrivai l’indomani mattina a Venezia con ancora più confusione in testa di quanta ne avessi alla partenza.

Le gambe avevano già cominciato a tremarmi scendendo il primo gradino del treno e di certo non sarebbe bastata la gelateria Grom come ancora emozionale a darmi coraggio per affrontare quella situazione. Confesso che ogni passo che mi avvicinava a casa di Umberto e Gloria pesava sempre di più. A mente cercavo di trovare le parole giuste da poter dire ad Umberto per riuscire a tranquillizzarlo, ma sapevo della sua instabilità ed immaginavo che l’avrei trovato pieno di cocaina fino a sopra i capelli, poi, spensi il cervello e lasciai che il destino parlasse per me. Ero ormai sotto casa, avevo le chiavi, ma volli prima suonare, una, due, cinque volte, provai anche a telefonargli, ma partì la segreteria telefonica. Poteva sembrare un segno del destino, perché avrei potuto aprire la porta, lasciare lo zaino e ritornarmene da dove ero venuta senza che nessuno se ne accorgesse. Una fortuna inaspettata come un fulmine a ciel sereno. Decisi di farlo, provai ad entrare, ma volevo essere sicura non ci fosse nessuno e riprovai a suonare e bussare più volte, quindi aprii quella dannata porta con le chiavi che Gloria mi aveva lasciato. Non si aprì normalmente, sembrava semi bloccata dall’interno, provai allora a spingere, ma si mosse di pochi centimetri, mi fermai con la voglia di scappare, ma non lo feci e spinsi con tutta la forza che avevo fino a che ottenni un varco sufficiente per farmi passare.

A bloccare la porta c’era il corpo di Umberto riverso in un lago di sangue, era sfigurato in viso da quante ne aveva prese, ma per fortuna respirava ancora. Non so se m’avesse riconosciuto, ma ebbe la forza di dirmi:» vattene con i soldi, io non ho parlato, quindi siete salve». Nessuno in realtà era fuori pericolo, Umberto pur non avendo fatto i nostri nomi, non aveva considerato che dalle conversazioni telefoniche sarebbero potuti risalire a noi in ogni istante. Quindi dovevo chiamare il 118 ed allo stesso tempo trovare una soluzione per i soldi perché se li avessi lasciati là, la polizia li avrebbe sequestrati e la cosa non sarebbe finita bene per nessuno. Mi rivolsi a Umberto: «cerca di ascoltare, lo so che ti senti morire, ma sono sicura che ce la farai, ho già chiamato il 118.» Si irrigidì quando sentì che avevo chiamato la guardia medica, sicuramente sapeva che avrebbe significato galera e tutto ciò che ne sarebbe potuto derivare. Chloè:» Umberto, non c’è alternativa, ma adesso dobbiamo trovare una soluzione per i soldi. Grazie per non aver fatto il nostro nome, ma noi ci siamo sentiti telefonicamente quindi non mancherà molto ed arriveranno anche a noi». Umberto annuì con la testa, «hai ragione» disse con un filo di voce, poi aggiunse: «vai via con i soldi, vai subito a Murano, vai al distributore di benzina e chiedi di Ermanno. Vai! vai! Fidati. Butta il telefono e dimenticatevi di me.»

Feci esattamente come aveva detto perché non avevo alternative, ma quando raggiunsi questo Ermanno e dopo avergli spiegato cos’era successo, non accettai di lasciargli i soldi e lavarmi le mani. Avevo capito che se volevo salvare la mia famiglia, anche a rischio della mia vita, avrei dovuto sistemare io la faccenda. Quindi dissi ad Ermanno: «mettimi in contatto con questi personaggi!» Ermanno: «ma con chi credi di aver a che fare, non essere stupida». Chloè: «ho deciso così e così farò!» Ermanno: “sei una cogliona, ma hai i coglioni! Ok faremo così. Ti farò chiamare da loro e ti accorderai come meglio credi. Tu non mi conosci! Tu non sai chi sono! Tu non sai dove lavoro! E ricorda, tu sei Gloria per loro non Chloè! Ok?!!!!!”. Chloè: «devo prendere un telefono con una nuova scheda, l’altro nuota con i pesci in laguna.» Ermanno: «vai al centro Tim qui dietro, ripassa di qua con il numero e usalo solo per parlare con loro, eventualmente prendi due schede. Aspetta di concludere poi fallo sparire e sparisci anche tu.» Chloè: «Ermanno, la stessa cosa vale per te.Tu non mi hai mai vista! Tu non mi conosci! Tu non sai chi sia! Non siete solo voi dei fottuti criminali, non avete la più pallida idea di cosa può fare una mamma per il proprio figlio! Capito?!”. Ermanno abbozzò un sorrisetto da presa per il culo, ma alla fine mi trattò come un suo pari dandomi un pugno sulla spalla. Nel tardo pomeriggio squillò il telefono; ero pronta, avevo già pensato a tutto, sarebbe stato sufficiente lasciare lo zaino al deposito bagagli e lasciare le chiave in una busta in un qualsiasi bar, ma lui non sembrava essere della stessa idea!

Poslar: «tu sei Gloria, io sai chi sono, ascolta, tu hai roba nostra, tu devi fare quello che dico io». Gloria: «ma io ho messo la zaino in un deposito». Polsar: «a me non interessa del zaino cosa fatto, tu devi ascoltare e basta.» Gloria: «ok». Poslar: «tu adesso va in ospedale e finisci quello che non abbiamo finito noi, poi io contatto te». Gloria: «ma perché? Perchè questa cosa?». Poslar: «tu fai e basta, no domande». Mi sentii con le spalle al muro, tornai il più velocemente possibile da Ermanno e gli raccontai tutto. Esordì con un bel «cazzo e adesso?», non se l’aspettava nemmeno lui! «Chissà cosa c’è sotto ‘sta storia? Troppo contorta», disse. Altro che impasse, non sarei mai e poi mai riuscita a fare quello che mi stavano chiedendo e l’unica cosa che mi passava per la mente era quella di andare alla polizia, raccontare tutto e sperare che loro potessero trovare una soluzione. Ero ormai quasi convinta, avrei fatto così e decisi, prima di procedere, di chiamare casa con la seconda sim. Non riuscii a mascherare la mia emozione, ma non raccontai nulla né ai miei genitori né a Gloria. Quando arrivò al telefono anche Alberto non riuscii più a trattenere le lacrime e scoppiai come un fiume in piena al solo pensiero di Nina, ma Alberto con estrema calma riuscì a cambiare il mio mood. Fu come se tutto d’un tratto mi fossi trovata in un confessionale e Alberto fosse il prete. Gli raccontai per filo e per segno quello che stava succedendo, senza omettere nessun dettaglio. Alberto stranamente ascoltò senza fare nessun commento e mi disse: «avresti dovuto parlarmene Chloè». Non replicai nemmeno, cosa avrei potuto dire? Alberto: «ho sentito a sufficienza. Poslar ti richiamerà, tu farai esattamente quello che ti dice lui senza esitare e senza fare domande. Comunque, stai tranquilla!». Chloè: «ma tu come puoi contattare ‘sto Poslar?», gli chiesi. Alberto: » non fare domande a cui non voglio rispondere, esegui come se fossi un soldato. I soldati, né si fanno domande, né contestano, semplicemente obbediscono!”.

Così feci ed effettivamente dopo nemmeno mezz’ora Poslar mi chiamò e disse: «tu sei persona fortunata! Porta chiave al Bar Nomboli a San Tomà e poi sparisci!». Non mi sembrava vero che tutto si fosse risolto come avevo sperato, ma quando mi ritrovai nuovamente in treno per Parigi avevo un sacco di domande da fare alle quali sapevo non avrei mai trovato una risposta. Forse sarebbe meglio dire: «avrei mai potuto farle quelle domande? E se sì, avrei voluto sapere la verità?

(9 –continua)

Un distributore di benzina sull'isola veneziana di Murano …

Dopo l'illusione