Dialogo armato
tra una donna
e un violoncello

Ballata per Venezia al Kolbe

Combattimento tra una donna e un violoncello, sullo sfondo una città e la sua lunghissima storia tra leggende, luoghi, musica tradizionale e suoni inediti. Al centro culturale Kolbe una performance modernissima e antica: in scena Juliette Fabre (corpo voce e violoncello) e Lorenzo Danesin (composizione e manipolazione audio); le scene e l’allestimento sono di Carlo Risi, la drammaturgia e regia di Giulio Boato.

VENEZIA (l.c.) — Ballata per Venezia è una pièce di teatro musicale per un’attrice violoncellista e un sound designer, della durata di cinquantacinque minuti. Il libretto è una riscrittura originale di fiabe popolari, arrangiate in chiave contemporanea e pluriliguistica. La drammaturgia musicale spazia dal suono analogico al digitale, intervallando ballate tradizionali a composizioni inedite. Lo spazio scenico sembra sommerso, scandito da piccole sculture ricavate da pezzi di legno levigati dal mare.

Creato nella libera piattaforma per artisti contemporanei DoyoudaDa, Ballata per Venezia produzione franco italiana, è un raro esempio di teatro contemporaneo multilingue (oltre che multiculturale e multitemporale, aggiungiamo noi).

Dalla sinossi dello spettacolo

Un omaggio alla tradizione orale e fiabesca, un inchino al suono e alla musica, un grido d’amore per una città che muore. In poco meno di un’ora, una giovane donna racconta Venezia: ripete il suo nome, declinandolo in lingue diverse, per scoprire cosa si nasconde «sotto il peso del tempo | sopra l’acqua e le alghe | tra le pieghe dei palazzi e gli ori delle chiese». Tra la donna e il violoncello – quasi sull’orlo dello scontro fisico – veglia un angelo immateriale: un’anima digitale avvolge il suono, conciliando l’umano e l’inanimato, riportando in vita rime e rumori di un presente musicale che scorre. In gergo tecnico: loop station & sound design. La giovane donna non è sola: dialoga con un violoncello, arco settecentesco d’origini italiane, alter-ego ligneo di forme femminili. Le vocali e le corde si legano come colonne tortili, in cerca di una città sommersa. Le parole e le cose grondano acqua, in questa corsa contro Venezia. Una laguna di versi in prosa sale alta, una fiaba dopo l’altra, dietro le palpebre della donna. Resti e relitti marini punteggiano lo spazio, levigando i contorni dell’ambiente. Poco meno di un’ora, ed è tutto finito.

Spiega Giulio Boato (regia e drammaturgia): «Il testo di Ballata per Venezia è un soliloquio per voce e violoncello articolato in tre capitoli: Il mammalucco, riscrittura di una fiaba popolare della tradizione veneta, La città sott’acqua, racconto originale ispirato alla celebrazione veneziana dello sposalizio del mare, e Il cavaliere dell’amore, ironica fiaba contemporanea che si concentra sulla condizione degli immigrati nelle città italiane. Di pari passo all’evoluzione delle tematiche — dalla semplicità ingenua della prima fiaba alla serietà caustica della seconda, sino all’ambiente noir dell’ultima — anche il registro linguistico narrativo si trasforma, passando dal gergo colloquiale del Mammalucco alle involute costruzioni ipotattiche del Cavaliere. Tra le fiabe, trovano spazio quattro intermezzi: questi piccoli frammenti — che mescolano lingua italiana e francese, ponendo particolare attenzione alla musicalità delle parole — s’interrogano direttamente sul senso che assume oggi una città come Venezia, un patrimonio dell’umanità conteso tra museificazione, turismo e commercio».

Dice Juliette Fabre (attrice e violoncellista): «Venezia è suono, Venezia è musica perché Venezia è viva. Scelgo di toccare il corpo di Venezia: è un dialogo tra lei e me, attraverso le mie dita, attraverso i miei piedi o i miei seni, attraverso le parole e i sogni di Giulio, attraverso l’udito di Lorenzo e l’impastare la materia di Carlo. Venezia prende corpo, si esibisce, oscilla, barcolla, si rialza e poi scappa. Un violoncello e un corpo di donna, legati da corde di anima e materia, dialogano con una macchina sonora alimentata da pensieri e ricordi umani, elettronici e magnetici. Numerosi sono i corpi attratti ogni anno dal magnete Venezia… Come non interrogarsi su questa attrazione che si perpetua attraverso i secoli? Ballata per Venezia prova a rintracciare il dialogo intimo che nasce in ognuno di noi tra i meandri della città. Una città dal corpo d’acqua, e una donna-sirena che, attraverso il racconto di fiabe popolari, vaga tra bellezza e decadenza. La scena è purificata, le vedute della città sono mentali. Ma un dialogo tra parole e suoni veste poco a poco Venezia del suo costume… un costume di carne».

«Dietro all’armatura di ogni persona, in fondo — dice Lorenzo Danesin compositore e sound designer — non si trova che Acqua. Dall’origine biologica del mondo all’era (post)contemporanea delle memorie digitali, gli stessi luoghi arginano quell’elemento inafferrabile che si adatta ad ogni luogo che lo possa contenere. Ma qualche volta accade il contrario: è il Luogo che si plasma attorno all’Acqua. Venezia è luogo di storie, e il vernacolo veneziano, così canterino, è una melodica lingua che pare un canto, e che di storie ne contiene a migliaia. Storie di popoli e nobiltà, storie di scontri e scontri di storie, scanditi dal ritmo incessante delle onde — metafora per eccellenza del pulsare della vita che ci scorre dentro. Ho raccolto i suoni di tutte queste storie, e li ho resi sinfonia, musica concreta, cemento armato a sostegno di una voce. Tra il vero e la metafora, il racconto e la storia, l’acqua e la vita, non resta altro da fare che lasciarsi cullare, come piccolo legno lagunare, da vecchie storie sempre nuove. Armarsi fino ai denti di ricordi, per lasciarsi disarmare da ciò che non si comprende: e una nuova onda ci conduce dolce in questo oscillante nostro navigare in acque sempre più profonde. La lingua è un non-luogo affascinante e liquido».

Così Carlo Risi (scenografo) spiega l’allestimento: «Lavoro paziente, fatica, sudore. Il lavoro è sofferenza e gioia: acqua che esce dal corpo, come fosse tagliato. Grazie alla ferita, al taglio, si riesce a vedere di più – si riesce a vedere. Come con un altro occhio: un occhio solo. …vedere, dopo, significa imparare a scegliere. Qui, tra l’indefinito numero di resti del mare, ho scelto questi dettagli: oggetti lasciati lì, di fronte a un mare immenso, che ti mostrano una soltanto delle loro facce. La scelta è un gesto radicale: è uno slancio d’amore, è volersi accompagnati dall’oggetto-soggetto, volerlo con sé. Là dove nessuno guarda, tra le alghe del lido di Venezia, giace il mio regalo del mare: pezzi di legno restituiti dalle onde, levigati dalle curve delle acque, si offrono al passante. Questi frammenti del caso, raccolti e posati su lamine di ferro arrugginito, smorzato dal passaggio del tempo, parlano al presente. Piccole gocce di vetro cadute ai loro piedi sono riflessi e ricordi della loro vita passata. Stanno immobili, posti su tavole di legno grezzo, rasenti ai muri: ci guardano, muti, e ascoltano, come piccoli numi in difesa della rappresentazione. Sono lì perché sono mare e terra, regalo e sogno. Che sia musica?».

Il multilinguismo teatrale secondo gli autori

Il multilinguismo teatrale, pratica frequente all’estero, è un dato pressoché sconosciuto al pubblico italiano. Per ragioni storiche e culturali, la maggior parte dei cittadini italiani è abituata a confrontarsi unicamente con prodotti tradotti nella loro lingua. Uniche realtà che dedicano spazio alle lingue originali sono i festival e le Biennali, che tuttavia rimangono eventi settoriali, ristretti a una cerchia selezionata di spettatori. La tecnica comunemente usata per ovviare al problema della comprensione del testo in lingua straniera, al cinema come a teatro, è l’utilizzo dei sottotitoli. Nel nostro caso, pro — poniamo una diversa possibilità: i brevi segmenti di testo della Ballata che vedono la compresenza di italiano e francese non necessitano la traduzione reciproca in quanto sono composti a spina di pesce. La particolare architettura del testo, concentrata sulle caratteristiche sonore e musicali del linguaggio, costringe le due lingue a sovrapporsi leggermente, di modo che ogni frase riprenda il messaggio della proposizione precedente (espresso nell’altra lingua), permettendone la comprensione. Poiché la sovrapposizione è parziale, il contenuto può sempre procedere, al fine di evitare allo spettatore bilingue un indesiderato effetto di ridondanza. Il pubblico che conosca una sola delle due lingue perderà una parte minima di informazioni contenutistiche, ma guadagnerà una maggiore sensibilità acustica ai giochi fonici, liberi di manifestarsi al di là del significato.

DoyoudaDa (Venezia|Bordeaux video & performing Arts

DoyoudaDa è una piattaforma per artisti. È un ombrello sotto al quale convergono diverse personalità e professionalità, collegate per un breve momento da un progetto comune. È un generatore di possibilità, un canalizzatore d’interessi differenti che diventa centro d’interesse. DoyoudAda è una soglia, un foyer attraversato da molteplici individualità. Musicisti, artisti, poeti, attori: nessun vincolo li obbliga alla permanenza, nessuna ideologia contiene il loro discorso. È una terra di nessuno, un nucleo mobile dedicato alla produzione di cultura. DoYoudada è un rizoma. È una rete, una sequenza di legami, un territorio ibrido senza confini né centro. DoyoudadA è la linea che passa per due punti, il ponte che collega due nazioni. È una geografia postmoderna, una scommessa politica in nome dell’arte.

Ballata per Venezia | Official Trailer from Giulio Boato on Vimeo.

Juliette Fabre in Ballata per Venezia., Una scena di…

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