Crostacei
d’antan

Gamberi, aragoste e astici dalla cucina dell’Ottocento

Cinque ricette da Venezia a Parigi, fra scrittori, attori, gastronomi: rarità e attualità di antiche soluzioni.

l.c. — Essendo che i vostri amatissimi direttori ambedue non possono più mangiare crostacei, l’uno dacché divenuto allergico a causa di uno stile di vita presumibilmente dissennato, l’altro poiché affetto in entrambi i labirinti da un’imprevedibile fioritura di tossici funghi o muffe o lieviti o licheni, causata ovviamente dagli stessi motivi, ecco una piccola ma deliziosa panoplia di ricette di gamberi, aragoste e astici, tutte ottocentesche.

Cominciamo con l’eclettico Antonio Papadopoli (Zara 1845 — Verona 1899) attore comico e gastronomo, autore di una deliziosa Gastronomia Sperimentale farcita di ventiquattro ricette scritte con bizzarria, divise secondo criteri socio-politici-economici in due sezioni denominate Piatti Aristocratici e Piatti Democratici. Tra gli Aristocratici troviamo gli Scampi alla Cardinale cotti al fuoco avvolti in prosciutto grasso, profumati di Madera e vaniglia.

Passiamo quindi per il puntiglioso Pellegrino Artusi (Forlimpopoli 1820 – Firenze 1911) padre della cucina borghese italiana con due ricette d’arigusta: una semplice aragosta bollita, ma con una sapida aggiunta di salsa ottenuta dalla medesima, e un esempio perfetto del mito del delicato che pervade tutta l’opera dello scrittore: delle cotolette d’arigusta cui bisogna per forza infilare pezzi delle lunghe corna prima di mandare in tavola (leggete la ricetta per scoprire perché).

Concludiamo con il titano della gastronomia francese del XIX secolo: Alexandre Dumas (Villers-Cotterêts 1802 — Dieppe 1870) e due sue indicazioni per la cottura dell’astice tratte dal monumentale Grand dictionnaire de cuisine, affascinante zibaldone culinario ad uso personale appuntato lungo tutta la vita e pubblicato postumo nel 1873. Incantevole la ricetta della salsa ottenuta dal carapace del medesimo animale previamente bollito per accompagnare le carni: un carosello di condimenti esotici; di sicuro effetto l’astice allo spiedo della seconda demoniaca preparazione. ★

Antonio Papadopoli — Gastronomia Sperimentale (1866): Scampi alla cardinale

Fiume, città appartenente all’Ungheria, deve confessare di essere stata prediletta dal creatore perché oltre esser surta in una posizione eccezionale atta ad arricchirla col commercio, il suo mare, ricco dei migliori pesci, che servono a soddisfare la ghiottoneria umana, la rende sempre più invidiabile. Difatti quale altro pesce oserete porre al paragone dello Scampo? Un giorno intesi un forestiero che facendo gli elogi della città di Fiume diceva: «Oh benedetto Fiume, le sue donne, i suoi Scampi!». Io invece secondo il mio gusto esclamerei: «Benedetto Fiume per il suoi Scampi prima, e per le sue donne dopo.» Ritorniamo a bomba.

In generale non si dà allo Scampo quell’importanza che merita, anzi lo si avvilisce perché viene preparato e mangiato democraticamente. Questi profani si permettono di mangiarli o allessi, o in umido, o, meno male, fritti. Io, al contrario v’insegnerò come si gusta nel vero senso della parola lo Scampo, e come lo preparava il cuoco francese di un cardinale. Scegliete gli Scampi i più grossi; levatene dal guscio la coda, lavatele una ad una nel vino di Madera per assodarle, quindi ogni singola coda avvolgete in una fetta di prosciutto grasso, poi infilzatele una ad una in un spiedetto, dividendo ogni coda con una foglia di salvia e fatele girare al fuoco. Siccome poi il calore scioglierebbe il grasso del prosciutto prevenite un tale inconveniente con gettarvi continuamente pane grattugiato e salato e una piccolissima quantità di vaniglia pesta, impedendo in tal modo l’abbrustolirsi dello scampo e avrete un boccone degno di Lucullo. Cito Lucullo perché egli era tanto ghiotto per gli Scampi, che nell’inverno spediva continuamente corrieri per prendere dall’acqua tanta grazia di Dio.

Pellegrino Artusi — La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891): Arigusta

L’aragosta o arigusta è un crostaceo dei più fini e delicati, comune sulle coste del Mediterraneo. È indizio della freschezza e della buona qualità delle ariguste, degli astaci e de’ crostacei in genere, il loro peso in proporzione della grossezza; ma sempre è da preferirsi che siano vivi ancora, o almeno che diano qualche segno di vitalità, nel qual caso si usa ripiegare la coda dell’arigusta alla parte sottostante e legarla avanti di gettarla nell’acqua bollente per cuocerla.

A seconda della sua grossezza fatela bollire dai 30 ai 40 minuti; ma prima aromatizzate l’acqua in cui deve bollire con un mazzetto composto di cipolla, carote, prezzemolo e due foglie d’alloro, aggiungendo a questo due cucchiai di aceto e un pizzico di sale. Lasciate che l’arigusta diacci nel suo brodo e quando la levate, sgrondatela dall’acqua strizzandone la coda e dopo averla asciugata strofinatela con qualche goccia d’olio per renderla lucida.

Mandatela in tavola con una incisione dal capo alla coda per poterne estrarre facilmente la polpa e, se non si volesse mangiare condita semplicemente con olio e agro di limone, accompagnatela con la salsa maionese o con altra salsa piccante; ma potete servirla pur anche con una salsa fatta con lo stesso pesce nel seguente modo:
Levate la polpa della testa e questa tritatela ben fine con un rosso d’uovo assodato e alcune foglie di prezzemolo. Ponete il composto in una salsiera, conditelo con pepe, poco o punto sale e diluitelo con olio fine e l’agro di mezzo limone, o aceto.

Pellegrino Artusi — La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891): Cotolette di arigusta

Prendete un’arigusta del peso di grammi 650 circa, lessatela come è indicato nella ricetta precedente, poi sgusciatela per estrarne tutta la parte interna che triterete all’ingrosso con la lunetta. Fate una balsamella […] e quando la ritirate dal fuoco gettateci dentro l’arigusta, salatela e dopo aver mescolato bene il composto, versatelo in un piatto e lasciatelo, per qualche ora, raffreddar bene.

Quando sarete per formare le cotolette dividete il composto in dieci parti eguali e facendole toccare il pangrattato modellatele fra la palma delle mani alla grossezza un po’ più di mezzo dito; tuffatele nell’uovo frullato, panatele ancora e friggetele nell’olio. Delle lunghe corna dell’arigusta fatene dieci pezzi che infilerete nelle cotolette quando le mandate in tavola onde facciano fede della nobile materia di cui le cotolette sono composte. Possono bastare per cinque persone ed è un piatto molto delicato.

Alexandre Dumas — Le grand dictionnaire de cuisine (postumo 1873): Homard

Le homard est un crustacé fort employé dans la cuisine. La langouste, moins savoureuse que le homard, est moins prisée que lui. On en fait des mayonnaises dans lesquelles on hache sa chair, et qui font d’excellentes sauces blanches pour manger avec le bar et le turbot. Il faut autant que possible, à Paris, n’acheter que des homards vivants; choisissez d’ailleurs le plus lourd que vous pourrez trouver, et mettez-le cuire dans une chaudière ou casserole avec de l’eau salée, un gros morceau de beurre frais, une botte de persil en branches, un piment rouge et deux ou trois tiges de poireau blanc; au bout d’un quart d’heure de cuisson, vous ajouterez un gobelet de vin de Madère ou de Marsala, et laissez refroidir votre poisson dans son court-bouillon; il faut alors dans toute sa longueur trancher les écailles de sa queue, et par avance faire confectionner une sauce dont voici la meilleure formule.

Enlevez en un seul morceau tout l’intérieur du homard qu’on appelle tourteau, détachez-en toutes les chairs blanches avec le bec d’une plume taillée, prenez-en la farce ou la crème de laitance, qui se trouve adhérente à la grande coquille, joignez-y les œufs du poisson s’il est femelle, et mêlez tout ce produit avec de l’huile verte, une pleine cuillerée de bonne moutarde, dix ou douze gouttes de soya de la Chine, plein le creux de la main de fines herbes hachées, deux échalotes écrasées, une assez bonne quantité de mignonnette; et finalement un verre de liqueur d’anisette de Bordeaux, ou simplement de ratafia d’anis; vous battrez le tout avec une fourchette comme on bat une omelette, et, selon la grosseur de votre homard, vous mettrez dans cette sauce deux ou trois citrons.

Alexandre Dumas — Le grand dictionnaire de cuisine (postumo 1873): Homard à la broche

Prenez un gros homard, ou une langouste bien vivante, attachez-les sur un hâtelet solide que vous ficellerez lui-même sur une broche; soumettez le tout d’abord à un feu vif, en commençant par l’arroser avec du vin de Champagne, du beurre fondu, du sel et du poivre; la coquille du poisson deviendra très vite friable, c’est-à-dire que pareille à de la chaux, elle s’écrasera entre les doigts; quand elle se détachera du corps, c’est qu’il sera suffisamment cuit; il faut l’arroser avec le jus de sa lèchefrite, que vous dégraisserez convenablement, et auquel vous ajouterez le jus d’une bigarade, et une pincée de quatre épices. C’est un ragoût particulier en Normandie, qui ne manque jamais de faire son effet en paraissant sur la table.

Astice comune in una stampa francese ottocentesca

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