Come si vincono
le elezioni

Quaderno virtuale di una propagandista democratica

Per vincere le elezioni non basta un dibattito. Contrariamente a quanto cercano di credere e di far credere i dipendenti dell’informazione tradizionale, la democrazia — almeno negli Stati Uniti — non è solo questione di fare bella figura in tivù. Per vincere occorre convincere, e ci vuole anche il sostegno degli elettori: ecco un diario minimo, breve e semplice, ma illuminante, di come è andata che Barack Obama ha rivinto le elezioni presidenziali.

NEW YORK — Spenti i riflettori del McCormick Place di Chicago i problemi che affliggono il paese sono tornati ad essere i protagonisti su giornali, televisioni e reti. Fiumi di inchiostro — virtuali e non — sono stati versati dai quattro angoli del globo per seguire la campagna dei due candidati, i dibattiti, i risultati e la vittoria del Presidente in carica.

Non sono qui per esporre l’ennesimo commento o fare un’analisi, ma semplicemente per raccontare a braccio la mia breve esperienza con la campagna del Presidente.

Sono cittadina italiana naturalizzata americana, nata e cresciuta nel Veneto, da anni vivo negli Stati Uniti e precisamente a New York City. Ho già votato per il Presidente Obama alle elezioni del 2008.

Quest’anno però, a pochi giorni dalle elezioni, ho deciso di partecipare attivamente alla campagna presidenziale. L’idea che l’ex-governatore Mitt Romney potesse diventare il prossimo leader degli Stati Uniti si presentava come una prospettiva terrificante non solo per gli Stati Uniti d’America ma anche per i rapporti tra gli States ed il resto del mondo.

Da tempo ero iscritta al sito www.obamaforamerica.com. La sera del 2 novembre ho aperto la pagina e cliccato alla voce make calls (telefonare). Ho sollevato la cornetta del telefono ed ho iniziato a contattare gli Ohioans, gli abitanti dell’Ohio, uno degli Stati chiave per la vittoria presidenziale.
Le telefonate potevano essere fatte sia da casa che attraverso il sistema di phone banking presso i call center allestiti ovunque per la campagna elettorale: centinaia di telefoni erano stati messi a disposizione dei volontari. Io ho chiamato da casa.

La pagina del sito dedicata alle telefonate ai cittadini dell’Ohio forniva una traccia — un questionario apposito — su come condurre la conversazione, e indicava il nome della persona da chiamare ed il seggio elettorale presso il quale tale persona avrebbe dovuto votare.
Così, armi alla mano, ovvero cornetta del telefono e occhi attenti sullo schermo del computer, ho cominciato. Al termine di ogni chiamata dovevo compilare e inviare una scheda nel sito, in base alle risposte date dalla persona con la quale ero riuscita a parlare. Non tutte le trecento persone (circa) contattate nell’arco delle quattro serate ovviamente avevano risposto alla mia telefonata. Dovevo indicare se tali persone avevano già votato — esiste infatti la possibilità di votare anticipatamente, le modalità sono dettate dai regolamenti dei singoli stati- se non lo avevano fatto dovevo chiedere quale fosse il loro candidato prescelto, se e quando sarebbero andate a votare e se sapevano esattamente dove recarsi. Se erano a favore del Presidente chiedevo, quindi, se fossero interessate a offrire il loro contributo come volontari per la campagna, e in caso di risposta affermativa lo annotavo nella scheda e comunicavo che un volontario della loro zona li avrebbe contattati.

Ho potuto constatare di persona come l’organizzazione della campagna di Obama fosse una fittissima ragnatela, tessuta con la massima cura e strategia. Attraverso il sito i sostenitori potevano donare somme in denaro — a partire da tre dollari — organizzare eventi per la raccolta di fondi e la recluta di sostenitori; partecipare ai blog dei vari gruppi sostenitori divisi per zone; vedere quali eventi fossero in programma; guardare i video della campagna, ed aggiornarsi nel blog sulla campagna (c’erano molti blog con argomenti e obiettivi diversi); guadagnare punti — come nei videogiochi — per ogni telefonata fatta, con una vera e propria classifica del numero di telefonate fatte dai membri del team (nel sito era stata redatta una classifica a livello locale ed una a livello nazionale).

Nel mio quartiere, situato nella parte nord-ovest dell’isola di Manhattan, si trovava un team ed un capo gruppo cui fare riferimento. Ovviamente le comunicazioni avvenivano attraverso la rete: se c’erano dei problemi si aggiornava il blog del team con un messaggio. Mi capitò, per esempio, nel corso di una serie di telefonate agli utenti della cittadina di Lima, nell’Ohio, di comunicare ad una donna l’indirizzo corretto del seggio presso il quale votare. Mi disse che informazioni errate erano state notificate a lei e a dei suoi concittadini. A fine telefonata mi ringraziò con riconoscenza per quanto stessi facendo e concluse: «Thank you for volunteering for the President».

Al termine di detta chiamata inserii un annuncio nel blog del mio team, scrivendo che nella cittadina di Lima molti abitanti avevano ricevuto una comunicazione errata relativa al seggio presso cui votare. Indicai quindi il nome dell’edificio e l’indirizzo corretti.
Immediatamente alcuni volontari del mio team risposero annunciando che avrebbero telefonato agli abitanti di quella zona e contattato volontari di Lima, Ohio, per informarli dell’errore.

Il tono generale delle voci dei vari Leslie, Carlos, Amy, Mohamed, Robert… con cui avevo parlato era piuttosto pacato; a tratti traspariva una tristezza di fondo, una stanchezza per le difficoltà quotidiane: c’era chi si destreggiava fra tre lavori e andava avanti a stento, oppure chi temeva di perdere il lavoro. Un cinquantenne disoccupato mi disse: «Voterò per Obama, ma chi mi aiuta ad uscire da questa situazione?» Qualche madre di famiglia chiudeva la conversazione con una nota positiva: «I’m in!» Soltanto i giovani che sarebbero andati a votare per la prima volta avevano un accento squillante e orgogliosi annunciavano: «I am voting for the President!» (intendendo il Presidente in carica).

Nel corso delle quattro serate mi è capitato di riflettere a tratti sull’esperienza che stavo vivendo: io, italiana, naturalizzata americana, in quel momento, al telefono, rappresentavo il Presidente degli Stati Uniti e davo un piccolo contributo alla sua causa. La sensazione era di vivere un momento di grande espressione democratica, di democrazia diretta in un paese che dava anche a chi non vi era nato la possibilità di partecipare attivamente ad un evento così importante le cui ripercussioni si sarebbero fatte sentire in tutto il pianeta.

Il 6 Novembre alle 23:19, ora locale, in uno dei tanti canali televisivi che seguivo, la mappa degli stati dell’unione mostrava improvvisamente l’Ohio colorarsi di blu: un lieve sorriso di soddisfazione prendeva forma sul mio volto. Barack Obama aveva vinto nello stato dell’Ohio. ★

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