Com’é triste Venezia
tutta ridotta a
immondi negozietti

Il nuovo libro di Maria Luisa Semi

Si intitola «L’età della bellezza» l’ultimo lavoro di Maria Luisa Semi, celebre notaio in Venezia. Sul filo dei ricordi e dell’autobiografia, nella fortunata scia de «Una bambina, la sua guerra», uscito nel 2012 e tradotto anche in Francia, l’autrice traccia con mano felice e leggera, e un pizzico di nostalgia, il ritratto di una generazione e di un mondo che non c’è più. Squarci rivelatori di un modo di vivere ormai dimenticato, nel nome di un dio feroce del turismo peggiore, che ha travolto la città dei Dogi relegandola a un futuro marginale e invivibile. Con poche speranze e molta rabbia.

Non essendomi mai allontanata da Venezia, forse non sento il trauma di chi vi ritorna dopo molto tempo.

Il mio mondo era fra Santa Maria Formosa e la Querini Stampalia da un lato, campo dei Santi Filippo e Giacomo dall’altro. Ho ancora la tessera della Querini -1953- un cartoncino grigio col mio nome scritto a mano da qualcuno..

Si andava a studiare, anche se in fondo avrei potuto studiare in casa; ma con la scusa di fratelli che mi distraevano e col fatto che la Querini era, ed è a due passi da casa, andavo là.
Poi, c’erano gli amici, i compagni, e –chissà- qualche volta un volto nuovo, magari da incontrare e da studiare.

Tutti studenti di liceo o quasi; quelli del Paolo Sarpi, ragioneria, non venivano snobbati, ma verificati, ed era una certa sorpresa constatare che alcuni erano anche più acculturati di noi, piccoli cafoni liceali.

Sulla fondamenta del Remedio, allora c’era un bar-pasticceria, i Titolo, dove, potendoselo permettere, verso le 17 si andava a smangiucchiare una pastina e a chiedere un bicchier d’acqua.

Poi a casa, alle 20 inderogabilmente.

Dall’altra parte c’era una più vivace vita veneziana. C’era tutto. Due macellerie, un salumaio, la tabaccheria, la rivendita di pane, un fioraio e la frequentatissima latteria.

Il latte lo si comperava portando al negozio le bottiglie da litro, in vetro e la lattaia versava il liquido da bidoni di alluminio, almeno credo, che teneva sotto al banco.

Sempre visto il tutto con occhi di oggi, la situazione igienica era da far spavento: gocce di latte che si spargevano sul banco, forse sul pavimento, pulizia del bordo della bottiglia fatta…a mano, col dito della lattaia.

Certo per questo il latte, a casa, veniva bollito. Non ho mai potuto sopportare quel liquido caldo, con sopra le “pannette”, cioè latte il cui grasso era diventato piccoli strati di panna.

Purtroppo c’era l’usanza della merenda pomeridiana, per cui c’era il caffelatte con una fettina di pane e poca marmellata. Ma cercavo di svicolare.

Ho cominciato ad apprezzare il latte quando col tetrapak il latte risultò pastorizzato, non bollito e di frigorifero.

Ora più nulla. Negli anni ’70, mi pare, vi fu l’inaugurazione della prima pizzeria di Venezia, la Conca d’Oro, sembrò la modernità, anche perché tutto il resto era rimasto.

Invece…non più i macellai, non più il salumaio, non più il fiorista…non più nulla.

Tutto ridotto a immondi negozietti di souvenir per turisti, di ristorantini. Rimane, pateticamente l’edicola, dove però si vendono, oltre ai giornali, anche maschere, ombrellini da sole e da pioggia e altre amenità.

(Tratto dal libro “L’età della bellezza” di Maria Luisa Semi, Casa Editrice El Squero, 14 euro).

www.casaeditriceelsquero.it

Turisti a Venezia sul Ponte della Paglia (fonte: Panorama…

Com'é triste Venezia tutta ridotta a immondi negozietti