Per chi suona
la campanella

Cinque a due era e cinque a due è rimasto. No, non stiamo parlando di una partita di calcio. È il risultato delle elezioni regionali di domenica. Cinque regioni d’Italia sono andate al centrosinistra, due al centrodestra. Esattamente come prima del voto. Con l’unica differenza che c’è stata una sorta di scambio: il centrosinistra ha perduto la Liguria, dove tra liti, fuoriusciti e scissioni era riuscito a farsi male da solo, ma in compenso ha guadagnato la Campania.

L’ha vinta, come da pronostici, con il potente ma discusso Vincenzo De Luca, l’ex sindaco Pd di Salerno messo alla gogna, nella lista degli impresentabili, solo due giorni prima del voto da una mossa quantomeno imbarazzante di un altro illustre anziano esponente del Pd, la presidente dell’antimafia Rosy Bindi. Baruffe di famiglia. Per il resto, tutto è rimasto uguale: Toscana, Puglia, Marche, Umbria al centrosinistra, Veneto al centrodestra.

Tutto uguale, sì, ma solo in apparenza. Tutto uguale quanto a numero di regioni. Ma tutto diverso quanto a rapporti di forza. Il segno che qualcosa, oltre a un’astensione sempre crescente, sta cambiando. O è già cambiata nel Paese. E solo rispetto a un anno fa. Il caso più eclatante è quello del Pd, il primo partito del paese, il partito del premier al governo. Alle elezioni europee dell’anno scorso era arrivato all’impensabile tetto del quaranta per cento, adesso è sceso al ventitré per cento. Quasi dimezzato. Rimane comunque il primo partito, seguito dai Cinquestelle al diciotto, dalla Lega al dodici e da Forza Italia al dieci.

Letto così, in realtà, il dato non è corretto. Perché quel ventitré non tiene conto di tutte le liste personali, dei governatori, e delle liste collegate al Pd, che appaiono solo nelle elezioni locali e non in quelle nazionali. Quindi il dato del ventitré va corretto al rialzo. Verso il trenta, grosso modo. E comunque sempre ben lontano dal successo insperato dello scorso anno.

Colpa di Renzi? Del suo governo che sta scontentando tutti? Delle liti furibonde in casa del Pd che lo rendono sempre di più un partito inguardabile e inaffidabile? C’è sicuramente dell’uno e c’è sicuramente dell’altro. Questo il dato su cui il Pd farebbe bene ad aprire da subito una riflessione molto seria. Perché è vero che questo voto non era pro o contro Renzi. Perché è vero che «abbiamo vinto comunque», cinque a due appunto, come dice qualche altezzoso e indisponente esponente democratico. Ma è anche vero, e questo è il dato più intrigante, che questo Pd adesso comincia a non piacere più. La campanella, insomma, è suonata. Ed è la campanella dell’allarme.

Anche perché altre idiozie si sono sentite in giro. Come quella che in alcune regioni il Pd ha sbagliato candidato. Si riferivano al Veneto, dove la povera Alessandra Moretti, che ha fatto una campagna ventre a terra battendo tutti, ma proprio tutti i Comuni del Veneto a sorbirsi domande, richieste, favori, rimbrotti e mugugni, si è fermata a un misero ventidue per cento, surclassata da quell’impomatato buttafuori da discoteca (simpaticissimo peraltro) che si chiama Luca Zaia, un leghista molto più democristiano che leghista. Qui il ragionamento non regge. Perché l’anno scorso il Pd trionfò anche in Veneto, toccando il quaranta per cento proprio con la Moretti, che fece il pieno di preferenze. Allora il problema non sta nel sorriso della bella vicentina. Sta nel manico. Cioè nel Pd.

Per il resto, poche novità. Crescono, come previsto, sul voto di pancia e di protesta, e sul qualunquismo montante a destra come a sinistra, sia la Lega che i Cinquestelle. Ma questi ultimi, nonostante il vento a favore, non riescono comunque a portare a casa neanche un governatore, nemmeno nella devastata regione del suo frastornato leader. Da ultimo, ma non ci viene da piangere, il tramonto, anche questo largamente previsto, del partito di Papi Silvio Berlusconi, che era una corazzata potentissima e adesso è solo una fragile barchetta di carta nella tempesta. Lo rimpiangeremo? No.

Dunque, come detto all’inizio, non cambia niente. Avanti con Renzi. Per ora. Ma anche lui deve cambiare metodi e passo. Senza chiedersi mai per chi suona la campanella. Perché la risposta è terribile. Suona sempre per te.

«Abbiamo vinto comunque»

Per chi suona la campanella