Biuti conte:
so’ bea
anca ‘desso, no?

Ma al beauty contest si paga?

I concorsi di bellezza sono meccanismi molto più complessi di quello che si possa pensare. Anche le aste. Quando diventano beauty contest il senso di smarrimento raggiunge il massimo.

La prima evenienza di un beauty contest in senso moderno (il Giudizio di Paride non fa testo) risale al 1854 quando il genio spettacolare di Phineas Taylor Barnum, grandissimo fondatore di circhi, ne pubblicizzò uno per subito ritirarlo in seguito a feroci proteste del pubblico non avvezzo a tanta scostumatezza. Altri tempi. Gli anglofoni preferiscono dire beauty pageant che è un po’ come dire sfilata, parata di bellezze che suona un po’ meglio di contest termine dalla connotazione burocratica tribunalizia che ancor più dell’italiano concorso (concorso di colpa, concorso di circostanze, concorso a un posto alle poste) ricorda le dispute e le controversie.

Beauty, usato fin al quattordicesimo secolo, discende dall’ inglese medio beaute, bealte, dall’anglofrancese bel, beau cugini di primo grado del nostro bello dal latino bellu(m) carino. Era un diminutivo di bonus usato dapprima usato nel linguaggio delle donne e dei bambini, poi entrato nel linguaggio familiare e quindi diffusosi a soppiantare i più colti formosus e pulcher.

Contest, come detto molto simile a una disputa, deriva come il nostro contestare dal latino contestāri «aprire un processo producendo i testimoni»: è infatti un composto di tĕstis, testimone; parola giuridica e litigiosa anzi che no. Il primo uso testimoniato di contest in lingua inglese è del 1603 e lì giunse dal francese medio contester senza variar di significato.

Nel 1936, senza alcuna vena di ironia (come avrebbe potuto, altrimenti) il grande economista inglese John Maynard Keynes nella sua importantissima opera Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta oltre a gettare le fondamenta del pensiero macroeconomico, fra le varie cose scritte prese in prestito l’allocuzione per indicare un particolare approccio per la vendita in pubblico di qualcosa. Il beauty contest, almeno secondo Keynes, è una via di mezzo tra l’asta pubblica, in cui partecipa chiunque e vince chi paga di più non importa chi, e la licitazione privata, in cui si invitano i concorrenti sulla base di requisiti decisi in anticipo. Nel beauty contest partecipano tutti, ma vince chi offre di più epperò risponde anche a certi requisiti. Il fatto che si debba comunque pagare sembra fuori discussione, almeno detta così.

Biuti conte: so' bea anca 'desso, no?