Barba ci cova 9

Vuolsi così scrivere sintetizzando annotazioni barbiphile per barbifan e barbilogomani barbilogi

Ogni qualvolta si svolge un sondaggio sui gusti barbisti o barbeschi delle donne, deducendo che la presenza dell’arredo pilifero sulle gote è preferito alle guancette imberbi o irsute, la normale evoluzione della cultura follicolare spiega che la vituperata peluria torna a dettare le regole dell’attrazione nelle interrelazioni sessual/sentimentali: purché risulti osmotica al volto di chi la porta. Particolarmente la barbetta lasciata crescere appena appena, che fa supporre una (finta) dimenticanza ipoteticamente dovuta alla svogliatezza sensuale, conseguenza di notti trascorse copulando (si presume) selvaggiamente. Tanto che, periodicamente, i trendsetter del fascino maschile sentenziano che l’uomo deve avere la barba, considerandola dettaglio fondamentale nel gioco della seduzione in Occidente. La stessa barba che a Mogadiscio è un’indicazione morale e a Kandahar roba da codice penale: portata da attori piacioni e intellettuali alla Roberto Saviano.

Nel Dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert, si leggono alcune ovvietà e amenità come queste: la barba indica vigore, la barba corta e incolta simboleggia maturità non aggressiva agli occhi delle donne, la barba quando è troppo folta fa cadere i capelli, la barba lunga è utile per salvaguardare la cravatta. In altre pubblicazioni si legge che la barba, in alcune circostanze, può esercitare lo stesso stimolo di incontrollata, violenta e aggressiva reazione che i drappi rossi esercitano sui tori, nello spirito di chi l’approccia maldisposto da pregiudizi.

Gli uomini di tutti i tempi e di tutte le etnie l’hanno coltivata come segno di virilità nei sultanati, di saggezza nelle Indie e nei territori asiatici, di autorità e anzianità in ogni dove: sovraccaricandola di valori simbolici ed emotivi e favorendo la sua trasmutazione in feticcio e oggetto di adorazione (talvolta). I missionari cattolici evangelizzatori l’hanno coltivata prima di partire per la missione per incutere rispetto a cominciare dal primo incontro, suggestionando e sollecitando riverenza nei miscredenti selvaggi da convertire e civilizzare.

Il periodo aureo della barbicultura, non soltanto italiano, ma europeo, però, è stato senza dubbio il periodo del romanticismo, durante il quale lo spirito risorgimentale ha provocato tutte le rivoluzioni di pensiero e azione, che con i loro principi hanno fecondato il mondo dell’arte, della scienza e dell’azione politica, facendogli partorire la realtà in cui viviamo artefici e vittime di un’automazione che modella e modifica giorno per giorno la nostra personalità.

Durante il periodo romantico è stata coltivata come arredo pilifero facciale perché dotasse il volto d’una fisionomia più ricca di significato, accentuando ogni sua espressione: arredo disdegnato dagli uomini del ettecento cittadini degli Stati soggetti alla civiltà inglese e francese.

Nell’Italia risorgimentale la barba è stata ostentata come arredo facciale logotipante italianità e come irrisione della barba a collare austriacante. Molti barbicultori italiani, perciò, sono stati arrestati, processati e incarcerati.

Ha cominciato a scomparire nel principio del Novecento. Nei salotti francesi le donne dell’epoca hanno discusso i vantaggi e gl’inconvenienti della sua presenza sul volto degli uomini. Una di esse, più spregiudicata delle altre, ha coniato un detto divenuto popolare: «La bouche sans mustache est comme un oeuf à la coque sans sel». Considerandola (lo è) un carattere sessuale secondario molto importante e particolarmente significativo.

Attualmente la barba non gode molte simpatie e i barbicultori sono oggetto e soggetto di commenti ironici e motti di spirito non sempre educati. I più anziani la coltivano per affezione e per abitudine. I più giovani la coltivano anche per dispetto ai motti di spirito e come manifestazione di protesta sociale o intellettuale. I giovanissimi la coltivano per autoconnotarsi meno giovani e accreditarsi portatori di maturità, sia caratteriale sia virile. I portatori di calvizie disagiante la coltivano come onor del mento compensatorio del cranio pelato. Altri, variamente anagrafati, la coltivano per dissimulare (e mascherare) gote cicciose con pappagorgia debordante: anche quando risulta simile a rada erbetta di un terreno arido.

Alle mie domande nessuno dei miei interlocutori ha risposto giustificando disinvoltamente la propria barba con risposte argute. Un certo non-so-che diffidente li ha determinati nell’assunzione di uno sciocco atteggiamento di superiorità ad ogni critica o insinuazione, disagiandoli nel ruolo di miei interlocutori portatori di incertezze e inadeguatezze.

Parafrasando Gillo Dorfles (ancora vivente e scrivente, nato nel 1910), che condivide sicuramente l’opinione di chi è convinto che la barba sia sgradevole perché altera i connotati naturali artificializzandoli, mi è facile scrivere per affermare, perciò e a questo punto, che il volto è un sistema di segni che contraddistingue ogni individuo, connotandolo per quanto riguarda la sua caratterialità, il suo status socio-intellettuale, i suoi rapporti con gli estetismi altrui.

Dando per scontato il convincimento che non tutti si ritrovano la faccia che vorrebbero avere, e che i più numerosi sono costretti a tenersi per tutta la vita un volto disapprovato: o perché decisamente malformato, o perché lontano dal modello ideale.

Scrivendo alla fine di questo capitolo, conseguentemente, che la barba è coltivata come miglioramento estetico e indica volontà di mascheramento di sé stessi: tanto che in alcuni casi si rivela indispensabile alla costruzione della personalità di un determinato individuo, soprattutto quando si palesa inequivocabilmente come espediente per dissimulare le imperfezioni che la natura gli ha imposto. ★

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Barba ci cova 9