Barba
ci cova (IV)

Vuolsi così scrivere dell’arredo pilifero facciale ecclesiale e di quello diversamente religioso ultraortodosso.

Escluso Adamo, da nessuno artista iconizzato barbuto, l’establishment ecclesiale di ogni tempo ha avuto per componenti storici barbicultori esemplari, tutti protagonisti prima, durante e dopo Cristo, variamente raffigurati e monumentalizzati da artisti insigni: Noè, Mosè, Giobbe, i Profeti più noti, Gesù (iconizzato sbarbato fino al V secolo) col suo padre putativo San Giuseppe barbuto ab origine, gli Apostoli, tanti Santi con alcuni Beati diversamente virtuosi e miracolosi, Pontefici di ogni etica ed epoca, religiosi di ogni ordine monastico, da Sant’Antonio Abate a Padre Pio (francescani, cappuccini, camaldolesi, missionari).

Cosa abbiano covato e continuino a covare le loro barbe variamente modellate e iconizzate non è riassumibile in un capitolo di questo libro. Scelgo di scrivere brevemente, perciò, a questo punto, riassumendo al massimo l’argomento in un paragrafo, ruolandomi ancora una volta ghostwriter del fantasmatico scrittore sette-ottocentesco già coinvolto (utilizzato) scrivendo i capitoli precedenti. Perché la lettura risulti meno barbosa e nessuno imprechi dicendo «Per la barba di Noè!» (non dicendo pericolosamente Mosè né Maometto)….ovviamente! Ripromettendomi di continuare a scrivere come mi si addice, scrivendo i paragrafi successivi.

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Nella storia ecclesiastica del cristianesimo, tra i regolamenti di pubblica disciplina, hanno pur esse luogo le varie vicende della barba clericale e sacerdotale. È da notarsi primieramente, che anche in proposito di barba regnò sempre gran discrepanza di leggi e d’usi tra le due chiese rivali, la Greca e la Latina. Il clero greco, oltre le tante eresie successive, ebbe ancora il torto di conservare la barba, quando il latino non tardò molto a radersi. Il Magno S. Gregorio compose e fissò un «Oremus ad tondendas barbas»; e questa divota orazione leggesi nel suo sacramentario. Non so se per quello spirito sovraccennato di contraddizione e di rivalità, che i puntigliosi greci animava contro i latini, o per una certa loro maggiore austerità, fino dal quarto secolo della chiesa il santo padre Clemente Alessandrino, vescovo greco, voleva la barba: quando il Concilio IV, cartaginese, concilio latino, ordinava col suo canone XLIV che i chierici, cioè gli ecclesiastici, non potessero né nutrissero chioma e barba. Anche ai nostri tempi vedesi per l’Asia e tra i Greci sparito il pendere della barba dai sacri menti; laddove in Europa e tra i latini è soppressa generalmente, fuor di quegli ordini regolati, che l’onor del mento preferiscono a quel della testa, che portano spogliata e rasa.

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Con l’avvento del cristianesimo e la nascita del monachesimo, la barba è stata coltivata principalmente dagli asceti e dai monaci. Di quelli orientali è stata un distintivo assoluto: docet l’egiziano Sant’Antonio Abate (quello raffigurato impegnato a combattere con le tentazioni/pulsioni sessuali, destinate a essere illustrate da Bruegel e Huys o Bosch: bizzarrie pittoriche varianti delle tentazioni di un martire buddista iconografate dagli artisti dell’antica civiltà cinese).

L’abate Arsenio, santo e archimandrita morto sul monte Scete nel deserto libico l’anno 455 circa (nato a Roma nel 354), per accentuare l’importanza speciale di un suo ordine prendeva in mano la barba del suo interlocutore. Nel Medioevo, l’ordine francescano l’ha adottata come abito pilifero facciale: piena, incolta e fluente alla maniera ebraica dei profeti e dei patriarchi come proprio logotipo.

I papi, leader del clero occidentale, hanno scoraggiato la barbicultura dal V secolo, attirandosi il disprezzo dei patriarchi greci: proibendola nel IX secolo. Giulio II l’ha riportata in auge all’inizio del Cinquecento, assecondato da Paolo III, Sisto V, Urbano VIII. Agli inizi del 1300, oltre che dai francescani, in Italia la barba è stata coltivata dai magistrati e dai vecchi. I missionari cattolici evangelizzatori l’hanno coltivata prima di partire per la missione, considerandola capace d’incutere rispetto suggestionando gl’interlocutori e per sollecitare atti riverenti nei miscredenti selvaggi da convertire e civilizzare.

Nel 1863 Pio IX l’ha vietata al clero bavarese. Il Codex Iuris Canonici, infine, ha imposto ai chierici del clero secolare di rito latino, non appartenenti agli Ordini autorizzati, di chiedere al vescovo il permesso di farsela crescere.

Le storie pie narrano di monache, o comunque di virgines sacrae, alle quali sarebbe cresciuta per reazione alle pulsioni sessuali considerate opere del demonio o per sottrarsi a pericoli di vario genere. Santa Paula de Avilà e Santa Wilgefortis o Liberata, martire portoghesi, per difendersi dalle insidie degli uomini, hanno ottenuto di cambiare il volto coprendolo con foltissima barba: ovviamente, hanno ottenuto ciò da Dio. A Santa Cummerna altoatesina è cresciuta come al crocifisso corregionale di Fiè (allo Sciliar).

In ambito islamico si porta la barba per assomigliare il più possibile al profeta Maometto che l’iconografia tradizionale raffigura portatore di una barba corvina, «breve e rigida», simile alla barba di Allah, e perché si considera indispensabile per ogni buon credente lasciarsi crescere la barba.

Popi, Patriarchi e Loro Beatitudini, omologhi del Santo Padre nomato Papa, fanno a gara per avere i barboni più lunghi, idem i Rabbini. Solo il clero cattolico va contro corrente imitando i buddisti. È una scelta estetica che contraddice le scritture, nelle quali si legge che Gesù Cristo e altri ebrei hanno portato la barba perché prescritta dalla legge data a Mosè dal Padreterno. Tanto che tutto il clero ortodosso, perseverando nell’avversare la rasatura e continuando a considerare la barba un contrassegno di santità e devozione, continua a volere che i massimi esponenti cattolici portino la barba incolta e vestano l’abito talare, per favorire il Dialogo Ecumenico. La questione estetica è la conditio sine qua non, quindi, per approfondire le questioni teologiche.

Un blogger ha scritto: «….Gesù e Suo Padre? Il padre Celeste o Giuseppe? Perché Dio non è mica maschio… Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza… maschio e femmina li creò… A prescindere che Giuseppe era padre ‘putativo’ sfido chiunque a dimostrami che circolasse rasato in falegnameria. Tutta l’iconografia ce lo presenta con la barba alla Che Guevara! A me personalmente piacerebbe vedere Ratzinger, Tonini, Bertone e Bagnasco con un lungo barbone brizzolato: siete d’accordo?».

Della barba coltivata per connotarsi diversamente religiosi, particolarmente ultraortodossi, conservatori misoneisti e fondamentalisti settari, scrivo quanto basta nei quattro paragrafi qui di seguito, per campionariarla.

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La pubblicazione delle tesi di Lutero a Wittenberg nel 1517 ha generato il protestantesimo che continua a caratterizzare e regolare le modalità esistenziali e le credenze dei barbicultori componenti di confessioni religiose organizzate come quelle dei Mormoni, Mennoniti, Quaccheri, Amish, Evangelisti e Testimoni di Geova: tutte attente alla salvaguardia delle valenze simboliche barbesche. I Mormoni, piuttosto numerosi nello stato USA dello Utah, senza eccezione (a parte le donne, ovvio) sfoggiano tutti barbe fluenti, come segno di distinzione dai c.d. gentili. Gli Amish coltivano e portano la barba a cominciare dal giorno del matrimonio, come prescrive la Bibbia, ma non i baffi, che associano con la vita militare e i suoi disvalori di violenza. Sam Mullett, esponente religioso della comunità Amish di un remoto villaggio dell’Ohio, è stato arrestato dall’Fbi perchè ritenuto colpevole di aver inflitto scomuniche e umilianti punizioni come il taglio della barba o dei capelli, fomentando nella comunità una faida inopportuna e sconveniente.

Il sessantatré per cento degli 85 mila abitanti di Beit Shemesh, «la casa del sole» a 20 chilometri da Gerusalemme, si dichiara Haredim (generata da ebrei misogini e misoneisti ultraortodossi, particolarmente prolifici: sei sette figli mediamente, in ogni famiglia), come il dieci per cento della popolazione d’Israele. Gli uomini si connotano ultraortodossi lasciandosi crescere la barba senza modellarla, indossano cappottoni neri col capo coperto da cappelli a tesa larga simili a quelli indossati nei ghetti ottocenteschi ed esigono treni e bus con posti riservati a separati per non confondere i sessi. Gli Haredim sono considerati i talebani della Torah e la loro barba cova avversione a ogni modernità e inimicizia nei rapporti col resto della popolazione laica dello Stato ebraico, nato prima della venuta del Messia.

La barba e i capelli lunghi sono per i Sikh indiani elementi identitari indiscutibili e irrinunciabili. Khushwant Singh, scrittore indiano sikh (nato nel 1915), in Un treno per il Pakistan il suo libro più noto, ha scritto: «Dio vuole che ogni Sikh giri per il mondo con il suo Kesh (pelo) mai tagliato fin alla nascita. Il Kesh è una delle cinque Kappa bagaglio filosofico dei Sikh: Kesh, il pelo; Kanghe, pettinino da tenere sotto il turbante; Kacch, pantalone a sbuffo; Kara, braccialetto simbolo di forza; Kirpan, pugnale da cui non bisogna separarsi mai. Nell’agosto 1981 è stato permesso negli USA a 15 soldati Sikhs originari dell’India di portare eccezionalmente la barba e il turbante, vietati dal regolamento in auge. La Federbox del Canada, i cui regolamenti prevedono che gli atleti salgano sul ring rasati, non ha ammesso ai campionati nazionali 1999 il pugile Pardeep Nagra, canadese di origine indiana Sikh, perchè si è rifiutato di tagliare la barba.

Gli Shabaab, braccio armato di Al Qaeda in Somalia, hanno imposto agli uomini di lasciarsi crescere la barba e vietato ai barbieri di tagliargliela. La decisione è stata presa a Merca, cittadina a sud di Mogadiscio, nell’ottica di un preteso rispetto di alcuni precetti islamici, come in Afghanistan nel periodo in cui hanno comandato i Taliban. Fra le tante regole imposte dagli studenti di teologia mussulmani c’è anche la lunghezza della barba che non può essere inferiore a quella di una mano: simbolo di una ostentazione religiosa per la quale i fondamentalisti sono detti i Barboni in molti paesi.

Barba ci cova© Per gentile concessione dell’autore — Riproduzione vietata

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