Autogol

Che sia un ottimo portiere, non è in discussione. Che sia un simpatico ragazzo, anche. È come uomo che non ci siamo. E per l’uomo che non c’è, non ci può essere posto nella Nazionale italiana di calcio che rappresenta un Paese e tutti i suoi abitanti. Il calciatore Gigi Buffon va lasciato a casa. Perché non è degno, per quello che ha detto, di rappresentare l’Italia ai campionati europei. Non è degno di indossare la maglia azzurra, e tanto meno di essere il capitano della Nazionale. Perché quel ruolo di capitano, di portabandiera, di portavoce, esige altri comportamenti, altri ragionamenti, altre idee. Pensieri ben diversi da quelli che ha espresso nei suoi ultimi autogol di parola. In qualsiasi altro Paese, un Paese normale, un Paese civile, lo avrebbero già rispedito a casa, e senza troppi complimenti.

Perché se è vero, come rivendica Buffon, che chiunque può dire qualsiasi idiozia in nome della libertà di pensiero, che è sacrosanta, è altrettanto vero che Buffon non è uno qualunque, ma il capitano della Nazionale, e per essere degni di quel ruolo bisognerebbe evitare di dire le peggiori corbellerie. Il simpatico portiere forse non se ne rende conto, del resto gli viene chiesto solo di parare dei palloni, mica di essere anche intelligente. Non si rende conto che il capitano dell’Italia del pallone non può, come ha fatto lui, prendersela con i magistrati che arrestano i calciatori corrotti, e con i giornalisti che raccontano degli arresti dei calciatori corrotti, anziché con i calciatori corrotti (e corruttori) che sono invece il nocciolo del problema del marcio nel mondo del calcio.

Non si rende conto che non può giustificare le intese truffaldine e antisportive tra due squadre che si mettono d’accordo per far finire la partita con il risultato che le accontenti entrambe. Non si rende conto che non può giustificare, ritenendolo tutto sommato marginale, quasi insignificante, il comportamento di Antonio Conte, il suo allenatore alla Juventus, che è indagato per associazione a delinquere, mica quisquilie, nell’inchiesta sul calcio scommesse, e che rischia una squalifica pesantissima.

Sono queste inquietanti prese di posizione del portierone nazionale che non lo fanno più degno di rappresentare l’Italia. Per non parlare delle scommesse. Buffon non è (ancora) indagato, ma i magistrati stanno cercando di capire alcune cosette sul suo conto, per esempio a cosa servivano quel milione e mezzo di euro che ha dato a un tabaccaio di Parma specializzato in scommesse. Anche qui, Buffon ha ragione a dire che può spendere i suoi soldi come gli pare. Ci mancherebbe. Ma dal momento che la Federazione gioco calcio vieta ai giocatori tesserati di scommettere sulle partite, il portierone dovrà dimostrare che i soldi che ha dato allo scommettitore servivano solo a comperare francobolli, caramelle, sigarette e orologi (ma da quando si comperano venti Rolex dal tabaccaio?). Perché se invece saltasse fuori che scommetteva sulle partite, rischierebbe di essere squalificato dalla giustizia sportiva. E se le scommesse fossero state indirizzate verso le partite truccate, sarebbe ancora più grave, e il caso diverrebbe di competenza della giustizia penale.

Vizietto antico, quello delle scommesse, per il portierone. Ci era già cascato nel 2006, quando ne era uscito per il rotto della cuffia, prosciolto, sostenendo che aveva scommesso sì, ma su partite del calcio estero (cosa non vietata), su altri sport e persino su alcuni giochini telematici. Mah.

Il polverone che si è alzato sulla Nazionale di calcio, che in questo Paese è sempre un affare di Stato, ha fatto uscire dai gangheri persone solitamente equilibrate come il Premier Mario Monti, l’allenatore della Nazionale Cesare Prandelli, e il dirigente della Federcalcio Demetrio Albertini. Il primo ha detto che bisognerebbe fermare il calcio per due-tre anni, il secondo che l’Italia potrebbe anche rinunciare a disputare gli Europei, il terzo che giocatori e dirigenti della Nazionale sono stufi dei continui arresti di giocatori e avvisi di garanzia.

Ad Albertini bisognerebbe ricordare che sono gli italiani i primi ad essere stufi di questi calciatori. Stufi non certo degli arresti, che anzi sono benvenuti e salutari, ma della corruzione e del malcostume che dilagano nel mondo del pallone. A Monti bisognerebbe ricordare che, se ragioniamo così, dovremmo chiudere per qualche tempo, magari anche più lungo, il Parlamento, i partiti, la Rai, il Vaticano (e l’elenco potrebbe essere sterminato). A Prandelli, infine, bisognerebbe ricordare di darsi una calmata, e di cercare di riprendere, almeno in parte, l’equilibrio smarrito.

Prandelli non capisce che non è in discussione la partecipazione dell’Italia del pallone ai campionati europei. È in discussione la partecipazione, nella squadra che rappresenta l’Italia, quindi un intero Paese, di quei giocatori che sono indagati nell’inchiesta sul calcio-scommesse (Criscito e Bonucci), e di quelli che, dalle loro dichiarazioni, non si sono mostrati degni di farne parte (Buffon). Invece Prandelli, e con lui la Federazione, colpevolmente non si sono nemmeno posti il problema-Buffon, e diversamente da quanto fatto con Criscito, inspiegabilmente non hanno mandato a casa Bonucci.

Anche l’allontanamento di Criscito, poi, è stato un capolavoro di ipocrisia. Prandelli, che evidentemente ha perso la bussola, come si è visto anche sul campo nella sciagurata amichevole con la Russia, ha spiegato che Criscito andava a casa non perché era stato indagato per reati infamanti, ma perché non avrebbe retto la pressione della situazione che si era venuta a creare.

Che vergogna. E che tristezza. ★

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